Pochi giochi, al mondo, hanno regole semplici come quelle di ‘Guardie e Ladri’: il ladro scappa e la guardia cerca di acchiapparlo. L’inseguito sceglie velocità, percorsi e traiettorie per non farsi prendere; l’inseguitore cerca di adeguarsi e di anticiparne le mosse. Il risultato è un gioco spassoso in cui i ruoli sono ben definiti (le guardie sono i buoni e i ladri i cattivi) e che, per il 99% del tempo, vede i cattivi essere uno o più passi davanti ai buoni.
Passati gli anni dell’infanzia il gioco sparisce come tale, ma i suoi ruoli e le sue regole di base rimangono nella società adulta con risultati finali assai meno spassosi. Non fa eccezione il settore agroalimentare, anzi…
In base ai dati contenuti nel terzo rapporto sulle Agromafie presentato a Roma da Coldiretti, Eurispes e Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, negli ultimi anni i buoni si sono mostrati sempre più in affanno e i cattivi hanno preso il largo, mettendo a segno in un anno un incremento di ‘fatturato’ del 10% e raggiungendo nel 2014 i 15,4 miliardi di euro di business.
Impossibile entrare in tutti i dettagli del rapporto che, nella sua veste cartacea, conta circa 220 pagine di dati, analisi e proiezioni, ma indubbiamente vale la pena di abbozzare un sunto dei suoi punti focali.

I campi di interesse
Se già dagli anni ’50 la camorra si dedicava al controllo e alla gestione della commercializzazione all’ingrosso nel campo alimentare, nel corso dei decenni l’attività delle organizzazioni criminali, spesso ‘consorziate’, si è esteso lungo tutta la filiera dell’agroalimentare coprendo dalla zolla al piatto. Si ritrovano infatti investimenti di capitali di origine criminale nella produzione, nel trasporto, nella lavorazione (che, neanche a dirlo, è sovente sinonimo di ‘contraffazione’ e ‘adulterazione’), nel packaging, nella distribuzione e nella ristorazione, quest’ultima con oltre 5 mila esercizi tra bar, ristoranti di ogni ordine e grado e franchising di marchi di tendenza. Non mancano poi presenze nei settori della macellazione e panificazione (rigorosamente clandestine), nello sfruttamento degli animali per fini diversi, nel doping dei cavalli da corsa, nella gestione dei rifiuti, nella cementificazione di aree agricole e nel business delle energie alternative.
Nel settore alimentare produzione, distribuzione, vendita sono sempre più penetrate e condizionate dal potere criminale, esercitato ormai in forme raffinate attraverso la finanza, gli incroci e gli intrecci societari, la conquista di marchi prestigiosi, il condizionamento del mercato, l’imposizione degli stessi modelli di consumo e l’orientamento delle attività di ricerca scientifica. E se una volta il problema poteva essere considerato come una peculiarità meridionale, oggi non ci sono zone ‘franche’ rispetto a tali fenomeni e i sodalizi criminali interessano anche le aree del Centro e del Nord Italia, dove le consorterie mafiose si sono da tempo insinuate nel tessuto economico attraverso un fitto intreccio di interessi tra comitati d’affari locali e famiglie mafiose siciliane, clan camorristici e ’Ndrangheta calabrese.

Alla conquista del ‘mondo di sopra’: dal money laundering al money dirtying
Sarà anche vero che, come pare abbia detto l’imperatore Vespasiano, Pecunia non olet, ma il denaro accumulato in maniera non lecita è sempre stato considerato ‘sporco’ e ha sempre avuto bisogno di un accurato lavaggio. I capitali accumulati sul territorio dagli agromafiosi attraverso le mille forme di sfruttamento e di illegalità hanno perciò bisogno di sbocchi, devono essere ripuliti  e messi a frutto. Ecco allora lasciano la campagna e raggiungono le città – in Italia e all’estero – dove è più facile renderli anonimi, confonderli con quelli regolari della ‘terra di mezzo’ e ripulirli infettando pezzi interi di buona economia. Sin qui nulla di nuovo: il riciclaggio, con i suoi mille volti, è attività nota da secoli.

