Coltivata da almeno 7mila anni dalle popolazioni delle Ande (Rif. i), il suo habitat si estende dall'Equatore fino ai 45° S di latitudine, e dalla costa del Pacifico fino ai 4mila metri dell'altipiano boliviano. Una tale varietà di condizioni pedoclimatiche dimostra l'enorme adattabilità di questa pianta, che oltre ad elevati livelli di salinità del suolo tollera siccità e ghiacciate. La sua importanza per la sopravvivenza delle popolazioni andine era tale che gli Incas la consideravano sacra e la consumavano durante molti rituali. Per tale motivo i Conquistadores scoraggiarono con ogni mezzo la coltivazione della quinoa -associata ai riti pagani - e non la esportarono in Europa, come fu invece la sorte del mais, la patata o il pomodoro (Rif. ii).
La quinoa rimase dunque una coltura marginale, tipica dell'agricoltura di sussistenza delle popolazioni rurali più povere dei paesi andini, fino a quando il mercato salutista non scoprì, all'inizio del XXI secolo, le strabilianti proprietà nutrizionali di questo pseudocereale: è privo di glutine, contiene tutti gli aminoacidi essenziali, contiene Omega 3 e Omega 6. Inoltre, proviene da paesi poveri e quindi favorisce il cosiddetto "commercio giusto"… tutti gli ingredienti necessari per montare un grande apparato pubblicitario, tendente a spostare le abitudini dei consumatori di fascia medio-alta dai prodotti "tradizionali" a quelli "green". L'effetto della propaganda salutista sui prezzi della granella di quinoa, così come le sue difficoltà d'inserimento nel sistema agricolo italiano, sono documentati nell'articolo di Tommaso Cinquemani, Coltivazione della quinoa: un'opportunità per gli agricoltori?.
Un recente studio del Centro Basco per il cambio climatico (Rif. iii) mette in risalto come la semplicistica ideologia vegana, sfruttata dalle logiche di marketing globale con l'etichetta dei "superfood", porti a pratiche più insostenibili di quelle che tale ideologia pretende di combattere.
Riassumiamo di seguito le conclusioni di uno dei capitoli del suddetto studio, dedicato precisamente alla quinoa:
- Trasportare la quinoa dalle Ande in Europa comporta ingenti emissioni di CO2, che si potrebbero ridurre consumando varietà euroasiatiche, equivalenti dal punto di vista nutrizionale (ad esempio Chenopodium album) disponibili da distanze minori. È opinione dell'autore che l'argomento dei ricercatori baschi sia comunque debole: poiché l'essere umano necessita di proteine per vivere, che senso ha importare tali proteine dall'Asia? Le emissioni di CO2 associate ad una bistecca o a un petto di pollo prodotti in Italia, saranno dello stesso ordine di grandezza, se non minori, di quelle associate ad una quantità equivalente di pseudocereale importato, a prescindere che si tratti di C. album o C. quinoa.
- L'incremento esponenziale della domanda ha comportato che i campesinos andini diminuiscano il numero di capi di lama e alpaca per convertire i terreni di pascolo in coltivazioni di quinoa. L'allevamento dei camelidi era però di fondamentale importanza nella rotazione in cui veniva coltivata tradizionalmente la quinoa, in quanto serviva a restituire carbonio e azoto all'arido suolo dell'altipiano andino. Mancando il letame, i coltivatori sono costretti a ricorrere ai fertilizzanti chimici. Ciò comporta la degradazione dei suoli per deficit di carbonio e l'aumento delle emissioni di CO2 associate ai fertilizzanti, oltre a maggiori costi per i coltivatori.
- La riduzione del numero di capi di lama e alpaca ha anche comportato un problema sociale. Contrariamente al modello di vita "new age", che propone lo stereotipo del contadino aborigeno che vive in armonia con la natura perché si nutre solo di colture miracolose dono di "Madre Gea", la realtà dei fatti è che l'alimentazione tradizionale delle popolazioni indigene è tutt'altro che vegana. Molte delle loro pietanze utilizzano la carne ed il grasso di lama o alpaca assieme alla quinoa, il mais o l'amaranto. Mancando la carne di lama, i campesinos comprano carne di bovino, pecora, capra, o pollo… La qualità dell'alimentazione delle popolazioni rurali andine è anche peggiorata perché, dedicando tutto il loro raccolto all'esportazione, esse hanno sostituito la quinoa con fonti di carboidrati più "povere", ma più economiche, quali riso e frumento… rigorosamente importati e dunque con un'impronta di CO2 associata decisamente alta.
