Da qualche tempo si vedono circolare notizie in cui si accomunano "pesticidi" e Pfas (sostanze perfluoroalchiliche), mettendo ultimamente nel mirino l'erbicida flufenacet.
L'abbinamento, così come è proposto, è però alquanto infelice, poiché accomuna i mezzi tecnici a un'ampia categoria di prodotti balzati ai disonori della cronaca in Italia per la vicenda Miteni, produttrice di queste sostanze. Fondata nel 1965 a Trissino, in provincia di Vicenza, venne chiusa nel 2018 a seguito del clamore destato dal ritrovamento nelle acque degli Pfas che produceva.
Gli Pfas sono sostanze impiegate per esempio nelle pentole antiaderenti e in altri prodotti di comune uso, civile o industriale, inclusi alcuni agrofarmaci. Un elenco alquanto esaustivo dei molteplici usi degli Pfas è stato riportato nel sito dell'Istituto Mario Negri. Elenco parecchio lungo che proprio per la sua lunghezza ed eterogeneità si consiglia di leggere attentamente, visto che al suo interno gli agrofarmaci non compaiono, forse perché fonte irrisoria rispetto a tutte le altre.
Cosa sono gli Pfas
Meglio infatti capirsi subito: sotto l'acronimo Pfas ricadono oltre 4.000 diverse molecole caratterizzate da strutture chimiche quanto mai differenti, alcune cosiddette "lunghe", altre note come "corte", proponenti diversi comportamenti nell'organismo e nell'ambiente. Di norma, gli Pfas a catena lunga sono poco affini sia all'acqua, sia ai lipidi, venendo escrete via urine senza aver interagito con l'organismo.
Alcune fra le tante molecole si possono però legare a specifiche proteine e quindi restare in circolo, passando più e più volte dai filtri renali senza essere espulse poi con le urine. Quindi, tempi di smaltimento fisiologico molto lunghi.
Cosa c'entra flufenacet?
Poco o nulla, sebbene fra i prodotti fluorurati ricada appunto flufenacet, erbicida che nella propria struttura molecolare di atomi di fluoro ne contiene quattro.
Struttura molecolare di flufenacet: quattro gli atomi di fluoro in essa contenuti
(Fonte: Fitogest.com)
Stando a un articolo riportato su Il Fatto Alimentare, sarebbero state riscontrate nelle acque concentrazioni superiori a 10 µg/L di acido trifluoroacetico (Tfa), suo metabolita. Questa molecola è in effetti uno Pfas a catena ultra-breve, infatti ha una buona predisposizione a migrare nelle acque.
Struttura molecolare dell'acido trifluoroacetico, metabolita di flufenacet (Fonte immagine: Donatello Sandroni)
Ne consegue la pressione per fare revocare flufenacet nel più breve tempo possibile, anche perché Efsa lo avrebbe catalogato come interferente endocrino, argomento che però continua a dividere in quanto ogni effetto ha una dose al di sotto della quale non si verifica. Andrebbe cioè stabilito se ai livelli reali di esposizione vi possa essere un rischio non accettabile che tale effetto di manifesti.
Al di là delle valutazioni di Efsa, però, c'è un aspetto che andrebbe considerato e che invece viene ignorato: il Tfa non è prodotto solo per degradazione di flufenacet, bensì deriva da molte altre sostanze di uso civile e industriale. Per esempio deriva dagli idrofluorocarburi (Hfc e Hfo) alla base dei gas refrigeranti. In natura, a quanto pare, di Tfa se ne trova in ragione di centinaia di milioni di tonnellate, ammontare di cui solo una porzione infinitesima si può quindi attribuire a flufenacet.
In sostanza, le concentrazioni di Tfa rinvenute nelle acque vi è ragione di credere derivino per la quasi totalità da altre molecole comunemente impiegate per altre attività umane, civili o industriali. Un po' quello che succede ad Ampa, metabolita di glifosate spesso rinvenuto anch'esso nelle acque, ma derivante in larga parte da fonti non agricole, come per esempio tensioattivi e detergenti.
Su questo tema venne dato in passato esauriente approfondimento, a conferma che il furore mediatico contro Ampa serviva solo per aggravare la posizione di glifosate. Il caso Tfa nelle acque, le cui concentrazioni sono attribuite a flufenacet senza specificare tutto il resto, è quindi un déjà vu con un agrofarmaco posto alla gogna mediatica, facendo in tal modo da scudo ad altre sostanze di impiego molto più massiccio che con l'agricoltura nulla hanno però a che fare.
E si dubita che chi attacca oggi flufenacet, contribuendo a farci perdere un altro prezioso alleato nella produzione di cibo, sia disposto a rinunciare a tutti i benefici delle tecnologie che guardano alla refrigerazione. Del resto, si dubita anche che i cittadini siano disposti a tornare ai lavaggi a mano fatti con la cenere dei camini, anziché con i detersivi che, appunto, di Ampa ne producono molto ma molto di più di quanto faccia glifosate.
Le procedure europee
Chiariti quindi i punti più scottanti della vicenda flufenacet/Tfa, vediamo cosa dice Bruxelles sul destino della sostanza attiva. L'11 settembre 2023 il Regolamento di esecuzione (UE) 2023/1757 della Commissione stabiliva che:
"Per le sostanze attive clomazone, daminozide, fludioxonil, flufenacet e tritosulfuron, ai fini della valutazione dei criteri di approvazione di cui ai punti 3.6.5 e 3.8.2 dell’allegato II del regolamento (Ce) n. 1107/2009, l’Autorità ha richiesto, a norma dell’articolo 13, paragrafo 3 bis, primo comma, del regolamento di esecuzione (UE) n. 844/2012, informazioni supplementari che i richiedenti hanno presentato entro il termine stabilito dall’Autorità. L’Autorità ha però bisogno di un periodo di tempo supplementare per valutare le informazioni ricevute e adottare conclusioni che precisino se sia prevedibile che le sostanze attive soddisfino i criteri di approvazione e alla Commissione occorre un periodo di tempo supplementare per prendere la conseguente decisione di gestione dei rischi".
L’allegato del regolamento di esecuzione (Ue) n. 540/2011 è stato quindi modificato per flufenacet inserendo la data del 15 giugno 2025.
Sarà quindi meglio iniziare a prepararci all'ennesima dipartita di un altro pezzo della maglia di difesa che faticosamente stiamo tentando di mantenere intorno alle colture che danno a tutti da mangiare. Prima o poi, forse più prima che poi, anche la popolazione non agricola, i media, i valutatori e i normatori europei si renderanno conto del danno al quale tutti, in misura diversa, stanno concorrendo a produrre.
E no: il discorso "Facevo soltanto il mio dovere" non vale. Non è mai valso, né mai varrà, se chi faceva il proprio dovere non si rendeva conto delle conseguenze di lungo termine a carico di tutti.