Com'è la situazione siccità in Puglia? "Quest'anno gli invasi sembrano quasi scomparsi. Ci sono aree grandi quanto campi da calcio vuote e, per esempio, anche la grande diga di Monte Cotugno in Basilicata si è abbassata di 10-15 metri. Fino a fine maggio dell'anno scorso c'era sempre stata della pioggia mentre da giugno scorso non si è mai bagnato abbastanza il terreno da garantire una certa riserva idrica. È passato un anno e con quel po' che piove il terreno si inumidisce solo per 10 centimetri e si asciuga nel giro di 2-3 giorni".

 

È così che comincia l'intervista fatta a Nicola Cornacchia, olivicoltore pugliese che gestisce insieme a suo figlio 180 ettari al confine tra la Basilicata e la Puglia. Hanno circa 40 ettari di olivi, 8 ettari di mandorli, 40 ettari di seminativo, 6 ettari gestiti in arboricoltura specializzata nella produzione di legno e si occupano anche di zootecnia con l'allevamento di asini.

 

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Fattoria Cornacchia

(Fonte: Nicola Cornacchia)

 

Un'azienda abbastanza diversificata, caratterizzata da diverse specie tipiche del Mediterraneo, compreso l'asino, accomunate da una caratteristica importantissima: sono tutte resistenti alla siccità e quindi ideali alla coltivazione in asciutto o aridocoltura.

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"Se non piove devi puntare sulle specie che resistono meglio, sia che si tratti di ortaggi che sementi, alberi e animali", ci spiega Nicola. Infatti, l'aridocoltura o dry farming funziona proprio così e si basa su 3 principi: favorire l'aumento della disponibilità idrica per le colture attraverso opportune lavorazioni e sistemazioni del suolo, ridurre le perdite di acqua e utilizzare colture e tecniche di coltivazione adatte e idonee per una migliore utilizzazione delle risorse idriche disponibili.

 

L'aridocoltura può essere un'arma contro i cambiamenti climatici e in particolare contro l'innalzamento delle temperature, la siccità e i fenomeni di desertificazione. Non è facile metterla in pratica anche perché, ovviamente, le colture produrrebbero di più se ci fosse acqua. Ma l'aridocoltura è uno strumento che può servire a rendere più resiliente l'agricoltura dove acqua non ce n'è; dove invece l'acqua c’è può aiutare ad utilizzarla e gestirla in maniera più sostenibile.

 

Perché usare l'olivo in aridocoltura?

Dal 1994 Nicola aderisce tutti gli anni al programma di agricoltura biologica e questa partecipazione l'ha aiutato non solo da un punto di vista economico, attraverso i contributi, ma anche a cambiare approccio nella coltivazione, facendo più attenzione al benessere della pianta e alla resilienza della sua azienda sul territorio.

 

E al biologico si aggiunge il discorso dell'aridocoltura: "Faccio tutto in asciutto perché si tratta di una zona collinare e irrigare non avrebbe senso perché l'acqua farebbe fatica ad essere infiltrata e finirebbe giù per i pendii. C'è poca acqua qui, quindi quando ce l'ho la uso per gli ortaggi o per la casa".

 

Quindi fare aridocoltura è stata più una scelta o una necessità? La risposta va da sé perché se acqua non ce n'è bisogna adattarsi. "Gli anni compresi tra il 1980 e il 1983 furono i primi anni di estrema siccità durante i quali ci accorgemmo che qualcosa non quadrava. Le arature profonde non aveva più senso farle perché quando si arava e si interrava la paglia e i residui organici l'anno dopo li si trovava intatti. Niente si era consumato. Infatti, il Metapontino è la seconda zona in Italia per desertificazione, dopo la piana di Agrigento. Per fortuna il discorso dell'agricoltura biologica ti disincentiva dal fare le arature profonde e ti stimola a tenere coperto il terreno evitando le sostanze chimiche. Allora immediatamente decidemmo di cambiare".

 

La siccità è alla base anche di altri problemi a livello agricolo. Per esempio, l'assenza di acqua rende poverissimo il terreno che senza sostanza organica degrada e ha maggiore probabilità di erodersi. Per questo 10 anni fa Nicola ha pensato bene di cominciare a mettere degli alberi nella sua azienda agricola da affiancare alla coltivazione del grano tipica della zona.

