C’è in programma il World Halal Food Council e per l’Italia è un evento epocale. Mai, fino ad oggi, i massimi esperti del settore agroalimentare prodotto secondo i dettami della Shariah, la legge islamica, avevano eletto l’Italia per un simile incontro.
D’altronde, da meno di tre anni è approdata in Italia la sezione territoriale della Halal International authority (Hia), organismo deputato a certificare i prodotti e i processi come rispettosi della religione coranica.
Presidente per l’Italia è Sharif Lorenzini, una laurea in Ingegneria gestionale al Politecnico di Torino e un dottorato di ricerca in Internazionalizzazione dell’impresa, conseguito in Inghilterra.
Ma le ragioni del perché l’Italia ospiti il Consiglio mondiale del cibo Halal vanno anche individuate nelle peculiarità del mercato italiano, che ha quattro milioni di consumatori (in Europa sono 35 milioni e nel mondo sono due miliardi) e vale oltre 4 miliardi di euro (“ma è una stima prudenziale”, assicura Lorenzini) ed esporta prodotti leciti secondo la legge islamica (è questo il significato del termine Halal, il cui contrario è haram, non lecito) per un valore di 40 miliardi.
“Ma le potenzialità di crescita sono enormi – afferma il presidente di Hia Italia – visto che sono solo 130 le imprese italiane che hanno ottenuto la certificazione”.
Presidente Lorenzini, quali sono i requisiti necessari per avere un prodotto Halal?
“Il cittadino islamico deve conformarsi alla legge islamica nella sua vita in famiglia, nella società, in tutte le sue parti. Il credente musulmano non compra un prodotto né usufruisce in un servizio senza porsi una domanda: è Halal? E i requisiti, parlando di agroalimentare, sono quelli di una certificazione del prodotto e del processo per ottenerlo, anche intesa come naturalezza dei prodotti, autenticità dell’origine, etica aziendale di chi produce o commercializza il prodotto, trasparenza e rintracciabilità dell’nera filiera”.
Questo vuol dire che la certificazione è ancora più estesa del modello “dalla terra alla tavola”…
“Sì. Vanno certificato tutti i servizi legati al prodotto, compresa la logistica e i trasporti, ma anche i servizi amministrativi e informatici, i servizi destinati al consumatore finale, i conti correnti bancari, il lavoro, così come gli aspetti di conformità con i dogmi della finanzia islamica. Anche tutti i sistemi assicurativi, per dire. Insomma, il rispetto della Shariah è globale”.
Qual è un prodotto italiano largamente utilizzato che non è conforme alle regole della Shariah?
“Il formaggio. Non le faccio l’esempio della carne perché è battuto e ribattuto e tutti sanno che c’è la macellazione islamica alla base. Mentre il formaggio è uno di quei prodotti che noi chiamamo insidiosi, ovvero che presentano gravi criticità”.
E sarebbero?
“Il formaggio italiano, pur essendo un prodotto d’eccellenza, presenta una criticità grave, che è quella del caglio di origine animale. Per il musulmano, affinché il formaggio possa essere certificato dalla Hia, il caglio deve essere estratto da un animale estratto secondo la macellazione islamica”.
Oppure utilizzate il caglio vegetale
“Sì. Col vantaggio che il caglio vegetale soddisfa anche i consumatori vegetariani. Nei certificati Hia è menzionato se il formaggio ottenuto è stato prodotto da caglio animale estratto secondo la macellazione islamica o se è vegetale”.
Vi sono grandi aziende lattiero casearie certificate Halal?
“Certamente, anche perché la richiesta di formaggi Dop è molto elevata. Il mondo islamico apprezza molto il made in Italy, ma fino al 2010, con l’insediamento di Hia, i Paesi islamici non importavano prodotti italiani. Fra le grandi imprese lattiero casearie c’è la Latteria Soresina, nel Cremonese, che produce Grana padano. Altre realtà so che si stano certificando, ma non hanno ancora terminato l’iter, nella filiera del Parmigiano reggiano”.
Quanto costa certificarsi?
“Direi che i costi sono inferiori o simili ad una certificazione Iso 9000. Ma mi lasci dire quali altri prodotti si pensa possano essere genuini, invece non sono conformi Halal”.
Prego.
“Alcuni succhi di frutta sono insidiosi, soprattutto quelli di colore rosso e i semilavorati per il gelato, che hanno una base rossa. In questi prodotti viene utilizzato largamente un colorante classificato come naturale (E120), ma in cui compare la cocciniglia, sostanza estratta da un insetto. Tutto questo, oltre ad essere haram, riteniamo che qualsiasi consumatore non lo accetterebbe, se lo sapesse”.
