Dal 2014 al 2018 gli investimenti in startup nel settore agrofood hanno toccato quota 759 milioni di dollari, per un totale di 278 deal. Numeri da record se si pensa che questo piccolo Stato, grande quanto la Sicilia, conta appena 8,5 milioni di abitanti. E che il territorio è semi-desertico, inadatto ad una agricoltura intensiva che invece gli israeliani hanno reso possibile grazie allo sviluppo di tecnologie innovative, prima fra tutte la microirrigazione.
Israele è al top nel ranking globale della competitivitá
Chiacchierando con gli organizzatori di Agrisrael 4.0, l'evento pensato per mettere in contatto startup innovative israeliane nel settore agri-food (qui le 18 selezionate da AgroNotizie) con aziende e partner internazionali, si capisce immediatamente che Israele è riuscito a creare un ambiente che incentiva la nascita di nuove imprese e le sostiene nella crescita. Ogni anno nascono intorno alle 1.500 startup e anche se solo il 4% ha successo (negli Usa siamo all'1%) queste hanno una ricaduta importante sull'economia nazionale che deve il 13% del suo Pil proprio al settore dell'innovazione.
I 5 pilastri della Startup Nation
Ma qual è il segreto del successo di Israele? Durante i workshop organizzati nel contesto di Agrisrael 4.0 è emerso che il modello della Startup Nation si basa su cinque pilastri.Il primo è la Ricerca e Sviluppo. Il 70% del budget del ministero dell'Agricoltura (sostenitore di Agrisrael 4.0 insieme a quello dell'Economia, degli Affari esteri e all'Israel Export Institute) è destinato all'innovazione. E a pesare sono anche gli investimenti fatti da aziende locali e multinazionali che in Israele trovano le skills di cui hanno bisogno.
E infatti il secondo pilastro è legato all'istruzione. Israele, fondata nel 1948, può vantare il terzo posto nella classifica globale dei Paesi con il sistema scolastico piú performante. Ingegneri, medici e programmatori hanno la fama di essere tra i migliori al mondo.
Cultura imprenditoriale. Per un paese piccolo, privo di risorse e isolato nella regione, l'unica vera ricchezza è l'inventiva dell'uomo e la sua capacità di creare business innovativi. Il governo lo sa e quindi fa di tutto per sostenere lo spirito imprenditoriale. Incentiva anche l'internazionalizzazione delle startup, ma disincentiva il loro trasferimento all'estero (come vi raccontiamo qui).
Il quarto pilastro è legato alla cooperazione pubblico-privato. Il governo attraverso i suoi ministeri e ad autorità nuove, come l'Innovation Autority, rendono più facile la vita degli imprenditori e arrivano anche a finanziare direttamente le startup più interessanti, coordinandosi con acceleratori e fondi di investimento.
Infine c'è il fatto di essere leader a livello globale per quanto riguarda l'hi-tech. Oggi le multinazionali che hanno funzioni di open innovation guardano ad Israele. Anche giganti dell'industria come Enel o StMicroelectronics sono presenti nel paese per sviluppare business innovativi. E ai giganti piace fare shopping: Google ha acquisito per 1,15 miliardi di dollari Waze, mentre Intel ha sborsato la bellezza di 15,3 miliardi per Mobileye. Nel settore agricolo Mexichem SA ha acquisito nel 2017 Netafim per 1,5 miliardi di dollari.
Università, anche la ricerca pubblica fa business
Moltissimi consumatori italiani apprezzano i pomodori tipo ciliegino. I più famosi sono certamente quelli di Pachino, ma in pochi sanno che quella coltivata in Sicilia è una varietà selezionata in Israele e che la relativa privativa varietale ha fruttato alla Hebrew University (con 8 premi Nobel all'attivo) la bellezza di un miliardo di dollari in questi anni.Nell'ambito di Agrisrael 4.0 abbiamo avuto modo di visitare il campus universitario nella città di Rehovot, dove ha sede la facoltà di agraria. Qui 400 ricercatori portano avanti studi nei settori più disparati, dall'uso della cannabis a fini medicali fino all'adattamento delle colture ai cambiamenti climatici passando allo sviluppo di prodotti a base di proteine vegetali.