 

Prima è stata piantata la robinia e poi gli olivi, la coltura arborea aridoresistente per eccellenza: "Quindi pensai, visto che con il grano non produciamo perché se non piove ogni 10 giorni secca facilmente e fare frutticoltura non ha senso perché non ci sarebbe abbastanza acqua per la crescita dei frutti, l'unica è usare le essenze del Mediterraneo come l'olivo. Ormai sono 10 anni che lavoro così e ogni anno aggiungo 10 ettari di oliveto".

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L'olivo è altamente resistente alla siccità, infatti ha sviluppato una serie di adattamenti morfologici, fisiologici e biochimici che agiscono sinergicamente contro questo stress. Ha un apparato radicale particolarmente sviluppato capace sia di esplorare gli strati più profondi che di crescere abbastanza parallelamente al suolo e quindi adatto ad assorbire anche le precipitazioni leggere e intermittenti. Ha foglie piccole con una spessa cuticola che riduce le perdite di acqua e la superficie rivolta verso il basso è ricoperta da uno strato ceroso e da tricomi che aumentano l'efficienza dell'uso dell'acqua. Inoltre, in condizioni di siccità le piante di olivo abbassano il potenziale idrico dei loro tessuti e rallentano o addirittura arrestano la crescita della chioma ma non l'attività fotosintetica e la traspirazione.

 

Come gestire un oliveto in aridocoltura

Tutte le scelte di gestione devono essere fatte cercando di rispettare i principi dell'aridocoltura. Si può così partire dall'impianto: minore è la densità, maggiore è il volume di terreno esplorabile da ogni singola pianta per la ricerca di acqua. "Avere dei sesti stretti o addirittura fare super intensivo qui non ha senso. Noi abbiamo circa una pianta in 60 metri quadri, quindi una densità di piante di 150-200 piante per ettaro" ci spiega Nicola.

 

Un'altra importante scelta da fare e quella della cultivar: utilizzare specie, varietà e portainnesti aridoresistenti permette sicuramente di sfruttare meglio le risorse idriche naturali e risparmiare acqua. Alcune cultivar di olivo italiane particolarmente tolleranti alla siccità sono la Cellina di Nardò, la Coratina, la Moraiolo e la Carolea.

 

"Noi abbiamo messo un po' di tutto perché non sai mai quale varietà andrà meglio e come reagirà. Abbiamo la Frantoio, la Coratina, la Cima di Melfi e il Leccino. Per esempio, con la Coratina che è più adatta nella zona di Corato e Spinazzola, dove c'è un clima un po' più fresco, abbiamo subito notato che la drupa è rimasta un po' più secca rispetto al Leccino".

 

Per aumentare la capacità idrica del terreno è fondamentale la somministrazione e il mantenimento della sostanza organica, di cui moltissimi suoli sono scarsi, attraverso letame, compost e sovescio. Per esempio, Nicola nei suoi oliveti ha usato un concime organico di un'azienda barese che trasforma l'organico cittadino.

 

Per ridurre le perdite di acqua, invece, si deve agire ricoprendo le superfici interessate dai fenomeni di evapotraspirazione e contenere lo sviluppo delle infestanti quando entrano in competizione con la coltura. "Nella nostra azienda con l'inerbimento spontaneo cerchiamo di trattenere l'umidità del terreno. In particolare seguiamo l'ecoschema 5 per il discorso delle mellifere, quindi da fine marzo fino a settembre non possiamo toccare le piante, mentre dopo settembre possiamo arare e trinciare". L'inerbimento è molto utile perché intercetta molto bene l'acqua piovana, riduce il ruscellamento e facilita la sua infiltrazione negli strati più profondi del terreno.

 

Quando la situazione si fa molto siccitosa si può intervenire con delle irrigazioni di soccorso che prevedono la distribuzione di acqua durante le fasi fenologiche più critiche associate ad un grande stress idrico. "Noi lo facciamo soprattutto il primo anno di impianto e per noi è sufficiente. Di solito facciamo delle irrigazioni di soccorso a luglio mentre quest'anno abbiamo dovuto cominciare ad aprile. Ma si tratta di soli 3-4 litri per pianta per 10 giorni" ci spiega Nicola.

 

Il vantaggio di un reddito alternativo

Diversificare le colture e integrare altre attività può distribuire il rischio e garantire redditi stabili anche in annate difficili. Nel caso dell'azienda di Nicola Cornacchia, oltre agli oliveti c'è un impianto di Robinia pseudoacacia specializzato nella produzione di legno, c'è l'agriturismo con la fattoria didattica e l'allevamento degli asini.

