Lo scorso 5 giugno un comunicato stampa del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase) annunciava che la Commissione Europea ha dato il via libera al cosiddetto Decreto FER 2. Nell'insalata di tecnologie che include il futuro Decreto, concentreremo la nostra disamina su quelle relative al biogas e alle biomasse.

 

Il comunicato stampa è privo di link al testo della bozza di provvedimento, che in uno Stato trasparente dovrebbe accompagnare la notizia. Tuttavia, in alcuni portali generalisti si trovano trascrizioni del testo. Abbiamo recuperato una bozza non ufficiale dalla quale tenteremo di capire se ci sia qualcosa di positivo per le aziende agricole nella futura politica di incentivi, evidenziando anche i vizi di logica e le contraddizioni.

 

Gli obiettivi

Lo scopo è incentivare la costruzione di nuovi impianti ad energie rinnovabili mediante l'erogazione di contributi in conto capitale fino al 40% del costo, fondi di garanzia e credito di imposta o detassazione del reddito di impresa. Tali incentivi sono cumulabili con la tariffa incentivante (233 euro/MWh per gli impianti di biogas con potenza compresa fra 1 e 300 kW elettrici; 246 euro/MWh per impianti a biomassa di pari taglia; 185 euro/MWh per impianti a biomassa da 300 a 1000 kW), ma nel caso di cumulo di incentivi le suddette tariffe vanno decurtate del 12%. I contributi li dovrà erogare il Gestore dei Servizi Energetici (Gse), l'Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (Arera) deve definire come spalmarli sulle bollette, per cui nella pratica pagheremo cittadini ed imprese. Lodevole comunque il fatto che, finalmente, un Governo abbia capito che sono da incentivare gli impianti piccoli.

 

Peccato che la bozza di Decreto non preveda meccanismi di semplificazione delle procedure burocratiche e preveda invece la scadenza del 31 dicembre 2028 per beneficiare degli incentivi. A partire da tale data il Decreto decadrà automaticamente. Orbene, siamo ad agosto del 2024 ed il Decreto non è ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, considerando le ferie di agosto è difficile che la Corte dei Conti dia il via libera prima di settembre.

 

Le regole operative dovrebbero essere pubblicate entro trenta giorni dalla pubblicazione del Decreto, quindi sempre ottimisticamente la piena efficacia del provvedimento si raggiungerà a fine ottobre, metà novembre. In linea di massima, è improbabile che le piccole aziende riescano ad elaborare e presentare progetti nel 2024, e questo lascia solo tre anni di tempo. Se non che, a partire dal primo gennaio 2026 potranno beneficiare del Decreto solo gli impianti fino a 200 kW, perché oltre tale potenza il Gse non ritirerà l'energia. In altre parole, chi volesse fare un impianto di biogas o biomasse di potenza compresa fra 200 e 300 kW dovrà riuscire a metterlo in funzionamento entro il 31 dicembre 2025, altrimenti dovrà arrangiarsi a vendere l'energia per conto proprio.

 

È dunque improbabile che un imprenditore confidi tanto nell'efficienza amministrativa italiana da imbarcarsi in una tale impresa, il cui esito dipende dal completamento dell'iter procedurale entro la fine del 2025. Ulteriore paletto finanziario che rende difficile l'analisi economica dell'investimento: indipendentemente dalla taglia dell'impianto, il Gse non ritirerà l'energia nelle ore in cui il prezzo della stessa è nullo o negativo. Questo ha un senso dal punto di vista del Gse, ma è contraddittorio con l'idea di voler incentivare impianti di piccola taglia.

 

Supponiamo che un piccolo allevatore decidesse di installare un impianto di biogas da meno di 200 kW: come fa a seguire in tempo reale i prezzi dell'energia? Dovrebbe dotarsi di un sistema di stoccaggio del biogas e di un altro sistema di rilevamento dei prezzi online che fermi il cogeneratore per evitare di regalare energia. Durante tali fermi del motore dovrebbe accumulare biogas, per poi fare ripartire il generatore a piena potenza durante i periodi in cui può beneficiare della tariffa incentivante. Il maggiore costo di tali accessori compenserà il guadagno? E se nei prossimi venti anni diventassero sempre più frequenti i periodi di eccesso di offerta, chi assicurerà il ritorno di investimento?

 

Il Decreto stabilisce il contingentamento di potenza, cioè la potenza complessiva di tutti gli impianti di biogas e biomasse inaugurati durante la permanenza in vigore non deve superare i 150 MW.

 

Infine, segnaliamo il solito vizio ideologico di tutta la normativa sugli incentivi agli impianti di biogas promulgata finora: si presuppone che un impianto piccolo non possa produrre biometano nemmeno per autoconsumo (ad esempio del trattore o altri mezzi aziendali) e che l'unica tecnologia utile per sfruttare il biogas sia dunque la cogenerazione. Come abbiamo già segnalato in un altro articolo, i tecnici ministeriali continuano a dimenticare che il 70% del consumo energetico di aziende e famiglie è rappresentato da calore (o freddo, perfettamente possibile da produrre con sistemi a ciclo di assorbimento). Gli inglesi l'hanno riconosciuto e quindi incentivano l'uso diretto del biogas in apposite caldaie che, obiettivamente, sarebbe l'uso più logico e consono per un piccolo impianto, ma in Italia cade nel vuoto legale: non c'è alcun divieto espresso, ma non essendo regolamentato diventa un "divieto virtuale".

