C'è fine al peggio? E' una domanda che ormai molti apicoltori si stanno facendo al termine di questa annata 2019 che è stata la peggiore degli ultimi dieci anni.

E gli ultimi anni non sono stati neanche dei migliori, anzi. E' quello che emerge dai dati pubblicati dall'Osservatorio nazionale del miele di Castel San Pietro Terme (Bo) sulla produzione e il mercato del miele dell'annata apistica in corso.

Anche se i dati definitivi usciranno a febbraio prossimo con il report ufficiale 2019, con i dati del report di settembre sulle produzioni primaverili estive e quelli di novembre sulle produzioni autunnali, il quadro è piuttosto chiaro.

Un quadro che mostra una tendenza negativa iniziata nel 2011 con solo due eccezioni positive (ma non ottime) nel 2015 e nel 2018, per arrivare al 2019 che si presenta la peggior annata degli ultimi dieci anni.

A pesare è stato soprattutto l'andamento climatico anomalo, con una primavera particolarmente fredda e piovosa che ha azzerato in molti casi le principali produzioni stagionali, con l'azzeramento delle produzioni di miele di acacia al Nord e un andamento estremamente irregolare per il miele di agrumi al Sud.

Una primavera che oltre a non far produrre miele ha messo a rischio la stessa sopravvivenza degli alveari, rendendo necessaria l'alimentazione di soccorso con sciroppi zuccherini per evitare la morte per fame.

Una situazione che ha portato sin da subito alla presa di iniziative speciali, come l'erogazione di contributi per il rimborso delle spese di nutrizione artificiale attivate dal Friuli Venezia Giulia e il report straordinario di giugno dell'Osservatorio nazionale del miele richiesto dalle principali associazioni apistiche e presentato al Mipaaf e a Ismea per chiedere lo stato di crisi del settore.

Ma vediamo i numeri delle produzioni di quest'anno.


Acacia

E' stata forse la produzione più colpita nel Centro Nord, produzione che tra l'altro costituisce la principale fonte di reddito delle aziende professionali.

Nel Nord Italia la produzione è stata di fatto azzerata in Piemonte, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Trentino e Veneto, mentre la Lombardia e l'Emilia Romagna hanno fatto registrate una produzione media ad alveare rispettivamente di 1,5 chilogrammi e 2,5 chilogrammi a fronte di una produzione attesa di 25-30 chilogrammi.

La situazione non è andata meglio in altre parti di Italia con produzione nulla in Lazio, Umbria, Molise, Basilicata e una media tra gli 1,5 chilogrammi e i 2,5 chilogrammi ad alveare in Toscana, Marche e Campania e una 'punta' di 4 chilogrammi ad alveare in Abruzzo, a fronte dei 18-20 chilogrammi attesi.

Una perdita di produzione che è stata aggravata a livello economico dall'aumento dei costi necessari per l'alimentazione di soccorso delle api e dalla non copertura dei costi sostenuti per il nomadismo, dal momento che pur spostando gli alveari per cercare di inseguire la fioritura delle acacie, il miele non è stato prodotto.

L'unico areale rimasto con una produttività nella media attesa è stato quello nella zona di Vibo Valentia in Calabria, unica zona veramente vocata in Sud Italia per l'acacia, dove si sono prodotti 15 chilogrammi ad alveare. Una zona tra l'altro particolare per l'apicoltura nazionale, all'interno della zona rossa per la presenza di Aethina tumida, il piccolo coleottero parassita degli alveari, dove il nomadismo è vietato per evitare la diffusione del coleottero.
 

Agrumi

Anche la produzione del miele di agrumi, principale raccolto primaverile del Sud Italia, è stata scarsa, anche se non come quella dell'acacia.

La regione più colpita dal calo è stata la Puglia con 5 chilogrammi ad alveare rispetto ai 35 attesi, seguita da Sicilia con 10 chilogrammi, Sardegna con 12 chilogrammi, Basilicata con 18 e Campania con 20 chilogrammi ad alveare sempre in confronto ai 30-35 attesi.
 

