Il progetto di ricerca LIGNOFLAG prevedeva la costruzione a Podari (Romania) del "primo impianto del suo genere" per la produzione di 60mila tonnellate/anno di bioetanolo a partire da paglia. Il suo costo totale è stato di euro 34.936.215, di cui 24.738.840 euro di contributo a fondo perduto della Commissione Europea. La durata ufficiale del progetto coperta dai contributi europei è stata di ben sei anni, dal primo giugno 2017 al 31 maggio 2023. Nella conferenza finale i partner del consorzio celebrarono "il successo della cooperazione" nella dimostrazione della tecnologia sunliquid®, il cui sviluppo costò alla Clariant, una multinazionale con sede in Svizzera, ben 224.588.486,80 euro, di cui 23.000.000,00 euro di fondi europei erogati fra aprile 2014 e marzo 2018.

 

Dalle informazioni pubblicate nell'articolo sulla conferenza di chiusura del progetto e da altri comunicati pubblicati sui siti ufficiali, possiamo riassumere le caratteristiche dell'impianto nei seguenti termini:

  • La capacità nominale dell'impianto è di 50mila tonnellate/anno di etanolo. Salta all'occhio il ridimensionamento dalle 60mila tonnellate/anno di prodotto dichiarate nel contratto con l'Unione Europea (Ue).
  • L'impianto consumerà 250mila tonnellate/anno di paglia, fornite da trecento aziende agricole della zona con le quali la multinazionale avrebbe sottoscritto dei contratti, che garantiranno agli agricoltori un reddito extra.
  • Podari si trova in un'area depressa, dove l'impianto genera centocinquanta posti di lavoro diretti, più l'indotto di trecento unità agricole suddette. La costruzione dell'impianto impiegò ottocento persone.
  • Il processo sunliquid® permette di risparmiare fino al 90% di emissioni di anidride carbonica. Anche su questo aspetto sembra esserci un ridimensionamento, perché in un articolo pubblicato su CORDIS, il sito ufficiale dei progetti di ricerca finanziati dall'Ue, un direttore della Clariant dichiarava che il risparmio di emissioni sarebbe stato del 120%.
  • Il processo sunliquid® si basa sulla coltivazione di particolari funghi, utilizzando una parte della paglia come substrato. Dalla biomassa fungina così prodotta vengono estratti degli enzimi, utilizzati per convertire la cellulosa della paglia restante in un brodo contenente zuccheri (appunto per questo il processo si chiama "saccarificazione") e lignina. Il brodo zuccherino viene fermentato e poi distillato, ricavando l'etanolo. La lignina viene utilizzata come combustibile, fornendo l'energia per far funzionare l'impianto e lasciando il biochar come residuo. Il biochar e le borlande vengono conferite alle aziende agricole per il loro riutilizzo come "fertilizzante". Puntualizziamo che, dal punto di vista prettamente tecnico, il biochar è un ammendante e le borlande hanno pochi nutrienti, ma evidentemente i funzionari di Bruxelles ritengono più "green" etichettarli come "fertilizzanti".

 

Troppo bello per essere vero. Infatti, già il 12 dicembre 2022, sei mesi prima della conclusione ufficiale del progetto LIGNOFLAG, la Clariant annunciava ufficialmente una riduzione di valore dell'impianto di Podari pari a 225 M CHF. Il deprezzamento è stato il risultato della revisione finanziaria condotta sui primi sei mesi di funzionamento, durante i quali la produzione è stata sensibilmente minore rispetto al valore atteso. L'azienda dichiarava allora l'impegno a investire per migliorare il processo e a continuare ad offrire il relativo knowhow e brevetti in licenza a terzi. Secondo un articolo di Chemical & Engineering News: "Quest'estate, la Shell ha accettato di acquistare l'intera produzione dello stabilimento rumeno per diversi anni, e Clariant ha già venduto cinque licenze ad aziende che costruiscono altri impianti Sunliquid. Clariant afferma in una e-mail che un'unità di pretrattamento delle materie prime sottodimensionata, che da allora è stata ampliata, ha rappresentato uno dei primi ostacoli. Più recentemente, l'azienda ha dovuto affrontare un collo di bottiglia nella produzione in loco degli enzimi fungini che degradano la cellulosa in zuccheri fermentabili. Il risultato è stato una produzione inferiore al previsto, costi elevati dei prodotti chimici di consumo e materiale organico in eccesso nelle acque reflue dell'impianto. Sono in corso i lavori per risolvere i problemi, che Clariant descrive come entro i limiti normali per un impianto industriale primo nel suo genere".