 

A nostro modesto parere, in vista di tutte le limitazioni e i rischi finanziari evidenziati sopra e del fatto che è quasi impossibile che qualcuno possa trovarsi pronto per partecipare alla prima ipotetica asta Gse entro il 31 dicembre 2024, ci sembra poco probabile che gli obiettivi dichiarati nel Decreto siano raggiungibili.

 

Le biomasse e le tecnologie

Il Decreto inserisce la canna comune (scritta però con la C maiuscola), ovvero l'Arundo donax, fra le biomasse ammesse per impianti di biogas, ma la considera "prodotto" alla stregua di insilati e altre colture ben più produttive. Sarebbe stata più utile una normativa più chiara sull'utilizzo degli sfalci di erba, Arundo compreso, ancora considerati "rifiuti" ed esclusi dagli incentivi. Tali residui sono invece annoverati fra le biomasse ammesse per gli impianti di combustione.

 

Novità assoluta: un Decreto di una formazione politica da sempre ostile alla coltivazione della canapa ha incluso la biomassa di Cannabis fra i "prodotti" ammessi. Una doppia contraddizione ideologica-biologica, se consideriamo che la biomassa di canapa è fortemente inibente per i batteri metanigeni, come dimostra una prova condotta dall'autore dell'articolo nel proprio laboratorio (Foto 1 e 2). Si tratta di una biomassa assolutamente da evitare nei processi anaerobici, pena il blocco biologico dell'impianto. L'insilaggio rende tale biomassa digeribile, ma con rese modeste. Ammesso e non concesso che ci una qualche convenienza nel coltivare canapa da utilizzare come biomassa di supporto alla dieta del digestore, perché includere la Cannabis come "prodotto", cioè coltura dedicata, escludendo l'utilizzo degli scarti o "sottoprodotti"?

 

Grafico: Il potere inibitorio della biomassa di Cannabis sui batteri anaerobici è dimostrato dalle curve di BMP decrescenti e con valori negativi, ovvero il digestato da solo produce più metano del digestato con aggiunta di canapa trinciata

Foto 1: Il potere inibitorio della biomassa di Cannabis sui batteri anaerobici è dimostrato dalle curve di BMP decrescenti e con valori negativi, ovvero il digestato da solo produce più metano del digestato con aggiunta di canapa trinciata

(Fonte foto: Prova condotta da Mario A. Rosato AgroNotizie®)

 

Grafico: L'insilaggio sembra ridurre il potere inibitorio della canapa, ma la resa in metano è comunque molto ridotta. Si andrebbe a consumare più energia per raccolto, trinciatura e insilaggio di quanta ne sia possibile ricavare dal biogas

Foto 2: L'insilaggio sembra ridurre il potere inibitorio della canapa, ma la resa in metano è comunque molto ridotta. Si andrebbe a consumare più energia per raccolto, trinciatura e insilaggio di quanta ne sia possibile ricavare dal biogas

(Fonte foto: Prova condotta da Mario A. Rosato - AgroNotizie®)

 

Come di consueto in tutti i documenti che omaggiano l'ideologia di Bruxelles, troviamo i fantomatici "pannelli dalla spremitura di alga" inclusi nella lista dei sottoprodotti agroindustriali, ma nessun riferimento al più concreto e abbondante glicerolo, "virtualmente vietato" dall'amministrazione Conte I con la scusa di essere "agroindustriale" e non "agroalimentare" (per maggiori approfondimenti è possibile leggere questo e questo articolo). Ci si sarebbe aspettato che un Governo di destra rimediasse al torto ideologico commesso dal M5S, ma non è stato così.

 

Un'altra contraddizione è rappresentata dai sottoprodotti animali delle tre categorie, ammessi nei piccoli impianti ma, implicito nei rimandi alla legislazione comunitaria, solo alle stesse condizioni di utilizzo dei grossi impianti. Ciò vuol dire interminabili procedure di iscrizione nella lista di autorizzazioni ministeriali, pastorizzazione previa, farraginosi registri sul funzionamento del pastorizzatore da esibire in caso di - possiamo immaginare frequenti - ispezioni della Asl. È difficile immaginare che un impianto di meno di 300 kW alimentato con tali biomasse riesca ad avere le autorizzazioni prima della scadenza programmata del Decreto e che una piccola azienda possa sobbarcarsi tali oneri.

 

Infine, qualche perplessità deriva dal fatto che le potenze ammesse agli incentivi siano comprese fra 1 e 300 kW. È risaputo che l'industria europea produce gruppi di cogenerazione atti per l'utilizzo con biogas solo per potenze più alte. I generatori a biogas di potenza compresa fra 1 e 20 kW reperibili nel mercato sono di fabbricazione cinese, economici ma spesso privi di unità di recupero del calore, oltre all'incognita sul marchio CE senza il quale il Gse non consentirebbe mai l'allacciamento alla rete.

 

I modelli di fabbricazione centronord europea di taglia 20-150 kW sono estremamente costosi, sia per l'acquisto che per i costi di assistenza post vendita che applicano i costruttori. A nostro modesto parere il tentativo di aiutare il decollo di tecnologie "non completamente mature o più costose", per quanto lodevole, rimane lettera morta se nella realtà dei fatti non c'è offerta europea di tali tecnologie, e l'offerta asiatica non è accettabile perché priva di certificazioni. Sarebbe stato più efficace, e gratis per i consumatori, se l'agevolazione fosse stata semplicemente un credito di imposta abbinato all'esonero da tutte le ingerenze statali, consentendo l'installazione di piccoli impianti di biogas o biomasse finalizzati all'autoconsumo con una semplice Dia, Dichiarazione di Inizio Attività.