Castagno e tiglio

Anche questi altri due mieli monoflora importantissimi per la tarda primavera spesso non hanno reso quanto sperato nelle zone vocate.

Per il castagno critiche sono state le ondate di calore di giugno che in alcune zone hanno compromesso la fioritura e anche la recrudescenza dell'attacco del cinipide, oltre soprattutto al fatto che le api, stremate dalla fame di maggio, hanno dovuto ricostituire le scorte di miele dell'alveare prima di iniziare la produzione.

La produzione di castagno ha più o meno rispettato le attese in Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Lazio e le ha superate solo nel caso della Valle d'Aosta, mentre nelle altre zone vocate si sono registrati cali dal 25% fino a punte di oltre l'80% in Toscana, Marche, Liguria, Piemonte, Lombardia, Trentino, Sicilia, Campania, Basilica e Abruzzo, con il dato più negativo (-86%) in Calabria dove la produzione è stata di 3,5 chilogrammi ad alveare rispetto ai 25 chilogrammi attesi.

Per il tiglio la produzione è stata invece sotto la media attesa in tutte le regioni vocate del Nord e del Centro Italia con il totale azzeramento in Friuli Venezia Giulia, Lazio e Campania.
 

Altri monoflora

Male anche la sulla, fioritura interessante in Toscana, Abruzzo e Sardegna dove la produzione è stata circa la metà del previsto, con l'unica eccezione tra le regioni vocate della Calabria dove la produzione è stata in linea con le attese.

Tra gli altri mieli monoflora solo il rododendro ha avuto una buona produzione tra i 20 chilogrammi e i 25 chilogrammi ad alveare, ma solo in Valle d'Aosta e Piemonte, mentre le rese sono state scarse sul resto delle Alpi, zona di elezione di questo miele.

Anche il trifoglio ha tenuto abbastanza con produzioni medie di 10-15 chilogrammi da alveare in Puglia e Sardegna, e l'erica ma solo in zone limitate della Toscana, mentre per le altre fioriture come l'erba medica, il timo, il cardo, il tarassaco, l'eucalipto, il girasole e il coriandolo e melate le produzioni sono state in genere basse.

Mentre alcune produzioni tipiche come l'asfodelo in Sardegna e la melata di abete sull'Appennino Toscano hanno visto la produzione azzerata.

Anche il corbezzolo, una delle ultime fioriture dell'anno tipica della Sardegna, ha avuto una resa molto bassa, sui 5 chilogrammi ad alveare e in alcune zone vocate dell'isola non è nemmeno stato prodotto.
 

Millefiori

Per i millefiori, quello primaverile ha fatto registrare perdite dal 50% al 75% delle rese attese un po' in tutta Italia, con l'unica eccezione di alcune zone della Sardegna dove è stata raggiunta la produzione prevista di circa 20 chilogrammi ad alveare.

Ha tenuto invece abbastanza bene la produzione del millefiori di alta montagna in Valle d'Aosta, dove sono state fatte raccolte di 20 chilogrammi ad alveare e accettabili in Piemonte con circa 10 chilogrammi ad alveare, mentre in Lombardia non hanno superato i 6-10 chilogrammi.

Il millefiori estivo ha avuto una resa accettabile in Emilia Romagna, Lazio, Marche, Molise e Basilicata, mentre nelle altre regioni le produzioni sono state basse, anche meno della metà di quelle normalmente attese o completamente azzerate in Valle d'Aosta, Piemonte, Veneto e Abruzzo.
 

Mercato

A tutto questo si aggiunge una stagnazione del mercato dovuta alla riduzione della domanda e alla concorrenza a livello mondiale di grossi quantitativi di miele a bassissimo prezzo, che stanno mettendo in crisi anche i grandi paesi esportatori dell'Est Europa.

La conseguenza immediata è che nonostante la scarsa produzione i prezzi del miele italiano non salgono e in alcuni casi, come nel caso del castagno, tendono a diminuire.

Una situazione che sta diventando insostenibile per molte aziende, in particolare per quelle professionali, e che necessita di misure strutturali immediate, anche se per ora poco si muove.