 

Non erano poi così "entro i limiti normali" i problemi da risolvere, perché il 6 dicembre 2023 l'azienda ha annunciato la chiusura definitiva dell'impianto rumeno e la ristrutturazione della filiale tedesca responsabile del progetto. Il deprezzamento dell'attività è stato stimato in 110 M CHF, con spese di chiusura comprese fra 60 e 90 M CHF.

 

La tanto decantata tecnologia europea, definita in tutti i comunicati stampa come "l'ammiraglia" (flagship) del Green Deal, è affondata. Nulla sappiamo, e probabilmente mai sapremo, su quali siano state le emissioni di anidride carbonica imputabili alla costruzione e (forse) successivo smantellamento dell'impianto, né cosa sarà dei centotrenta impiegati licenziati dopo soli sei mesi di lavoro, né quale sia il danno ambientale causato durante i sei mesi di operazione in cui i parametri dei reflui erano fuori norma, né in che stato rimarrà il suolo dopo la demolizione dell'impianto (se mai questa avverrà), né dove verranno smaltiti il calcestruzzo e i materiali non riciclabili. Il tutto finanziato con circa 48 milioni di euro dalle nostre tasche.

 

Malgrado le differenze cronologiche e temporali, la vicenda ricorda molto altre già raccontate in questo e in questo articolo. Proponiamo ai lettori un'analisi su quali possano essere le cause di un tale clamoroso fallimento e qualche spunto di riflessione per gli investitori che credono nel miraggio di tali progetti faraonici, e per i funzionari pubblici che approvano le sovvenzioni statali a idee che palesemente non possono funzionare.

 

I conti della lavandaia

In uno degli articoli sul sito ufficiale CORDIS si legge la dichiarazione di uno dei direttori della Clariant: "L'efficienza di conversione supera il 50%". Il 50% di cosa? Efficienza di conversione del liquore saccarino o efficienza di conversione della paglia in etanolo?

 

Il primo problema per analizzare tale affermazione generica è capire di che tipo di paglia si tratta, perché la composizione varia da una coltura all'altra, ma in nessuno dei siti ufficiali del progetto è stato specificato. Supponiamo che si tratti di paglia di frumento, dalla quale - in laboratorio, quindi con efficienza di conversione pari al 96,6% - è possibile ricavare il 34,3% di glucosio (1). Quindi, il 50% dichiarato non può riferirsi all'efficienza di conversione della paglia in etanolo.

 

La fermentazione (teorica) del glucosio si può descrivere con la seguente reazione complessiva: C6H12O6 → 2 C2H5OH + 2 CO2, nota come formula di Gay-Lussac, dal chimico francese che la scoprì nel Diciannovesimo Secolo. In numeri: 180 grammi di glucosio producono 92 grammi di etanolo. Quindi, l'efficienza teorica della fermentazione alcolica è del 51%, per cui la dichiarazione del direttore tecnico della Clariant si riferisce al processo fermentativo. Per quanto la multinazionale sia potente e - si suppone - impieghi i migliori cervelli, sembra difficile credere che in un processo industriale si possa "superare il 50% di efficienza", quando il massimo teorico è già del 51%. L'efficienza complessiva dichiarata  è comunque bassa: 50mila tonnellate di etanolo diviso 250mila tonnellate di paglia vuol dire 20% di efficienza di conversione.

 

Dal punto di vista di un investitore, e si suppone anche da parte di chi ha autorizzato lo sborso di ben 48 milioni di euro di fondi pubblici, l'eventuale virtuosismo tecnico in uno solo degli stadi del processo dovrebbe essere irrilevante. Ciò che conta è l'efficienza complessiva di conversione dell'impianto. Pur essendo il 20% "nominale" un valore di efficienza di conversione abbastanza basso, sembra strano che nessuno abbia fatto una verifica di massima per capire se tale valore sia fattibile. Eppure, il progetto è stato rivisto dai manager di una potente multinazionale, dagli scienziati dei centri di ricerca partner del progetto e in ultima istanza ha ricevuto il visto dai revisori degli uffici di Bruxelles.

 

Non serve una laurea in chimica per capire che non poteva funzionare, sarebbe bastata qualche nozione elementare, una ricerca superficiale della bibliografia ed un pizzico di senso critico per evitare il disastro. Se in laboratorio la paglia rende il 34% di glucosio e questo ultimo rende teoricamente il 51% di etanolo, l'efficienza complessiva teorica di conversione paglia-etanolo è di solo il 17%. Solo questo fatto dovrebbe essere stato sufficiente per bocciare il progetto sin dall'inizio, o almeno per mandarlo indietro per una revisione. Da osservare che il rendimento teorico del 17% non considera la paglia consumata per produrre in loco gli enzimi che, secondo i creatori del processo, è la chiave della sostenibilità dello stesso. Quindi, l'efficienza complessiva di conversione paglia-etanolo dovrebbe essere ancora più bassa. In altre parole: è fisicamente impossibile produrre 50mila tonnellate di etanolo con 250mila tonnellate di paglia.

