E' tutto pronto per rilanciare la coltivazione della patata. Si può ricorrere alla genomica e al tracciamento del Dna per la selezione, a nuove tecniche di irrigazione, a nuovi strumenti e metodi di difesa. Ma prima bisogna risolvere il nodo del mercato e della scarsa aggregazione dei produttori. Perché le patate italiane sono di alta qualità, ma produrle costa di più che altrove e oggi la catena del valore è spostata a vantaggio delle fasi intermedie e finali (condizionamento e distribuzione), mentre ai produttori restano gli “spiccioli” (circa 20 centesimi per kg, contro un prezzo finale di 75 centesimi). Sono questi, in estrema sintesi, le conclusioni alla quale è giunta la “due giorni” che ha animato il 16esimo incontro nazionale sulla patata organizzato in occasione di Eima da Ce.Pa. (il centro per la documentazione della patata di Bologna). Sul podio si sono alternati ricercatori, tecnici, gastronomi e cuochi, tutti alla ricerca di un freno alla continua emorragia di aziende che abbandonano la coltivazione di questo tubero. Colpa degli investimenti necessari e della concorrenza del prodotto estero che hanno ridotto al lumicino il numero dei produttori.

 

I numeri

Delle oltre 120mila aziende censite da Istat nel 2000, ne sono rimaste in attività poco più di 50mila. Tante ne risulterebbero dal censimento del 2010. Un dato forse in difetto, ma la flessione è confermata. Così come la produzione, scesa da oltre 2 milioni di tonnellate agli attuali 1,7 milioni. Produzione che non copre nemmeno il fabbisogno nazionale (2,1 milioni di tonnellate), sebbene il consumo di patate in Italia (40 kg pro capite) sia assai più basso rispetto ad altri Paesi della Ue.

 

Costi troppo alti

Produrre di più si può, ma è necessario comprimere i costi di produzione, senza ovviamente incidere sulla qualità del prodotto. Il confronto con gli altri Paesi grandi produttori conferma che i nostri costi di produzione sono più elevati anche a causa di una minore efficienza produttiva. Da qui l'esigenza di portare sul campo le innovazioni proposte dalla ricerca, che in questo settore è molto attiva, come hanno dimostrato gli interventi della “due giorni” di Bologna. Ma non basta. Il nodo da sciogliere è quello dell'organizzazione e competitività del settore, che deve trovare nelle forme organizzate (organizzazioni dei produttori, unioni di prodotto e cooperazione) la formula per trasformare i produttori da comparse a protagonisti del mercato. Solo così ci si potrà confrontare con la distribuzione, ottenendo che la quota del valore appannaggio dei produttori sia commisurata ai costi di produzione. Appena 5 centesimi al chilo in più significherebbero 1,5-2mila euro in più per ogni ettaro coltivato a patate. Quanto serve per ridare impulso al settore.

 

Il consumo

Poi occorre agire sul consumo. La qualità delle patate italiane è nota ed è suggellata dalla Dop che la Ue ha riconosciuto per la patata di Bologna e l'Igp per la patata della Sila. Qualità che vanno fatte conoscere favorendo ad esempio l'indicazione dell'origine sui punti vendita, dove troppo sovente si incontrano anonime casse senza alcuna indicazione della provenienza, né tantomeno del produttore. Un altro interessante canale di commercializzazione, come evidenziato dall'incontro promosso da Ce.Pa., è quello della ristorazione collettiva. Ogni ristorante, si è detto in questa occasione, utilizza oltre 30 quintali di patate all'anno. Un quantitativo significativo che potrebbe anche aumentare a fronte di una adeguata promozione del prodotto e una distribuzione mirata. Ma anche in questo caso la parola chiave è ancora aggregazione e organizzazione dei produttori. Senza di questa restano solo belle idee e speranze deluse.