- L'incremento della domanda di quinoa ha spinto i contadini boliviani e peruviani a passare dalla coltivazione manuale alla meccanizzazione, con il conseguente problema sociale dell'indebitamento delle comunità rurali per l'acquisto dei mezzi. L'utilizzo di macchinari pesanti per la lavorazione del suolo, oltre alle famigerate emissioni di CO2, ha innescato la proliferazione di pesti, che richiedono dunque il ricorso ad agrofarmaci: ulteriori emissioni globali di CO2 e microinquinamento locale di un ecosistema di per sé fragile.
- Sono oltre venti le cultivar di quinoa più conosciute, ma il 90% della domanda mondiale è soddisfatto da solo quattro di esse, più gradite ai consumatori dell'emisfero Nord. Ciò ha comportato la perdita di biodiversità di questa coltura, aumentando la vulnerabilità della stessa ai fattori biotici e abiotici.
Economia circolare per fare i conti con le inesorabili leggi del mercato
La piattaforma di ricerca Bio4energy, un consorzio fra quattro università svedesi, ha studiato il problema del crollo dei prezzi della quinoa e la sua influenza sulla fragile economia delle comunità rurali andine, sviluppando assieme ad una università boliviana alcune soluzioni per valorizzare i residui colturali e recuperare così la redditività persa.La Foto 1 mostra lo schema ipotizzato dai ricercatori.
Foto 1: Il processo concepito dai ricercatori di Bio4energy
(Fonte foto: pagina citata. Traduzione e adattamento grafico dell'autore)
Clicca sull'immagine per ingrandirla
Lasciamo al lettore giudicare quale possa essere la fattibilità per un agricoltore, a prescindere che esso sia boliviano o europeo, di produrre e commercializzare biopolimeri, oppure di adottare una tecnica d'idrolisi enzimatica per produrre bioetanolo dai residui di quinoa...
L'idea di un altro gruppo di ricercatori - tedeschi e guatemaltechi - di utilizzare gli steli di quinoa come sottoprodotto per produrre biogas (Rif. iv) sembra più fattibile di quella ipotizzata dal gruppo Bio4energy, ma non sembra ragionevole estrapolare alle condizioni colturali reali i valori di resa in biomassa ottenuti con una coltivazione idroponica in laboratorio.
È pure dubbioso il Bmp massimo - 304 Nm3/tonnellate SV ovvero 41 Nm3/tonnellate t.q. - riportato dallo studio, perché:
- la metodologia adottata moltiplica il margine d'incertezza (si veda Focus critico sulla norma VDI 4630/2014 - I Parte e II Parte);
- sono stati utilizzati gli steli freschi anziché il residuo post-raccolto, o l'insilato;
- non è stato analizzato il contenuto di saponine degli steli, che può essere nullo o molto elevato, dipendendo dalla cultivar, ed ha un'influenza diretta sul processo di digestione;
- l'inoculo utilizzato per le prove è stato prelevato da un impianto di fanghi fognari anziché da un digestore agricolo.
Gli aspetti più interessanti che possiamo riscattare dallo studio in questione sono:
- che il Bmp si mantiene al suo massimo valore per colture cresciute con salinità fino a 20 ppt (ovvero 31,2 mS/cm, si veda la tabella d'equivalenza in La coltivazione di alofite a scopo energetico e ambientale. Come parametro di comparazione, si ricorda che la salinità del Mediterraneo è di 37 ppt.);
- che il contenuto di sale nella biomassa epigea aumenta con la salinità del medio di coltura. In altre parole, la quinoa ha la capacità di estrarre il sale dal suolo e accumularlo nella sua biomassa.
Quali opportunità di reddito aggiuntivo per i coltivatori italiani?