 

Poiché gli esseri viventi non hanno mai composizioni chimiche assolute e invariabili, si potrebbe obiettare che il nostro ragionamento è superficiale perché si basa sulla percentuale di cellulosa di un solo campione di paglia di frumento. Per puro tuziorismo cartesiano, riportiamo nella Tabella 1 la composizione della paglia di diverse colture.

 

Tabella: Composizione della paglia di diverse colture

Tabella 1: Composizione della paglia di diverse colture

(Fonte: Pasoth & Sandgren (2), traduzione di Mario A. Rosato - AgroNotizie®)

 

Effettivamente, la percentuale di cellulosa riportata dal primo riferimento utilizzato per le nostre analisi è leggermente più bassa della media. Se tutta la paglia utilizzata nell'impianto fosse di orzo, con il massimo tenore di cellulosa in assoluto, e se l'efficienza di conversione della cellulosa in glucosio fosse del 99,6% come in laboratorio, e inoltre l'efficienza di conversione del glucosio in zucchero fosse del 51%, allora l'efficienza complessiva di conversione paglia-etanolo sarebbe del 21,8%. L'efficienza millantata dalla multinazionale svizzera, alla quale hanno creduto ciecamente gli euroburocrati che l'hanno finanziata, è molto vicina al maximo maximorum teorico. E tutto questo senza considerare alcun consumo di paglia per la produzione di enzimi, un dato che non appare in nessuna delle pubblicazioni ufficiali del progetto, ma che presumibilmente è maggiore dell'1,8% del totale in ingresso. Quindi, perfino nelle condizioni più ottimistiche il progetto non avrebbe mai raggiunto gli obiettivi prefissati.

 

Epilogo?

"C'è un antico detto che recita: "l'essere umano è l'unico animale che riesce a inciampare per due volte sulla stessa pietra". A quel che pare, sia i revisori dei progetti di ricerca H2020 che gli investitori di tutto il mondo continuano a inciampare sulla pietra del bioetanolo lignocellulosico. E ciò avviene da almeno un secolo perché, stando ad uno studio di Biofuel Watch, il primo fallimento risale ad un impianto di alcol da rifiuti lignocellulosici costruito negli Usa ai primi del Ventesimo Secolo.

 

Senza cadere nelle posizioni ideologiche tipiche delle Ong come quella citata, dobbiamo prendere atto che la cautela dovrebbe essere d'obbligo quando si intende finanziare progetti con tecnologie innovative, specialmente quando tali progetti si basano su estrapolazioni dalla scala di laboratorio direttamente alla scala industriale.

 

Secondo Physics Today, le cause dei fallimenti dei progetti di alcol da residui lignocellulosici sono l'immaturità tecnologica, il calo dei prezzi del petrolio, gli investitori eccessivamente ottimisti e l'incertezza normativa. Nell'opinione dell'autore, piuttosto che cavillare sui dettagli biotecnologici, normativi o finanziari, i revisori dei progetti dovrebbero semplicemente applicare il principio fondamentale della logica: una conclusione non può essere vera se almeno una delle premesse sui cui si basa è falsa. Il metodo è così semplice da giustificare il titolo del paragrafo "Il conto della lavandaia": basta fare una lista delle premesse su cui si basa il progetto e poi analizzarle una ad una. Se una sola non sta in piedi, il progetto sarà destinato al fracasso.

 

Purtroppo possiamo essere certi che le storie di Choren, Abengoa, Clariant e la ancor più tragica di Ghisolfi si ripeteranno ancora. L'essere umano fatica a superare il pregiudizio cognitivo noto come "overconfidence bias", cioè credere di essere più furbo o meglio informato degli altri. O perché esistono venditori e politici disposti a gonfiare le previsioni pur di raggiungere i propri obiettivi personali. O perché ci sono ancora idealisti che credono che le leggi della natura si possano ridurre alla loro visione semplicistica del mondo. E noi paghiamo…

 

Bibliografia

(1) P. Zimbardi, G. Cardinale, M. Demichele, F. Nanna, D. Viggiano (Eena - Dipartimento Energia Centro Ricerche Trisaia) e C. Bonini, L D'Alessio, M. D'Auria, R. Teghil, D. Tofani (Università degli Studi della Basilicata); La lignina: una risorsa da valorizzare, pubblicazione dell'Enea RT/ERG/98/11.

(2) Passoth, Volkmar & Sandgren, Mats. (2019). Biofuel production from straw hydrolysates: current achievements and perspectives. Applied Microbiology and Biotechnology. DOI: 103. 10.1007/s00253-019-09863-3.