Quello che invece è un fenomeno nuovo e particolarmente preoccupante è il money dirtying, ossia il suo esatto contrario. Non sono più i capitali ‘sporchi’ a essere ripuliti, bensì i capitali puliti a indirizzarsi verso l’economia sporca. Il fenomeno è nuovo, ma tutt’altro che marginale: almeno un miliardo e mezzo di euro transitano sotto forma di investimento dall’economia sana a quella illegale, ovvero circa 120 milioni di euro al mese, 4 milioni di euro al giorno.

In sostanza, diversi soggetti che dispongono di liquidità prodotta all’interno dei settori attivi nonostante la crisi, trovano convenienti e pertanto decidono di perseguire forme di investimento non ortodosso, con l’obiettivo del massimo vantaggio immediato possibile. affidandosi a soggetti borderline o ad organizzazioni in grado di operare sul territorio nazionale e all’estero in condizioni di relativa sicurezza.
A di la delle implicazioni etiche e morali che tale pratica implica, va detto che i motivi pratici – almeno a prima vista - non mancano: la crisi economica, le regole imposte da Basilea 2 e 3 che limitano fortemente l’erogazione del credito, l’incertezza e, spesso, la paura che spingono i privati alla tesaurizzazione piuttosto che all’investimento, la possibilità per le stesse banche di approvvigionarsi presso la Bce a tassi vicini allo zero, con la conseguenza che diminuisce sempre più l’interesse  alla raccolta, che viene ormai remunerata in maniera simbolica. Tradotto in parole povere: il capitale immobilizzato rende poco o niente e gli investimenti produttivi sono percepiti come troppo rischiosi. Gli investimenti nell’economia malavitosa, al contrario, appaiono caratterizzati da un livello di rischio più che contenuto in rapporto alla redditività. Il settore agroalimentare, che in questi anni ha continuato a crescere nonostante tutto, è diventato ancor più appetibile sul piano dell’investimento.

Quali sono i vantaggi di questa attività per le organizzazioni criminali? Diversi, a partire da quello ‘relazionale’. Attraverso queste operazioni nel ‘mondo di mezzo’, per usare una terminologia mutuata dalle recenti cronache giudiziarie romane, si generano possibilità di entrare in contatto con il ‘mondo di sopra’, cioè imprenditori rispettabili, uomini d’affari, esponenti della politica e del mondo istituzionale centrale e locale, operatori del sistema creditizio. Insomma, frequentare i salotti buoni.
Il secondo è di natura ‘estetica’: l’afflusso di moneta buona migliora l’aspetto e copre l’odore di quella cattiva. Le due monete finiscono per confondersi e ibridarsi, cancellando di fatto i confini tra l’economia sana e quella malata.
Il terzo è di natura ‘strumentale’: essere utili, garantire guadagni e assicurare nello stesso tempo protezione, stabilire in sostanza un patto di complicità con operatori rispettabili e con aziende e società anche rinomate può risultare molto proficuo e vantaggioso. In effetti, una volta abbattuto il muro di separazione tra i due mondi, niente impedisce di sviluppare nuove iniziative di interesse comune, nuovi business. Finché  l’uomo d’affari, l’imprenditore che ha cercato o accettato il contatto e ha affidato ad organizzazioni illegali o mafiose propri capitali, diventa esso stesso oggetto e soggetto del riciclaggio e, da finanziatore,  complice.

Il tavolo dei relatori
© Alessandro Vespa - AgroNotizie

E sulla Rete le piovre diventano ragni
Dopo decenni di semianalfabetismo telematico, anche l’Italia comincia a scoprire e sfruttare le potenzialità di internet. Parliamo ovviamente solo dell’Italia sana, perché quella criminale questa scoperta l’ha fatta da tempo, muovendosi oggi sulla Rete più che da piovra, da ragno.
Nel 2014 l’incremento dell’e-commerce nel nostro Paese è stato del 17% rispetto all’anno precedente, per un volume economico pari a 13,2 miliardi di euro, con il settore agroalimentare che si colloca, forse a sorpresa, al secondo posto tra quelli che pesano maggiormente sulle vendite online con una quota del 12%.

