Ma il successo di Israele, che rivaleggia solo con la Silicon Valley statunitense, non viene dal nulla, ma è il frutto di un sano rapporto di cooperazione tra pubblico e privato. Attraverso l'Autorità per l'innovazione lo Stato investe nelle startup che pensa possano produrre ricchezza per il paese. E gli acceleratori aiutano il Governo a valutare i business plan dei futuri imprenditori. Ogni idea imprenditoriale viene attentamente valutata e solo dopo un processo di analisi l'Autorità decide se investire, anche con cifre importanti, fino a 40 milioni di dollari.
"Israele ha un territorio semi-arido, l'acqua è scarsa e i primi agricoltori hanno dovuto innovare per poter trasformare la sabbia in terreno fertile", spiega ad AgroNotizie Amir Zaidman, vicepresidente di The kitchen foodtech hub, un incubatore di startup con un focus sull'agroalimentare. "Siamo una nazione piccola, con poche risorse naturali, ma moltissime umane e tecnologiche. L'innovazione è stata necessaria per sopravvivere quando è stato fondato lo Stato di Israele e per questo è tenuta così in alta considerazione. Qui essere un innovatore è una professione riconosciuta dallo Stato".
Anche The kitchen foodtech hub lavora a stretto contatto con l'Autorità per l'innovazione. L'obiettivo è attrarre le migliori menti del mondo e offrire loro la possibilità di avere successo. "Per chi vuole fare impresa Israele è il posto migliore del pianeta e il Governo ha varato un piano per snellire gli oneri burocratici per gli stranieri che desiderano venire nel paese ad aprire una startup", spiega Zaidman che ha partecipato al Future food-tech di Londra, un evento che ha portato nella capitale inglese imprese, startupper e investitori da tutto il mondo.
L'Autorità per l'innovazione ha cinque obiettivi: prima di tutto far crescere l'economia di Israele. In secondo luogo non sostituirsi al mercato, ma intervenire solo quando l'impresa non riesce a reperire capitali dagli investitori tradizionali. Terzo, non avere pregiudizi nel valutare i progetti. Quarto, condividere il rischio con gli imprenditori: se una azienda ha successo i guadagni vengono divisi, se fallisce lo Stato non chiede nulla indietro. Quinto, scoraggiare chi vuole portare all'estero il know-how sviluppato in Israele con soldi pubblici (può farlo, ma deve pagare delle penali).
"Questo non significa che le imprese devono restare in Israele e guardare solo al mercato israeliano. Devono essere globali, ma ci deve essere una ricaduta sul territorio degli investimenti fatti dal Governo", spiega Zaidman. "Dietro al nostro incubatore c'è lo Strauss group, una multinazionale israeliana dell'agroalimentare che ha centri amministrativi, interessi economici e siti produttivi in tutto il mondo".
The kitchen foodtech hub, con sede a Ashdod, una cittadina a Sud di Tel Aviv, investe dai 500mila ai 700mila dollari in startup del settore agroalimentare come Deep learning robotic, una società che ha messo a punto dei robot in grado di inserirsi nella catena di produzione di una azienda agroalimentare in modo veloce. O come BactuSense, che ha brevettato un test per individuare la presenza di batteri patogeni all'interno di un campione di cibo.
Nell'incubatore le startup passano attraverso un processo di crescita della durata di diciotto mesi che viene disegnato sulle esigenze particolari della nascente impresa. Chiunque può fare richiesta per entrare. "Una cosa che valutiamo molto positivamente sono i progetti che fanno della sostenibilità uno dei valori portanti. Ad esempio stiamo investendo in una startup che sta sviluppando un metodo di allevamento industriale degli insetti per la produzione di farine proteiche ad uso alimentare".
Ogni giorno nel paese quattro società aprono i battenti e due chiudono. In Israele il fallimento di una giovane impresa non è un problema, anzi. Rappresenta una risorsa perché gli imprenditori hanno fatto esperienza ed è probabile che quando fonderanno una nuova startup o entreranno in una azienda già consolidata porteranno con loro il bagaglio di esperienze che hanno vissuto e, si spera, non commetteranno gli stessi errori.
"Il concetto di fallimento è diverso in Israele piuttosto che in alcuni Stati europei", puntualizza Zaidman. "Qui non sei un fallito se hai fondato una azienda e ti è andata male, sei solo uno che ha avuto il coraggio di provarci. Ci possono essere mille fattori che hanno portato alla morte della startup: magari l'imprenditore ha avuto una buona idea, ma il suo manager ha operato male. Magari i capitali non erano sufficienti, la tecnologia sviluppata era troppo avveniristica o non ha trovato riscontro sul mercato. L'importante è provarci, sempre".
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