L'olivo è una pianta ben attrezzata per affrontare estati calde e scarse di pioggia. Eppure, nonostante si sia evoluta nel bacino del Mediterraneo, la pianta sta risentendo negli ultimi anni di un clima sempre più difficile. Le temperature estive hanno ormai raggiunto valori un tempo considerati anomali e il numero di notti tropicali, in cui cioè la temperatura non scende sotto i 20 gradi, è in costante aumento.
Le piante hanno caldo e avrebbero bisogno di acqua per gestire le temperature elevate, ma di acqua ne scende sempre meno dal cielo. I periodi siccitosi si stanno facendo più lunghi e spesso, quando piove, lo fa in maniera intensa, con le cosiddette bombe d'acqua, che creano problemi di erosione e non dissetano la campagna, visto che, incontrando un suolo indurito dalla siccità, l'acqua scivola per riversarsi velocemente in torrenti e fiumi.
Il riscaldamento globale ha dunque impatti diretti sulla resa e sulla sostenibilità delle colture. La stessa Spagna, che pure produce molto più olio dell'Italia, si trova in difficoltà. "Di fronte a questi fenomeni è necessario ripensare le tecniche agronomiche e integrare soluzioni innovative", ci racconta Adolfo Rosati, ricercatore presso il Crea, Centro di Ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura di Spoleto, che ci spiega quali sono le pratiche che possono contribuire ad un futuro più resiliente per l'olivicoltura.
Cosa possono fare gli agricoltori per adattarsi a questo clima in mutamento?
"Chiaramente l'ideale sarebbe disporre di acqua per l'irrigazione. Ma questo non è sempre possibile, sia per la sempre maggiore scarsità di acqua, sia perché, laddove l'acqua c'è, si preferisce utilizzarla per usi, agricoli e non, più competitivi rispetto all'olivicoltura".
E in assenza di acqua?
"Per adattarsi, gli olivicoltori possono intervenire su tre fronti principali. Da un lato, per i nuovi impianti la scelta delle varietà più tolleranti alla carenza di acqua. Bisogna poi cambiare la gestione agronomica del suolo. Ed infine usare in maniera intelligente la potatura. Questi tre approcci, messi insieme, possono fare una grande differenza. Ma non esiste una soluzione unica, ogni olivicoltore deve scegliere il mix di pratiche che meglio si adattano alla propria realtà aziendale".
Quali varietà di olivo sono più adatte ai climi siccitosi?
"Alcune varietà tradizionali si sono dimostrate particolarmente resistenti. Un esempio è il Moraiolo, storicamente coltivato su coste con suoli superficiali e poveri, quindi con poca acqua. È una pianta che ha un'elevata capacità di assorbire acqua anche da un suolo piuttosto asciutto. Altre varietà, come il Canino per esempio, hanno una buona resistenza alla siccità grazie ad un elevato vigore che consente di sviluppare radici più possenti, che esplorano volumi maggiori di suolo e più in profondità.
Le varietà italiane sono moltissime e in ogni zona ce ne sono diverse, alcune più resistenti alla siccità di altre. Tuttavia, nell'individuare le varietà adatte è fondamentale considerare non solo la resistenza alla siccità, ma anche altri fattori, come la suscettibilità a malattie, la capacità di impollinazione, la produttività e la qualità dell'olio".
Qual è il ruolo del miglioramento genetico in questo contesto?
"Il miglioramento genetico è essenziale per creare nuove varietà che combinino una maggiore resistenza alla siccità con una buona produttività e qualità dell'olio, oltre che con una buona resistenza alle altre avversità. Attualmente, l'olivicoltura è meno dinamica rispetto ad altre colture, come quelle frutticole, che rinnovano continuamente le varietà".
Che cosa si può fare?
"Dobbiamo investire in campi sperimentali e accelerare i programmi di miglioramento genetico e selezione per ottenere materiali genetici, nuovi o selezioni tra quelli esistenti, più adatti alle nuove condizioni climatiche. Tutto questo, però, richiede tempo per sperimentare in campo le nuove varietà, per periodi sufficientemente lunghi. Nel frattempo, è bene scegliere tra le varietà che hanno già dimostrato un buon adattamento alla zona di coltivazione".
I portainnesti possono aiutare?
"Certamente. I portainnesti possono migliorare la resistenza alla siccità. Per esempio, l'uso di olivastri o di semenzali vigorosi consente di ottenere piante con radici più profonde e una maggiore capacità di sopportare la scarsità d'acqua.
Tuttavia, questa tecnica richiede cautela e tempo: è necessario testare sul campo ogni combinazione varietale per evitare problemi a lungo termine. Inoltre, in ambienti settentrionali o comunque dove periodiche forti gelate obbligano a ricostituire la pianta a partire dai succhioni, è sconsigliabile l'uso di piante innestate, in quanto i succhioni si sviluppano dalla radice, quindi sotto l'innesto. ".
Ci sono degli aspetti negativi relativi all'uso dei portainnesti?
"Bisogna fare diverse valutazioni. Portainnesti vigorosi possono ritardare l'entrata in produzione, sia perché le piante più vigorose iniziano a fruttificare più tardi, sia perché, necessitando di un sesto di impianto più ampio, si raggiunge la massima produzione dell'oliveto in un lasso di tempo maggiore. D'altro canto, però, come detto, piante più vigorose, con radici più possenti, sono in grado di assicurare una maggiore stabilità produttiva anche in annate difficili".
Come si può, invece, migliorare la gestione della poca acqua che precipita sugli oliveti?
