Qualche anno fa, nel corso di una mobilitazione degli agricoltori particolarmente partecipata, non ricordo con precisione se si trattasse di una protesta contro l'aumento dei costi di produzione e la conseguente diminuzione drastica della marginalità o se, invece, fosse legata alle quote latte (spero perdonerete la scarsa memoria), lo scenario che si presentava era diametralmente opposto a quello cui abbiamo assistito nei giorni scorsi in Olanda.

 

Infatti, mentre all'epoca transitavano i trattori diretti a Parigi e a L'Aja, sede del Governo olandese, ai bordi delle strade i cittadini applaudivano. Incitavano gli agricoltori e gli allevatori nella loro battaglia. Li sostenevano perché ne condividevano essenzialmente le ragioni. Li sentivano vicini.

 

Oggi, al contrario, siamo di fronte a un paradosso grottesco. Mentre è aumentata la consapevolezza del ruolo degli agricoltori nel garantire l'approvvigionamento di cibo, nessuno sembra aver sostenuto la battaglia del mondo agricolo olandese. Ma si sa, questa è l'epoca del "tutto verde", della carne sintetica e del latte prodotto nei biodigestori. A volte ci si accontenta del greenwashing anziché impostare politiche verdi in grado di coniugare produttività, redditività, sostenibilità. Basta l'ambiente, purché poi non si chieda di pagare di più i prodotti allo scaffale, perché sì, lo farei, ma c'è l'inflazione. E quindi, in sintesi, a vincere sembra la linea del "Dagli addosso all'agricoltore".

 

La questione in Olanda è molto semplice. Il Governo ha posto l'obiettivo di ridurre il livello di azoto nell'ordine del 70-95% entro il 2030, mettendo a disposizione una cifra vicina ai 25 miliardi di euro. In che modo? Riducendo il numero di animali almeno del 30-40% rispetto ai valori odierni.

 

I Paesi Bassi (17 milioni di abitanti) contano su una vasta popolazione animale: 4 milioni di bovini, 12 milioni di maiali e 100 milioni di polli; secondo il Governo l'attività agricola incide per il 16% sul totale delle emissioni, ha ricordato Bloomberg in una specifica nota di agenzia.

 

Non essendo scienziati, non ci addentriamo nell'analisi dei parametri e non ci sbilanciamo nel sostenere se forse sia il caso di contenere il numero dei capi o se ormai vi siano tecnologie in grado di ridurre l'impatto ambientale senza intaccare il patrimonio zootecnico o se, ancora, i volumi e i valori analizzati addossino la responsabilità esclusivamente e come spesso accade, acriticamente, alla zootecnia. Sembrerebbe, comunque, che la caccia alle streghe sia ancora in atto, visto che la pazienza degli agricoltori si sta esaurendo anche in altre parti dell'Europa.

 

Il rischio che divampi una fiammata iper ambientalista, nel diffuso disinteresse dell'opinione pubblica, sempre più appiattita su posizioni contrarie all'allevamento (ignorando che i cosiddetti allevamenti intensivi sono anche i più controllati sul piano igienico sanitario, della salute e del benessere animale, dell'impatto ambientale), è quanto mai concreto. Un sentimento sempre più diffuso, almeno in quella parte di mondo che non si pone il problema di portare il cibo sulla tavola.

 

Al punto che solo pochi giorni fa in Consiglio Regionale della Lombardia è stata depositata una mozione avente per oggetto "Misure per sostenere una transizione verso metodi di agricoltura e allevamento razionali, volti anche a contrastare l'aumento dei costi, la scarsità delle materie prime e l'emergenza idrica".

Un titolo che apparentemente strizzerebbe l'occhio agli allevatori, ma che nei contenuti suona più o meno come una fatwa contro la zootecnia. L'ennesima proposta che si somma alle decine che vengono presentate anche a livello comunitario, come peraltro in passato ci aveva confessato l'europarlamentare Paolo De Castro, con lo scopo di dare addosso a un settore che, invece, è quanto mai strategico. Anzi, a dirla con gli studiosi dell'Università di Wageningen, la zootecnia rappresenta un tassello insostituibile se si desidera declinare al massimo grado l'economia circolare in agricoltura.

 

La mozione presentata dal Movimento 5 Stelle in Lombardia ha scatenato le reazioni del mondo agricolo, a partire da Coldiretti, che ha respinto al mittente l'assimilazione del caso olandese con quello italiano o lombardo, dove il carico del bestiame (tanto in Italia quanto in Lombardia) è decisamente più leggero in rapporto alla popolazione e alla superficie disponibile rispetto ai Paesi Bassi.

 

Resta il fatto che la transizione ecologica - magari con qualche aggiustamento adottato controvoglia da euroburocrati ai quali è sfuggito che tale percorso deve essere accompagnato da una altrettanto solerte spinta alla evoluzione genomica (attraverso le Tecniche di Evoluzione Assistita), all'economia circolare, alla produttività, alla riduzione degli agrofarmaci (avendo però valide alternative per salvaguardare le produzioni - non può essere accantonata. Ricalibrata, però, sì.

 

Allo stesso modo, dovranno essere condivise a livello europeo (inutile non dare linee guida comuni) strategie per l'adozione di energie rinnovabili, soluzioni agronomiche innovative, mappature e innovazioni digitali in grado di fotografare lo stato dell'arte di acqua, aria, suolo, rese in campo, fabbisogni idrici, di nutrienti, di biostimolanti, eccetera.

 

Purtroppo, a forza di raccontare che l'agricoltura vera è quella bucolica, i cittadini non si sono resi conto e non si rendono conto che non si possono imporre tagliole, vincoli, sacrifici, senza sostenere in parallelo un adeguato accompagnamento e senza adeguate sperimentazioni. Non dimentichiamo mai che dietro ogni impresa agricola c'è una famiglia, ci sono persone che lavorano, ci sono filiere (e occupati) che devono restare in piedi e non possono pagare il conto per tutti. Altrimenti chi tutelerà l'ambiente e chi produrrà il cibo, se non gli agricoltori?