La tolleranza alla salinità delle colture convenzionali è un argomento ben studiato - per approfondimenti in italiano si rimanda il lettore al (Rif. [iii]). In questa sede interessa solo segnalare che le colture più tolleranti - bietola, cotone, orzo e rapa - mantengono l'85-90% della loro produttività in suoli con salinità compresa, rispettivamente, fra 8 e 12 mS/cm. Purtroppo, molti terreni agricoli italiani sono vicini o superano tale soglia, per cui il dilemma è: continuare con le solite colture, accentando la minore resa, oppure cambiare drasticamente l'approccio e cercare una maggiore produttività con colture di nicchia?
Esiste una categoria di piante, dette alofite, capaci di prosperare in ambienti salini. Convenzionalmente, si definisce alofita qualsiasi pianta capace di crescere su suoli con salinità maggiore di 20 mS/cm (Rif. [iv]). Le alofite sono rappresentate da circa seicento generi e famiglie, che si distinguono per due strategie diverse di resistenza alla salinità. Un gruppo ristretto di specie assorbe i sali attraverso le radici, ma è in grado di confinarli in speciali strutture all'interno delle proprie cellule. La maggior parte delle alofite, però, possiede meccanismi cellulari nelle radici capaci di filtrare l'acqua impedendone l'assorbimento dei sali nei tessuti della pianta. Le prime vengono studiate per la biorimediazione di suoli salinizzati, con lo scopo di renderli - dopo molti anni di coltivazione e asportazione della biomassa salina - nuovamente produttivi. Le specie del secondo gruppo, invece, non migliorano il suolo perché lasciano il suo contenuto di sali invariato. Lo scopo della loro coltivazione può essere dunque la produzione di alimenti - come nel caso della quinoa, Chenopodium quinoa, Foto 1 - oppure la produzione di biomassa a scopo energetico, o perfino di entrambe.
Foto 1: Sviluppo e produzione di semi della pianta di quinoa, in funzione della salinità
(Fonte foto: Rif.[v]).
Legenda: ctr = controllo, ovvero irrigazione con acqua dolce; 100, 200,… 500 = concentrazione molare di sale nell'acqua irrigua, corrispondente rispettivamente a 20%, 40%... 100% di acqua di mare
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Fra le alofite a scopo bioenergetico, esiste un'ulteriore classifica: quelle oleaginose e quelle da fibra. Poiché il sale non si accumula nei semi l'olio delle alofite ha la stessa qualità di un qualsiasi altro olio vegetale. Nel secondo caso, gli studi si concentrano sulla composizione della fibra, in quanto sono preferibili le specie con maggiore produttività di cellulosa e quindi più adatte per la distillazione di etanolo di seconda generazione.
La Tabella 1 è un esempio di tale interesse scientifico, che si riscontra in diverse pubblicazioni (Rif. [vi]).
Tabella 1: Composizione di alcune biomasse di alofite da fibra, in % della sostanza secca, comparate con tre colture convenzionali
(Fonte tabella: Rif.[iv]), traduzione e adattamento grafico dell'autore)
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Alcuni studi condotti in Uzbekistan segnalano molto promettente l'atriplice (Atriplex sp.), utilizzabile come foraggio per le capre, la cui coltivazione in rotazione con colture tolleranti, quali carciofo, sorgo, miglio e liquirizia, ha comportato un miglioramento del suolo e maggiori rese negli avvicendamenti con colture tradizionali tolleranti (Rif.[vii]). Il topinambur (Helianthus tuberosum) è un'alofita facoltativa. Cresce normalmente su terreni neutri, ma è in grado di mantenere la sua produttività in terreni aventi tra 5 e 12 mS/cm (Rif.[viii]). Il topinambur può produrre sia il tubero - commestibile o utilizzabile per produrre etanolo di prima generazione - che semi oleaginosi (fino a 330 kg di olio/ettaro).