In questa sezione tenteremo di fornire ai nostri lettori qualche spunto di analisi, in base a dati reali, sull'effettivo potenziale della biomassa di quinoa. Il primo passo è stimare l'ordine di grandezza della risorsa. Secondo uno studio condotto a Ragusa nel 2006 (Rif. v) la produttività di granella oscilla fra 4,5 e 7,1 grammi/pianta e la produzione di biomassa epigea fra 42,2 e 85,9 grammi per pianta. Ciò significa che il rapporto fra biomassa è granella è abbastanza indipendente dalla resa totale, compreso fra 9:1 e 12:1.Assumiamo per semplicità che tale rapporto sia 10:1 e che la produttività media per ettaro sia 1,25 tonnellate/ettaro (Si veda l'articolo di Matteo Giusti intitolato Quipu, la quinoa italiana). Ciò vuol dire che la biomassa residua dopo il raccolto sarà 12,5 tonnellate/ettaro. Può l'utilizzo di tale biomassa negli impianti di biogas fare qualche differenza nel bilancio aziendale, come sostengono i ricercatori nordici? Nella modesta opinione dell'autore, no.
Si consideri che un impianto di biogas "tipico" (1 MW elettrico) dovrebbe consumare oltre 70 tonnellate di residui colturali di quinoa al giorno per poter funzionare, quindi la disponibilità di biomassa residua di un prodotto di nicchia come la quinoa è irrilevante per il mercato del biogas. Inoltre, sarebbe assurdo utilizzare il digestato nello stesso terreno di coltura della quinoa perché si restituirebbero al terreno i sali assorbiti nella biomassa, vanificando così il beneficio ambientale della coltura.
Quali sono dunque le opzioni più ragionevoli per valorizzare la biomassa di quinoa? Oltre agli studi già discussi prima, le ricerche si sono concentrate sull'estrazione di xilano, cellulosa e saponine (Rif. vi e vii). Tali opzioni, nell'opinione dell'autore, difficilmente potrebbero contribuire a migliorare la redditività e la sostenibilità ambientale della coltura. Nel contesto andino, la produzione di pellet per sostituire la legna - risorsa scarsa in quell'area - ha un senso, a condizione però di smaltire le ceneri in qualche modo che ne impedisca il ritorno del sale al campo. Nel contesto italiano, tale opzione è pressoché inviabile, a meno che si trovi un cliente industriale per tali pellet nelle vicinanze delle coltivazioni (si veda Pellet per uso industriale). L'utilizzo degli steli secchi come foraggio non è neanche fattibile, perché molte cultivar contengono saponine anche nella biomassa.
La coltivazione della quinoa può diventare sostenibile - sul lungo termine - e perfino giovare all'ambiente, se si verificano le seguenti condizioni:
- La sua coltura va promossa nelle aree affette di salinizzazione del terreno o dell'acqua irrigua (400mila ettari in Italia - visita questa pagina per saperne di più).
- La biomassa residua viene asportata dal terreno, in modo da ridurre - con il passare degli anni - la salinità di quest'ultimo. Quindi sono da escludere i suoi utilizzi come pacciamatura (Foto 2) e come sottoprodotto da inviare a digestione anaerobica. L'utilizzo più semplice e immediato è la cippatura e combustione, recuperando il calore necessario per il condizionamento della granella (punto successivo). Le ceneri vanno smaltite, non si devono cospargere nel terreno perché contengono sale e si andrebbe a vanificare il vantaggio ipotizzato al punto precedente. Per evitare l'inaridimento è necessario l'apporto di carbonio e azoto al terreno, con compost di qualità o letame.
Foto 2: Residui colturali di quinoa lasciati sul campo ad Oruro (Bolivia)
(Fonte foto: Daniel Salas Veizaga)
- La granella viene trattata nella stessa azienda agricola, eliminando le saponine e confezionando il prodotto in situ, per dargli il massimo valore aggiunto (10 euro/chilogrammi, prezzo al consumatore finale nel mercato di prodotti dietetici). Le saponine si eliminano mediante un semplice lavaggio in acqua a 40 °C-60 °C (video amatoriale qui sotto) o una miscela di acqua e alcol (Rif. viii), seguito dall'essiccazione immediata del prodotto.
Video: Rilascio delle saponine durante il lavaggio dei semi di quinoa
(Fonte video in questa pagina)
- Le saponine possono rappresentare fino al 3% del peso totale della granella (Rif. viii). Sono un tensioattivo biodegradabile, quindi il suo utilizzo più semplice è come detersivo, eventualmente con aggiunta delle ceneri di cui al secondo punto, per aumentare il potere sgrassante. Le saponine di quinoa si sono rivelate effettive per combattere la pomaria, una lumaca acquatica alloctona particolarmente dannosa per le colture di riso (Rif. ii). Le saponine potrebbero avere valore come ingrediente per alcuni farmaci contro il colesterolo, o come shampoo e detersivo antibatterico per la cura del corpo, come nematocida, come biostimolante delle radici (maggiori informazioni in questa e questa pagina e Rif. ix). Nonostante tali proprietà, non è chiaro quale sia la vera dimensione del mercato per le saponine da quinoa, né chi siano i compratori.