Accanto alle recenti esperienze positive, di successo e di crescita, la Rete fa registrare da anni la presenza attiva delle varie componenti della malavita, che la usano spesso come porto franco e, per quanto riguarda i crimini agroalimentari, diviene uno dei canali ideali per la distribuzione di prodotti scaduti e ridatati o alimenti contraffatti o pericolosi, ma anche per la diffusione dell’Italian sounding, con il suo carico di osceni Chianti svedesi, Baroli canadesi e formaggi tipici prodotti, prevalentemente in Nuova Zelanda, Australia e Canada, con kit da ‘Piccolo Chimico’ in tempi che vanno dai 30 minuti ai due mesi.
I Nuclei antifrodi dei Carabinieri hanno individuato 70 diverse tipologie di prodotti alimentari contraffatti in vendita sulla Rete. Non tutte sono riconducibili alla nostra criminalità, ovviamente, ma non stupisce il rifiorire in chiave di business dei luoghi comuni che danneggiano l’immagine del nostro Paese nel mondo: dal caffè e il “Fernet Mafiosi” dalla Germania.

Ora, che il nostro agroalimentare debba difendersi dalla concorrenza sleale proveniente dall’estero, ci può stare. Fa parte in qualche modo delle regole del mercato globale; ma che sia una parte della nostra stessa economia a remarci contro è folle. Nel nome di un guadagno immediato le agromafie contribuiscono a smantellare quella reputazione del nostro Paese che è alla base della richiesta mondiale di made in Italy alimentare; motore anche dei loro traffici. È il parassita che uccide il proprio ospite.

La reazione delle istituzioni
"Il quadro descritto dal rapporto è pesante sia per estensione che per valore, ma la situazione non è irrimediabile" ha detto l’ex Procuratore Generale Giancarlo Caselli, coautore del rapporto.

La strada da intraprendere però è tutt’altro che agevole, disseminata di ostacoli quali l’eccessiva mitezza per i reati agroalimentari, la mancata specializzazione di parte della magistratura  e il pressoché immancabile intervento della prescrizione.  E mentre il ministro dell’agricoltura, Maurizio Martina, non ha potuto che ribadire il valore del sistema italiano dei controlli, è toccato al ministro della giustizia, Andrea Orlando,  entrare nel merito di ciò che accade dopo la scoperta del reato.

Dopo aver bacchettato l’Europa, poco attenta ed efficace  nel combattere la corsa delle agromafie ai finanziamenti comunitari, Orlando ha convenuto con Caselli sulla necessità di aggiornare parte della magistratura per consentirle di tenere il passo con le attività della criminalità organizzata, rilanciando con l’idea di una struttura in grado di coordinare i vari soggetti preposti al controllo e con l’importanza dell’introduzione della punibilità per il reato di autoriciclaggio, che limiterebbe a suo dire la prescrizione e frenerebbe il travaso di capitali tra le due economie.

Dopo aver annunciato la prossima costituzione di un gruppo di lavoro dedicato ai reati agroalimentari presso il ministero da lui presieduto, Orlando si è detto convinto che, per contrastare questo genere di reati, la tipologia di intervento migliore sia quello amministrativo e interdittivo, giacché data la mitezza delle pene previste, gli operatori del crimine temerebbero molto più la perdita del capitale che quella della libertà.

Tanti ottimi propositi, ma sinora la maggior parte di essi si trova ancora nella fase di studio o di valutazione, mentre i reati sono già perpetrati. Si ripropone per l’ennesima volta la dinamica del Guardie e Ladri, con i buoni destinati a inseguire i cattivi. Almeno finché un guizzo, un’intuizione degli inseguitori, o più probabilmente un miracolo, non pongano fine all’infinita fuga e, con essa, al gioco.