Una peculiarità molto interessante delle alofite è che molte specie, addirittura, producono più biomassa in presenza di elevati livelli di salinità, come dimostra la Foto 2.
Foto 2: Variazione percentuale della resa di biomassa rispetto alla coltura in terreno neutro, in funzione della salinità
(Fonte foto: Rif.[viii])
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Fra le alofite da fibra, il giunco marittimo (Juncus maritimus Lam.) è forse quello potenzialmente più interessante perché presente in praticamente tutti gli ambienti salmastri del territorio nazionale. Oltre all'utilizzo tradizionale per l'artigianato, la sua biomassa contiene 43% di cellulosa e 31% di emicellulosa, quindi è atta per la produzione di etanolo di seconda generazione oltre ad avere un discreto potenziale metanigeno (Bmp teorico = 290 Nm3/ton SV).
Conclusioni
La salinizzazione del suolo agricolo fu la causa del crollo delle antiche civiltà della Mesopotamia. La nostra civiltà moderna potrebbe fare la stessa fine della "mezzaluna fertile" (Rif.[ix]) e l'Italia non è un'eccezione. Ne sono esempi l'intrusione del cuneo salino nel delta del Po, nella Bassa friulana e nelle campagne adiacenti la Laguna di Venezia. Il passaggio dalle colture tradizionali alimentari alla coltura di alofite - a scopo energetico o a doppia attitudine - è una strategia di adattamento al cambiamento climatico e alla crescita demografica che meriterebbe maggiore attenzione da parte delle istituzioni.
Equivalenze fra le misure di salinità
Essendo la letteratura scientifica molto varia riguardo l'uso delle unità di misura impiegate per esprimere la salinità, con lo scopo di facilitare la lettura e fornire un testo coerente, l'autore ha adottato il mS/cm come unità di riferimento (in linea con i manuali della Fao), e convertito tutti i valori riportati nella letteratura secondo le seguenti equivalenze:Tali equivalenze sono riportate da The impact of salinity stress, professoressa Rana Munns, scaricabile da questa pagina.
Bibliografia
[i] Management of irrigation-induced salt-affected soils, Fao.[ii] Handbook for saline soil management, Editors: R. Vargas, E.I. Pankova, S.A. Balyuk, P.V. Krasilnikov and G.M. Khasankhanova; 2018, Repositorio di documentazione tecnica della Fao.
[iii] Visita questa pagina.
[iv] Neelma Munir, Zainul Abideen & Nadia Sharif (2020) Development of halophytes as energy feedstock by applying genetic manipulations, All Life, 13:1, 1-10.
[v] Koyro, Hans-Werner & Lieth, Helmut & Eisa, Sayed. (2008). Salt tolerance of Chenopodium quinoa Willd., Grains of the andes: influence of salinity on biomass production, yield, composition of reserves in the seeds, water and solute relations. 10.1007/978-1-4020-6720-4_13. Capitolo del libro di H. Leith et al. (eds.), Mangroves and Halophytes: restoration and utilisation, 133–145. © 2008 Springer.
[vi] Sharma Rita, Wungrampha Silas, Singh Vinay, Pareek Ashwani, Sharma Manoj K.; Halophytes as bioenergy crops; Frontiers in plant science, volume 7, 2016, DOI=10.3389/fpls.2016.01372.
[vii] K. Toderich et al, Enhanced forage and bioenergy production, Progetto di ricerca dell'International center for biosaline agriculture - Icba, 2015.
[viii] Debez, A., Belghith, I., Friesen, J. et al. Facing the challenge of sustainable bioenergy production: Could halophytes be part of the solution? J. Biol. Eng. 11, 27 (2017). Pdf da scaricare in questa pagina.
[ix] Shahid S.A., Zaman M., Heng L. (2018) Soil salinity: historical perspectives and a world overview of the problem. In: Guideline for salinity assessment, mitigation and adaptation using nuclear and related techniques. Springer, Cham, DOI.