Nella certificazione Halal, qual è il punto più critico?
“I punti vendita, indubbiamente. Il supermercato tradizionale, secondo la politica Hia, oltre a certificare i prodotti ha fra i suoi obiettivi quello di sviluppare un mercato armonioso e regolamentato”.
Quali sono le strutture più idonee a tale percorso?
“Grande distribuzione e distribuzione organizzata. Tuttavia manca un tassello, perché purtroppo i canali distributivi pensano di non aver bisogno di certificazione, che invece è necessaria, anche per le modalità di accoglienza e comunicazione verso il consumatore musulmana e di esposizione del prodotto. Altrimenti un prodotto Halal rischia di essere inquinato, perdendo così tale qualificazione”.
In Italia quanti sono i punti vendita certificati Halal?
“Zero. Ci sono circa 130 aziende certificate Halal in Italia e nessun punto vendita certificato. Questo significa che c’è massima diffidenza verso i prodotti che vengono serviti come Halal. Eppure i nostri centralini sono inondati da richieste quotidiane di chiarimenti su dove trovare prodotti certificati e su quali prodotti si possono consumare”.
La filiera di fatto è interrotta.
“Già. Stiamo incontrando dirigenti della gdo e della do per convincerli a fare anche a livello sperimentale delle iniziative col supporto di Hia, in modo da dare garanzie al consumatore. Perché uno dei rischi è di affidarsi a enti di certificazione non riconosciuti dall’Autority internazionale, con la conseguenza che i prodotti e la filiera non è Halal e tocca ripartire da capo con Hia”.
Quali sono le potenzialità di crescita del settore Halal in Italia?
“Enormi, perché è un terreno vergine rispetto a Paesi come Germania, Olanda, Belgio, dove il 60% delle aziende è certificato Halal. Anche il mercato interno può ancora crescere, considerato che i consumi alimentari medi di una famiglia musulmana, per la quale è sacra l’ospitalità, sono una volta e mezza rispetto alle famiglie italiane. Insomma, non stiamo parlando di prodotti per celiaci, che sono una nicchia. Qui ci sono già quattro milioni di consumatori. E poi il made in Italy, ripeto, è molto ricercato. Pensiamo all’area del Sud Est asiatico, fra Malesia e Indonesia ci sono 400 milioni di cittadini di religione musulmana, ma fortemente europeizzati nei consumi".
Nell’edizione 2012 di Vinitaly, a Verona, venne presentato un vino “Halal”. Quali sono i prodotti Halal più venduti?
“Tutti i prodotti caseari, dal formaggio al siero, dal latte in polvere a quello fresco, ma anche yogurt e panna. L’Italia è molto famosa nel mondo anche per i semilavorati, la pasta, i dolci, i biscotti e i prodotti a base di grano e cereali in generale. Poi ci sono additivi alimentari, coloranti non di origine animale, l’olio di oliva è molto richiesto. E poi gli olii per gli alimenti e la cosmetica, un altro settore in forte sviluppo, come i prodotti per l’igiene. I musulmani pregano cinque volte al giorno e pertanto hanno bisogno di lavarsi cinque volte al giorno”.
Per produrre Halal bisogna essere musulmani?
“No. L’importante è che si seguano le regole della Shariah. Solo in alcune posizioni della filiera è richiesta la presenza e talvolta anche il ruolo attivo di un religioso osservante, come ad esempio nelle macellazioni islamiche, dove è prevista l’invocazione ad Allah”.
Sono necessari corsi di formazione?
“Noi li consigliamo vivamente, per preparare l’azienda alla cultura del prodotto. Il messaggio è che produrre Halal è un’opportunità, non un peso. Si tratta di una segmentazione del prodotto”.
Serve un notaio per la certificazione?
“Non è necessario, ma basta la supervisione dell’organo religioso interno a Hia, che è il Cis, il Comitato internazionale della Shariah. Per l’Italia il responsabile è l’imam Abdul Rahmen. In ogni paese c’è un delegato”.
Un prodotto Halal può essere acquistato anche da un non-musulmano?
“Certamente, e il prodotto rimane Halal. Il Corano, che è la fonte canonica della Shariah islamica, riporta le parole di Allah. Ai versi 164 e 165 del capitolo che si chiama Baqra è scritto: O uomini, mangiate da ciò che vi abbiamo reso sulla terra lecito e sano. L’invito non è rivolto solo ai musulmani, ma a tutti gli uomini e alle donne. Il Halal è un diritto di tutti gli uomini, perché tutti gli uomini devono avere la possibilità di mangiare sano e salutare”.