La filiera del cibo diventa la prima ricchezza dell'Italia per un valore di 575 miliardi di euro nel 2021, con un incremento del 7% rispetto all'anno precedente.

Questo l'elemento principale che emerge da un'analisi della Coldiretti presentata in occasione del Forum Internazionale dell'Agricoltura e dell'Alimentazione, organizzato dalla stessa Coldiretti in collaborazione con lo studio The European House - Ambrosetti, a Roma.

Un balzo in avanti messo a segno nonostante le difficoltà legate all'emergenza sanitaria. Secondo la Coldiretti "la filiera agroalimentare del nostro Paese ha dimostrato un'elevata capacità di resilienza, con un incremento del fatturato che accomuna agricoltura, industria e grande distribuzione, mentre la ristorazione ricomincia crescere dopo un 2020 disastroso".
Il bilancio del made in Italy pesa oggi "quasi un quarto del Pil nazionale e dal campo alla tavola vede impegnati ben 4 milioni di lavoratori in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila ristoranti e 230mila punti vendita al dettaglio".
Si tratta di "una rete diffusa lungo tutto il territorio che viene quotidianamente rifornita dalle campagne italiane dove stalle, serre e aziende hanno continuato a produrre nonostante tutto, garantendo le forniture di prodotti alimentari sulle tavole degli italiani e di tutto il mondo".

"L'emergenza globale provocata dal covid-19 - afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini - ha fatto emergere una consapevolezza diffusa sul valore strategico rappresentato dal cibo e sulle necessarie garanzie di qualità e sicurezza. L'Italia può contare su una risorsa da primato mondiale ma deve investire per superare le fragilità presenti, difendere la sovranità alimentare e ridurre la dipendenza dall'estero per l'approvvigionamento in un momento di grandi tensioni internazionali".

L'alimentare made in Italy fa registrare il record storico nelle esportazioni raggiungendo quota 52 miliardi, se il trend in crescita del 12% sarà mantenuto secondo proiezioni della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero nei primi nove mesi del 2021. Di fronte alla crisi sanitaria bisogna segnalare una svolta salutista nei cittadini a livello globale che hanno privilegiato la scelta di prodotti alleati del benessere come quelli della dieta mediterranea. Tra i principali clienti italiani ci sono gli Stati Uniti che si collocano al secondo posto con un incremento del 17% nel periodo gennaio-agosto 2021; positivo l'andamento anche in Germania che si classifica al primo posto tra i Paesi importatori con un incremento del 7%, pari a quello della Francia che è stabile al terzo posto, mentre al quarto si trova la Gran Bretagna dove però le vendite sono "stagnanti a causa delle difficoltà legate alla Brexit, come le procedure doganali e l'aumento dei costi di trasporto dovuti a ritardi e maggiori controlli". Tra gli altri mercati in evidenza, la crescita del 15% della Russia e del 47% della Cina.

Nelle fondamenta alla base del "successo" del made in Italy c'è "un'agricoltura che è diventata la più green d'Europa con la leadership Ue nel biologico con 80mila operatori, il maggior numero di specialità Dop, Igp, Stg riconosciute (316), 526 vini Dop e Igp e 5.333 prodotti alimentari tradizionali".

L'Italia è il primo produttore Ue di riso, grano duro e vino e di molte verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea come pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi. E anche per quanto riguarda la frutta primeggia in molte produzioni importanti, come mele e pere fresche, ciliegie e uve da tavola, kiwi e nocciole e castagne.

Nello spazio di una generazione, 25 anni, il valore medio delle esportazioni agroalimentari made in Italy - secondo il primo rapporto della Coldiretti e del Censis sulle abitudini alimentari degli italiani nel post covid-19 - è praticamente triplicato, passando da 0,65 euro al chilogrammo a 1,88 euro al chilogrammo grazie alla capacità della filiera di offrire un prodotto di qualità sempre più elevata ma anche alle norme che hanno consentito di tutelare e valorizzare il vero prodotto italiano. Questo andamento ha consentito all'Italia di recuperare spazi anche nel confronto con altri Paesi europei. Un esempio è il successo ottenuto dal vino tricolore che ha raggiunto in 25 anni un valore medio di 3 euro, con un incremento del 129%, arrivando a tallonare la Francia che, nello stesso periodo, ha segnato un -15% e oggi vale 4,2 euro, mentre la Spagna è cresciuta solo del 17% con un valore pari a 1,3 euro al litro.

Il valore creato dai produttori però va tutelato con opportuni strumenti regolatori che non consentano a chiunque di giocare con brand e creare confusione o competere slealmente senza regole. L'esempio più clamoroso è quello del falso made in Italy che nel mondo è arrivato a fatturare oltre 100 miliardi di euro sottraendo risorse e opportunità di lavoro all'Italia.
"Per sostenere il trend di crescita dell'enogastronomia made in Italy - osserva Ettore Prandini - serve però agire sui ritardi strutturali dell'Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo. Una mancanza che ogni anno rappresenta per il nostro Paese un danno in termini di minor opportunità di export al quale si aggiunge il maggior costo della bolletta logistica legata ai trasporti e alla movimentazione delle merci. L'Italia può ripartire dai punti di forza con l'agroalimentare che ha dimostrato resilienza di fronte la crisi e può svolgere un ruolo di traino per l'intera economia".