"La gestione dell'acqua deve partire dal suolo. Aumentare la sostanza organica è fondamentale: un terreno ricco di humus trattiene più acqua e, migliorando la struttura del terreno, aumenta l'infiltrazione durante le piogge intense e riduce l'erosione. Inoltre, un suolo ben strutturato è più permeabile anche ai gas, consentendo alle radici di respirare e quindi svilupparsi fino a profondità maggiori, esplorando volumi di suolo più grandi e quindi aumentando ulteriormente l'acqua a disposizione".
Come si aumenta la sostanza organica in oliveto?
"I metodi sono molti. Ad esempio si deve evitare di lavorare il terreno, in modo da contrastare la mineralizzazione della sostanza organica. Si deve dunque optare per una trinciatura meccanica delle infestanti, lasciando i residui al suolo. Si può scegliere anche un diserbo chimico oppure si possono utilizzare degli animali, come le pecore, per effettuare un diserbo naturale.
Laddove si volesse utilizzare un inerbimento seminato, per i vantaggi che questo può comportare, si può considerare la semina su sodo, che si può fare non solo con seminatrici da sodo (che sono costose e raramente presenti in azienda), ma anche con delle normali attrezzature, opportunamente impiegate. Importantissimo, i residui di potatura non vanno allontanati né bruciati, ma trinciati e lasciati al suolo".
Si possono usare anche concimi organici, come il letame?
"Se è disponibile e a basso costo assolutamente sì. Ma va bene anche trinciare della paglia di grano e qualunque altra biomassa, se è facile da reperire e a buon mercato".
Qual è il ruolo dell'inerbimento?
"L'inerbimento, se ben gestito, può essere una risorsa preziosa. Coltivare una leguminosa o un miscuglio di graminacee dall'autunno alla primavera, per esempio, consente di fissare l'azoto e creare una grande quantità di biomassa che in primavera può essere trinciata (se non dissecca naturalmente) o rullata (con un rullo piegatore o crimper roller) e lasciata a terra come pacciamatura.
Questo approccio riduce l'evaporazione dal suolo e migliora la struttura del terreno. Tuttavia, se la vegetazione dell'inerbimento ricaccia durante l'estate, va disseccata o trinciata molto bassa, per evitare che si instauri una competizione con l'olivo per l'acqua".
Gli olivicoltori di solito effettuano lavorazioni superficiali durante l'estate per preservare l'acqua nel terreno...
"Queste lavorazioni, seppure possono portare vantaggi nell'annata in corso, compromettono l'accumulo di sostanza organica nel lungo periodo, minando l'investimento in fertilità e in capacità di trattenere più acqua. Inoltre le lavorazioni, distruggendo le radici più superficiali dell'olivo, impediscono all'albero di beneficiare di eventuali piogge estive leggere, che non bagnino il suolo in profondità".
E negli oliveti giovani?
"Le piante giovani richiedono attenzioni specifiche. È essenziale evitare la competizione con le infestanti vicino al tronco, che rallenterebbe anche di molto la crescita delle giovani piante. Per questo il terreno deve essere sgombro per almeno 1 metro attorno al colletto. Per farlo, oltre alla lavorazione meccanica si può anche ricorrere a pacciamature organiche o in materiale plastico. Inoltre, l'uso di biostimolanti e fertilizzanti mirati, contenenti anche macro e microelementi, se necessario, può accelerare la crescita, rendendo la pianta più resiliente alla siccità già nei primi anni di vita".
Bisogna dunque velocizzare il più possibile la crescita?
"Nel caso della pianta giovane il principio di non minare l'investimento in fertilità nel lungo periodo diventa secondario rispetto al ridurre la competizione idrica e nutrizionale nel breve periodo. Questo perché favorire la crescita della pianta giovane è prioritario, per aumentare più rapidamente la sua resistenza alla siccità e perché l'investimento in fertilità nel lungo periodo si può comunque fare sull'interfilare, che rappresenta la maggior parte della superficie del terreno ed il luogo dove si svilupperanno le radici quando la pianta sarà cresciuta".
La potatura può essere uno strumento per gestire la carenza idrica?
"La potatura permette di equilibrare la chioma con le risorse disponibili. In condizioni di siccità crescente, è utile ridurre leggermente l'estensione della chioma per diminuire la traspirazione e migliorare la resistenza della pianta. Tuttavia, è importante evitare potature eccessive, che stimolino la crescita di succhioni e polloni, i quali consumano inutilmente acqua e risorse".
Come ci si deve comportare con succhioni e polloni?
"Andrebbero eliminati il prima possibile, già durante l'estate, in modo che non si sviluppino sottraendo energie e acqua al resto della pianta. Aspettare l'inverno per potarli sarebbe da evitare, soprattutto in caso di siccità".
Quali altri accorgimenti si possono adottare in caso di siccità estrema?
"In annate particolarmente secche, se la pianta è in scarica, cioè non porta frutti, o ne porta troppo pochi per raccoglierli, vuoi per una questione di alternanza di produzione o per problemi di impollinazione o per cascola dei frutti dovuta a siccità estrema, si può pensare di anticipare la potatura invernale all'estate, per ridurre lo stress idrico.
Alleggerire la chioma durante i mesi più siccitosi riduce lo stress e consente alla pianta di concentrare le risorse, inclusa l'acqua, sui rami che produrranno l'anno successivo, migliorando la futura produzione. Questo approccio non è però praticabile normalmente, quando le piante sono cariche, perché con la potatura si eliminerebbe parte della produzione".
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