 

Per gestire l'enorme erosione e stabilizzare le pendici dei campi, Nicola 20 anni fa ha optato per convertire da seminativo parte dei suoi ettari a forestazione produttiva: "Abbiamo fatto il taglio dopo 20 anni ma la robinia ha la possibilità di ricacciare e ora sono 5-6 anni che facciamo produzione di paletti per recinzioni. Infatti, non era più prevista la risemina però a me serviva per evitare l'erosione e bloccare le frane".

 

Per quanto riguarda la zootecnia, Nicola possiede 12 asini per la produzione di carne. "Gli asini sono anche gli unici che si difendono meglio dagli animali selvatici ma più che altro sono i più rustici, usano anche le cortecce degli alberi e possono mangiare cespugli mentre una vacca ha bisogno di erba fresca e quindi di irrigazione. Dopo gli asini possiamo mettere solo i cammelli!".

 

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(Fonte: Nicola Cornacchia)

 

Risultati e benefici: trasformare l'azienda in una realtà resiliente

Al momento l'impianto di olivo più adulto che ha Nicola ha soli 7 anni. Il 2023 sarebbe stato il primo anno di raccolta ma a causa della forte siccità le drupe rimasero veramente piccole e non sono riusciti a raccoglierle. "Quello in cui spingiamo è la pianta che almeno non è seccata quindi ci permette di avere comunque l'impianto in funzione. Raccoglieremo quando pioverà però almeno non seccano le piante. Inoltre, un'altra cosa che mi interessa è evitare le erosioni, mantenere le pendici e mantenere la copertura del terreno".

 

È quindi qui che si gioca la vera sfida dell'aridocoltura: mentre i risultati immediati possono essere scoraggianti, i benefici a lungo termine di una gestione sostenibile del suolo e l'adattamento ai cambiamenti climatici possono assicurare che l'azienda diventi produttiva e resiliente per gli anni a venire. Le piante infatti sono estremamente capaci di adattarsi all'ambiente soprattutto man mano che le generazioni successive vengono coltivate a determinate condizioni.

 

Nicola comunque non è solo, da anni partecipa insieme ad altri agricoltori a programmi di formazione e scambio di conoscenze per imparare le migliori pratiche e ottenere supporto nella sua transizione. Inoltre, ci sono altri agricoltori che stanno seguendo il suo esempio: "Più di uno nella zona si sta convertendo all'arboricoltura senza acqua perché in tutti quei terreni che sono marginali e molto pendenti con l'olivo blocchi l'erosione, guadagni qualcosa in più e la pianta secca un po' di meno, quindi tutto sommato è conveniente".

 

Altre specie resistenti alla siccità

L'olivo e la vite sono le colture arboree più aridoresistenti ma a queste si aggiungono anche mandorlo, fico, carrubo, fico d'India, pistacchio e giuggiolo e Nicola ci racconta la sua esperienza a riguardo.

 

"Il mandorlo a differenza dell'olivo, si sa anche dalla letteratura, dura dai 40 ai 50 anni mentre l'olivo è eterno. Ed è vero perché rispetto ad 8 ettari di mandorlo e 40 di olivo mi sono spinto sempre di più sull'oliveto perché il mandorlo tende a seccare, quindi l'olivo resiste di più anche grazie al suo particolare apparato radicale.

 

Il carrubo ultimamente è diventato più popolare. Ma, se l'albero di olivo ha un costo che va da 1 a 4 euro, l'albero di carrubo non si trova a meno di 20 euro. Perciò se si vuole fare un impianto piccolo da 100 piante è un conto, ma se si vuole fare un impianto su 10 ettari di terra allora non conviene. Oltre al carrubo c'è anche il pistacchio, qualcuno lo sta piantando ma i costi sono elevati sia per l'acquisto delle piante che per la lavorazione perché qui ci sono ancora pochi impianti per la trasformazione.

 

L'altra idea è stata quella di iniziare a mettere il fico d'India, altra pianta adatta all'aridocoltura. Qui però c'è stato un altro problema oltre al clima: i cinghiali che passando nel campo si mangiano le pale. È stata una tragedia. Si lotta contro il clima e contro l'aridità ma adesso anche il problema dei cinghiali che non ci voleva proprio. Ho denunciato i danni alla provincia, però prima mi hanno distrutto 2 ettari e quest'anno altri 3. Non è giusto".