Il Brasile - è bene togliercelo dalla testa - non è più solo il Paese del turismo esotico (ed erotico), che ha condizionato per decenni l’immaginario collettivo: Alida Fleury Bellandi e Carlos Correa Carvalho trasmettono più stimoli ed energia di una tazza bollente del loro stesso caffè. Il Brasile è il quinto Paese al mondo per superficie e popolazione (180 MM di persone). Ben 850 MM di ettari sono arabili. La crescita delle produzioni, per giunta, è di gran lunga superiore alla crescita degli ettari coltivati. Primi produttori al mondo di caffè, banane e mango, e terzi produttori di agrumi, i Brasiliani si impongono già oggi sui mercati internazionali con derrate di alto pregio e valore aggiunto. Ma a cosa è dovuta questa crescita? Alida Fleury Bellandi mostra un grafico che sovrappone l’andamento delle produzioni agricole con quello dei governi che si sono succeduti nel tempo: un ritmo perfettamente sincrono. Dopo quindi un lungo periodo d’instabilità, dovuta all’alternarsi di molteplici governi di scarsa continuità, ora il Brasile gode da alcuni anni di una base politica solida. Per quel che riguarda la meccanizzazione, il mercato va dai 2 ai circa 3 MM di $, con le vendite interne e l’export cresciuti entrambi di quasi il 50%. Stanno crescendo soprattutto i trattori di alta potenza (ora sono sul 40% del totale delle vendite). Le mietitrebbie hanno già toccato il picco di oltre 5.000 pezzi venduti/anno, grazie agli aiuti statali per il rinnovo della flotta, ma ora le vendite sono più che dimezzate. L’età media del parco macchine, del resto, è di 5,28 anni per i trattori e 7,7 per le mietitrebbie. Raccolta e semina spesso avvengono contemporaneamente: non sono rari gli spettacoli di 20 mietitrebbie che raccolgono, seguendo una formazione a freccia, seguite da altrettanti trattori equipaggiati per la semina con il minimum tillage. Quasi raddoppiati appaiono i consumi  complessivi della nazione: questo rende sostenute anche le vendite dei mezzi di produzione. Come volevasi dimostrare: ricchezza chiama ricchezza.
“La legislazione agricola” – sottolinea Carvahlo – “fa parte della costituzione brasiliana del 1988”: una prova chiara e lampante di quanto l’agricoltura sia in Brasile al centro delle attenzioni politiche. Anche gli aiuti alla produzione sono tutt’altro che trascurabili: il “Pronaf” finanzia le aziende di piccole dimensioni, con programmi su base quinquennale. Il “Moderninfra” focalizza invece su irrigazione. Il “Modernfrota” finanzia l’acquisto di nuove macchine, però solo se di produzione brasiliana. E’ convinzione del Brasile che l’agricoltura non possa più essere solo produttrice di cibo, ma anche di energia, in modo sostenibile ed ecocompatibile. Stabilizzazione finanziaria, infrastrutture efficienti, crescita del commercio estero, le mosse strategiche per la crescita del Paese.
Oggi, grazie alle proprie scelte di orientamento produttivo, il Brasile consuma >50% di etanolo per la locomozione, e questo etanolo deriva solamente dall’1% delle superfici arabili (fondamentalmente dalla canna da zucchero). Per quanto il consumo privato di carburanti possa essere basso, in comparazione a Paesi con un numero di auto/pro capite maggiore, questo valore resta pur sempre importante. Nel 2018 si vuole portare al 70% le superfici coltivate con le tecniche per la conservazione dei suoli (ora è al 10%). Entro il 2014, in un’ottica di sviluppo produttivo quali-quantitativo, si vuole eliminare la manodopera per il taglio manuale della canna da zucchero, per sostituirla con una più efficiente raccolta meccanica. Si pensa così di raddoppiare in pochi anni la produzione di bioetanolo dai 7-8.000 L/ha ai 14-15.000 L/ha, grazie alle nuove tecnologie. Questo dovrebbe mitigare la competizione tra colture per bioenergie e colture alimentari. Come pure dovrebbe eleggere il Brasile ad “Arabia Sauditadel bioetanolo a livello mondiale. Quando un Paese così si dichiara in grado di fornire bioetanolo franco-porto a poche decine di eurocent al litro, dubito infatti che a un agricoltore europeo possa venire la malsana idea di competere sul mercato globale producendoselo in casa propria.


Sempre Sud del Mondo, ma realtà completamente diversa: l’Egitto. Amr Abou Frekha fornisce una panoramica sul presente e sul futuro della meccanizzazione nel Paese del Grande Nilo. Ci sono 3,2 MM di ha attualmente coltivati. La maggior parte delle aziende hanno solo <0,8 ettari (davvero minuscole). Le aziende più recenti e moderne sono invece sui 2 ettari. Ci sono dei progetti molto ambiziosi per espandere l’area coltivabile di alcuni MM di ettari. Quella egiziana è un’agricoltura molto variegata, con presenza sia di colture estensive che specialities (frutta,  ortaggi). Le risorse idriche sono rappresentate quasi esclusivamente dal Nilo e dalle falde sotterranee, perché la pioggia è minima. Per trovare economie di scala, i Paesi del Nord-Africa hanno stretto fra loro anche un accordo per il commercio libero delle merci, analogamente a quanto avvenne agli albori dell’Unione Europea. La meccanizzazione nazionale è rappresentata dalla sola Tanta Motors, che però non è in grado di soddisfare le esigenze di aziende agricole grandi e strutturate. Frekha spinge quindi sull’acceleratore: i costi di trasporto sono circa la metà verso gli altri Paesi, rispetto a quelli dagli altri Paesi verso l’Egitto. Anche i costi di produzione sono molto più bassi, tra i più convenienti nel mondo, specialmente per l’elettricità, il gas e l’acqua. Nel giro di 2-20 gg (1-5 h in aereo) si raggiunge con le spedizioni quasi tutta l’Africa del nord, l’Europa, il medio oriente. L’obiettivo è di raddoppiare (da 3 a 6%) la meccanizzazione in 5 anni. Il mercato è perciò avido di apparati che si adattino bene a piccole realtà aziendali (si presta quindi bene al terzismo). A buon intenditor, poche parole: le slides di Frekha si possono tradurre: “noi siamo qui: venite ad investire in Egitto”.
 

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