Conclusioni
Non c'è evidenza che le soluzioni biotecnologiche possano effettivamente migliorare la redditività e la sostenibilità ambientale della coltivazione di quinoa. Piuttosto, la carta vincente si basa sulla vecchia saggezza popolare del "chi fa per sé fa per tre": per massimizzare i margini l'azienda agricola deve dare il massimo valore aggiunto al prodotto, vendendolo direttamente al consumatore finale. La biomassa residua può fornire l'energia necessaria per il semplice trattamento dei semi di quinoa con acqua calda e la loro ulteriore essiccazione. Se inoltre la coltivazione avvenisse in terreni affetti di salinizzazione, oltre al beneficio economico si avrebbe anche un beneficio ambientale sul lungo termine.
Riferimenti bibliografici e approfondimenti
i Maughan P.J., Bonifacio A., Coleman C.E., Jellen E.N., Stevens M.R., Fairbanks D.J. (2007) Quinoa (Chenopodium quinoa). In: Kole C. (eds) Pulses, Sugar and tuber crops. Genome mapping and molecular breeding in plants, vol 3. Springer, Berlin, Heidelberg, Doi.ii Viktória Angeli et al, An overview of the potentials of the "Golden grain" and Socio-economic and environmental aspects of its cultivation and marketization, Foods 2020, 9, 216; doi:10.3390/foods9020216.
iii Magrach A, Sanz MJ., Environmental and social consequences of the increase in the demand for 'superfoods' world-wide. People Nat. 2020, doi, versione in formato pdf.
iv Turcios A.E., Weichgrebe D., Papenbrock J.; Potential use of the facultative halophyte Chenopodium quinoa Willd. as substrate for biogas production cultivated with different concentrations of sodium chloride under hydroponic conditions. Bioresource Technologies 2016 Mar; 203:272-9. doi: 10.1016/j.biortech.2015.12.061. Epub 2015 Dec 23.
v Sanzone E., Bellomia L., Sortino O., Lombardo G.M.; Adattabilità di specie tropicali C3 e C4 in ambiente Mediterraneo; dipartimento di Scienze agronomiche, agrochimiche e delle produzioni animali. Sezione Scienze agronomiche, Via Valdisavoia 5, 95123 Catania, Italia tel. 095-234480 fax 095-234449 e-mail: emanuele.sanzone@tiscali.it.
vi Salas Veizaga, D.; Quinoa stalks glucuronoarabinoxylan - Biorefinery, xylooligosaccharides production and potential applications. Tesi dottorale, Università di Lund (Svezia) 2019.
vii AliciaGil-Ramirez, Daniel MartinSalas-Veizaga, Carl Grey, Eva Nordberg Karlsson, IreneRodriguez-Meizoso, Javier A.Linares-Pastén; Integrated process for sequential extraction of saponins, xylan and cellulose from quinoa stalks (Chenopodium quinoa Willd.).
viii Quispe-Fuentes, I., Vega-Galvez, A., Miranda, M., Lemus-Mondaca, R., Lozano, M. and Ah-Hen, K. (2013), A kinetic approach to saponin extraction during washing of quinoa (Chenopodium quinoa Willd.) Seeds. Journal of food process engineering, 36: 202-210. Visita anche questa pagina.
ix Özlem Güçlü-Üstündag & Giuseppe Mazza(2007) Saponins: Properties, applications and processing, critical reviews in food science and nutrition,47:3,231-258, Doi: questa pagina.
Altri riferimenti non citati nell'articolo
De Santis, G. Rascio, A.; D'Ambrosio, T.; D'Angelo, L.; Fragasso, M.; Maddaluno, C.; Mucci, M.; Rinaldi, M.; Valutazione della biodiversità in popolazioni di quinoa (Chenopodium quinoa Willd.) in ambiente Mediterraneo, Atti del X Convegno nazionale sulla biodiversità, 3-5 settembre 2014, Roma.Impieghi e utilizzo dello xilano.