Chi si occupa di verde pubblico in città si scontra quotidianamente con il problema di conciliare le richieste di cittadini ed amministratori con le buone pratiche di gestione. Certamente le dinamiche "urbane" non sono quelle vigenti in natura: esigenze ed aspettative sono completamente diverse. Tuttavia, anche in "tempo di pace", riusciamo a complicarci la vita. E la questione non è unicamente sul come o sul quando interveniamo, ma anche sul perché.

Parlando di alberi, ad esempio, succede che si facciano dei tagli errati, magari nella stagione sbagliata. A volte, tuttavia, non ci si chiede nemmeno se sia veramente necessario tagliare (forse ancora si pensa che le piante debbano per forza essere potate?!). Ed è proprio dal "perché" che si fa più fatica a partire correttamente.
 
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L'albero in città

Quanti sono gli interventi davvero necessari? Non solo sui nostri alberi, ma sulle aree verdi in genere. Sembra quasi che si debba per forza fare qualcosa… sempre!

Gli ultimi CamCriteri ambientali minimi, per il servizio di gestione del verde pubblico ci ricordano, giustamente, di "copiare" i criteri e le regole della natura: è l'approccio nature-based solution. Cosa non semplice e, soprattutto, non sufficiente. Sì, proprio perché, in certe occasioni, sarebbe meglio lasciare fare alla natura (che tra l'altro si arrangia benissimo da sola).

È il giusto equilibrio tra il fare e il non fare. Si badi bene: il "non fare" non è trascurare o abbandonare, ma lasciar fare alla natura.
Questo perché, spesso, la valorizzazione di un luogo naturale non è "miglioramento", ma "sfruttamento": la maggior parte degli interventi dell'uomo rappresentano un'invasione, un elemento che, per lo meno, porta ad un'artificiosa modificazione che semplifica e regredisce fitocenosi ed ambienti.  
Come il bosco ama il caos (e la selvicoltura naturalistica ci insegna che il legno morto in bosco è un arricchimento), così certe aree delle nostre città dovrebbero puntare ad una "confusione", ciò che all'occhio dei meno esperti appare come degrado, ma che, invece, è spontaneità, diversità.

Pensiamo alla differenza tra un prato da golf, un prato di un parco ed un prato stabile. La biodiversità, il valore ecologico, la ricchezza in piante ed insetti non sono nemmeno confrontabili. E tutto questo arriva dalla natura in tempi lunghi. Le vere ricchezze floristiche nelle città non le troviamo nei parchi dove giocano i bambini o dove sgambano i cani, ma lungo le rogge o, curiosamente, nelle caserme o nelle fabbriche abbandonate, proprio laddove l'uomo non entra.
 
Con i nostri interventi cerchiamo di mettere ordine alla "confusione vegetazionale" (elemento positivo), creando, invece, un disordine che nasce da cattive pianificazioni, da progettazioni estetiche che per nulla rispecchiano il paesaggio e rispettano le valenze ecologiche delle piante.

E chi se non gli enti pubblici, per primi, devono avere l'obbligo di guardare oltre a questo ordine artificiale, alzare la prospettiva ed allungare la visione sul lungo periodo, magari acquistando terreni, sottraendoli allo sfruttamento edilizio od agricolo? Oggi abbiamo bisogno di "riserve urbane", spazi lasciati incolti, a loro stessi, per periodi lunghi.

Purtroppo, pensare che qualcuno investa per acquistare un terreno e poi non farci "niente" non è facile da accettare, soprattutto in una società come la nostra, del fare, costruire, valorizzare e rendere tutto raggiungibile, ad ogni costo.
 
E per gestire tutto ciò non basta la passione e la buona volontà, ma ci vuole una visione olistica data dall'unione di conoscenze, oltre a lungimiranza, sensibilità e modestia.

L'auspicio per le nostre città ed i nostri paesi è quello di ritornare a vedere il vero portamento di un albero, di godere di un prato stabile e di piccoli ambienti, angoli liberi, non gestiti, in cui la natura possa lentamente e autonomamente trovare il proprio dinamico e splendido equilibrio. Per il bene di tutti.
Stefano Peruzovich
Associazione Pubblici Giardini
Delegazione Friuli Venezia Giulia

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