Troppi impegni. Questa in estrema sintesi la motivazione con la quale il commissario straordinario per la lotta alla peste suina africana, Vincenzo Caputo, ha rinunciato all'incarico.

Compito difficile, evidentemente, quello di sconfiggere questo virus che si muove soprattutto sulle zampe dei cinghiali e che sta assediando gli allevamenti di suini.

 

Già Angelo Ferrari, che aveva preceduto Caputo nello stesso ruolo, era stato costretto a un passo indietro.

La rinuncia di Caputo, il cui incarico era stato rinnovato solo pochi mesi fa, arriva all'indomani di un nuovo focolaio segnalato in un allevamento di suini in provincia di Novara.

Ma sarebbe un errore immaginare un collegamento fra i due fatti.

Come pure escludere che siano altre, rispetto a quelle "ufficiali", le motivazioni di queste dimissioni.

 

Compiti impegnativi

Certo, guidare l'Istituto Zooprofilattico dell'Umbria e delle Marche del quale Caputo è direttore non è cosa semplice.

Senza dimenticare che questo stesso istituto è centro di referenza nazionale per la lotta alla peste suina africana.

Impegni ai quali aggiungere quelli di commissario, indubbiamente complessi.

A queste complessità, che certo non erano sfuggite a Caputo quando ha accettato l'incarico, se sono però aggiunte altre, forse meno prevedibili, come gli ostacoli frapposti alla riduzione del numero di cinghiali.

 

La paura del dissenso

Abbattere i cinghiali (e anche i suini laddove necessario) ha infatti sollevato le proteste di sedicenti animalisti.

Non a caso per i cinghiali non si parla di "abbattimento" ma di "depopolamento", cambia la parola ma non la sostanza.

Facile immaginare che la lentezza dei piani di depopolamento dei cinghiali sia connessa a oggettive difficoltà, ma anche al timore di un accendersi dei toni del dissenso.

Ma se non si fermano i cinghiali nemmeno la peste si ferma.

 

Le associazioni venatorie hanno da tempo offerto la loro disponibilità. Ma queste stesse associazioni chiedono chiarimenti sui piani operativi e un dialogo più costruttivo con le regioni interessate.

Nel frattempo ai cacciatori si uniranno gli uomini delle Forze Armate, 177 in tutto, che dovrebbero essere operativi entro agosto.

Poche le notizie su quali saranno le aree dove interverranno. Forse per evitare contestazioni? Chissà.

 

In ogni caso non va dimenticato che la riduzione del numero dei cinghiali è solo un capitolo della lotta al virus della peste suina africana.

Occorre una visione strategica che superi i confini delle singole regioni, con un coordinamento delle diverse iniziative, caccia compresa.

Lo ha evidenziato anche uno studio della Commissione Europea, che ha messo l'accento sulle "falle" delle iniziative intraprese sinora.

 

Non ci si può fermare

La rinuncia di Caputo, che nel documento della Commissione trova un'ulteriore possibile motivazione, non dovrebbe tuttavia portare alla chiusura della struttura commissariale voluta dal Governo per fronteggiare la peste suina africana.

Semmai sarà necessaria la nomina di un nuovo commissario, che ne dovrà continuare il lavoro.

 

Lo stesso Caputo ha affermato all'indomani della sua rinuncia, di "aver posto le basi per un cantiere che spero in un futuro possa migliorare ancora".

Certo lo sperano gli allevatori di suini, che ancora si chiedono come sia possibile mettere a rischio la vita di milioni di suini per proteggere poche migliaia di selvatici in soprannumero.

 

Attenti al benessere animale

Il nuovo commissario, che si spera sia nominato in tempi rapidi, dovrà affrontare non solo il virus della peste suina africana, ma anche quello del pregiudizio che sembra affliggere quanti guardano al benessere animale con le lenti di una visione antropocentrica e di una interpretazione "romantica" dell'agricoltura e dell'allevamento.

 

Va ricordato che ridurre il numero di cinghiali e limitare la diffusione del virus si traduce in benessere animale diffuso e circolare. Perché il virus della peste suina non lascia scampo.

AgroNotizie® lo ha ribadito più volte, non esistono cure e gli animali, sia selvatici sia domestici, muoiono in modo doloroso e in percentuali elevate.

Per gli allevamenti l'unica speranza di salvezza sta nelle misure di biosicurezza (complesse e costose, non sempre facili da attuare). Barriere che il virus ha già dimostrato di saper violare.

 

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