In una delle serre del campus ad esempio si stanno cercando varietà che siano resistenti agli stress idrici. Per monitorare la risposta delle piante a differenti input viene usato Plantarray, una tecnologia sviluppata da PlantDitech (altro spin off universitario) che attraverso sensori nei vasi e telecamere aeree raccoglie informazioni per la fenotipizzazione delle piante. Vengono misurati parametri come l'accrescimento della biomassa, l'evapotraspirazione, lo sviluppo fogliare, il colore dei tessuti e tanto altro ancora. Tutti elementi utili ai ricercatori che stano anche sviluppando algoritmi di intelligenza artificiale per una analisi automatica dei big data raccolti.
A valorizzare la ricerca ci pensa Yissum, la Technology Transfer Company della Hebrew University che possiede e gestisce i brevetti ottenuti dall'università (oltre 10mila). Legati a Yissum ci sono 180 spinoff e oltre 2.300 collaborazioni con società private. Yissum ha anche un proprio acceleratore, Hugrow, dedicato all'agroalimentare, che serve a far crescere le startup. E un fondo di investimento, anche questo vertical sul food, chiamato Agrinnovation.
I kibbutz, cuore pulsante dell'agricoltura israeliana
Il 40% della produzione agricola dello Stato di Israele è assicurata dai kibbutz. Passeggiando per i viottoli di Naan, a sud di Tel Aviv, si comprende bene l'aspetto collettivistico della vita in questi villaggi nati agli inizi del secolo scorso. I bambini frequentano le suole interne e hanno a disposizione un centro sportivo con tanto di piscina dove svagarsi. Gli anziani vengono curati in case di riposo comuni, mentre gli adulti lavorano nei campi (e ultimamente anche nelle fabbriche) e usufruiscono di ospedali interni, di un servizio di previdenza e di altri servizi. E tutti si ritrovano nella mensa comune per consumare il pranzo o la cena.Fondati in un territorio semi-desertico, costretti all'autosufficienza, gli agricoltori dei kibbutz hanno dovuto cercare il modo di utilizzare la poca acqua a disposizione per irrigare efficacemente le colture. E qui infatti sono nati i primi impianti di irrigazione a goccia. Oggi il settore è maturo, ma nei centri di ricerca dei kibbutz si continuano a sviluppare soluzioni innovative per l'irrigazione di precisione. Viridix ad esempio è una startup che ha sviluppato un dss per l'irrigazione distribuito da NaanDanJain, società di Naan che produce attrezzature per l'irrigazione a goccia. E nel kibbutz si studiano anche avveniristiche tecnologie per la coltivazione del basilico e di altre erbe aromatiche.
L'efficacia nello sviluppare soluzioni innovative è dimostrata dal successo delle aziende. Nel kibbutz Hatzerim, nel sud del paese, è nata il gigante Netafim, acquisito come ricordato da Mexichem SA. Mentre a Naan è stata fondata NaanDan Irrigation, acquisita da Jain Irrigation, conglomerata indiana che ha versato al kibbutz circa 80 milioni di dollari.
Tre cose da imparare da Israele
L'Italia ha una profonda tradizione agroalimentare e i nostri prodotti si sono guadagnati la reputazione di essere tra i più buoni e sicuri al mondo. Eppure in un contesto di concorrenza internazionale agguerrita, con gli effetti dei cambiamenti climatici sempre più evidenti e la presenza di nuove minacce, come le specie aliene, anche al nostro paese servirebbe ingranare la marcia verso l'innovazione.Guardando ad Israele si possono cogliere alcuni spunti interessanti. Il paese ha un modello di supporto delle startup basato su partnership pubblico-private che riesce ad accelerare e finanziare le nuove realtà imprenditoriali efficacemente. C'è poi una rodata cinghia di trasmissione tra il settore della ricerca e quello industriale, che traduce in prodotti e servizi le scoperte dei ricercatori. E infine c'è un uso efficiente dei fondi pubblici (molti dei quali di derivazione europea) che permettono a università e centri di ricerca, come il Volcani, di investire nella ricerca di base.