"L’agricoltura è la principale fonte globale di degrado degli ecosistemi e di perdita di biodiversità, il maggiore utilizzatore di acqua e un fattore chiave del cambiamento climatico. Inoltre, gli stessi sistemi alimentari sono fortemente minacciati da questi impatti ambientali negativi", così cita la Food and Land Use Coalition (FOLU) nell'ultimo rapporto intitolato: “Allineare le pratiche agricole rigenerative con i risultati per fornire benefici a persone, natura e clima".

 

Il rapporto fornisce una valutazione delle pratiche di agricoltura rigenerativa e lancia un grido alla necessità sempre più urgente di cambiare il modello produttivo agricolo, per approdare ad un modello che consideri la complessità dell'ecosistema suolo in tutte le caratteristiche chimico-fisiche e di biodiversità, che ne determinano, in ultima analisi, la capacità produttiva.

 

I modelli colturali esistono da tempo: l'agricoltura conservativa e rigenerativa sono entrambi approcci agricoli orientati alla sostenibilità ambientale e al miglioramento della salute del suolo.

 

Agricoltura conservativa e rigenerativa

L'agricoltura conservativa si concentra principalmente sulla conservazione della struttura chimico fisica del suolo e sulla riduzione dell'impatto ambientale delle pratiche agricole applicando tre principi:

  • riduzione dell'intensità delle lavorazioni meccaniche al suolo;
  • copertura permanente del suolo;
  • rotazioni e avvicendamenti colturali.

 

L'agricoltura conservativa si fonda su tre principi a cura della salute del suolo

L'agricoltura conservativa si fonda su tre principi a cura della salute del suolo
(Fonte foto: Prof. D. Monarca - Università della Tuscia)

 

L'agricoltura rigenerativa non ha una definizione univoca, il rapporto di Folu ne ha identificate ben 44 diverse. Ne risulta un insieme di pratiche che disegnano un approccio agroecologico dall'ampio respiro che non mira solo alla conservazione, ma che conferisce un ruolo proattivo all'agricoltura nella rigenerazione degli ecosistemi. Ciò include il ripristino della fertilità del suolo, la promozione della biodiversità e il miglioramento della salute generale dell'ambiente circostante.

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Questo approccio integrativo incorpora pratiche come:

  • l'agroforestazione;
  • la gestione delle acque;
  • l'uso di animali da pascolo;
  • il ripristino degli habitat naturali.

inoltre, si pone obiettivi sociali ed economici come la creazione di comunità rurali resilienti, il sostegno ai piccoli agricoltori e la promozione di sistemi alimentari locali e sostenibili.

 

Una meccanizzazione più attenta al suolo

Che si parli di agricoltura rigenerativa o conservativa, alla meccanizzazione agricola è richiesto un cambio di strategia per venire in contro alle esigenze di un'agricoltura più sostenibile.

 

Il primo traguardo è quello di non intaccare la struttura chimico-fisica del suolo e le sue proprietà microbiologiche. Il principio è quello di adottare tecniche di lavorazione del terreno meno intense, focalizzate allo strato superficiale senza quindi operare il ribaltamento della zolla, in modo da garantire la stabilità degli aggregati e non disperdere la sostanza organica. A tal scopo, sviluppate decenni fa, tornano in auge le pratiche di minima lavorazione del terreno.

 

 Regimi di minima lavorazione instaurano un circolo virtuoso che porta al miglioramento delle caratteristiche del suolo

Regimi di minima lavorazione instaurano un circolo virtuoso che porta al miglioramento delle caratteristiche del suolo

(Fonte foto: M.Benetti - UniPD)

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"Scegliere di lavorare in regime di minima lavorazione, cioè minimo disturbo della struttura chimico fisica del terreno, è una scelta di campo", commenta Domenico Pessina, professore ordinario di meccanica agraria presso l'Università degli studi di Milano, che continua: "non solo comporta vantaggi in termini agronomici e ambientali, ma in definitiva anche una tangibile riduzione dei costi di meccanizzazione". Infatti, escludendo le lavorazioni primarie più intense, si ottimizza il numero dei passaggi in campo ricorrendo a cantieri che abbinano, per esempio, un erpice ad una seminatrice e che comportano un risparmio in termini di consumi di carburante e di emissioni. 

 

Cantiere riunito di attrezzature Kverneland: erpice Rotago 4060 abbinato alla barra di semina CB F

Cantiere riunito di attrezzature Kverneland: erpice Rotago 4060 abbinato alla barra di semina CB F
(Fonte foto: AgroNotizie)


"Bisogna però considerare un investimento iniziale piuttosto oneroso per dotarsi di macchine più tecnologiche e più complesse da gestire. In alternativa, è possibile ricorrere al contoterzismo con un’inevitabile dipendenza da ciò che offrono localmente le imprese agromeccaniche - continua Domenico Pessina. Da valutare quindi i tempi di rientro dell'investimento, considerando i cali di produzione, generalmente limitati, che possono riscontrarsi nei primi anni di attivazione del regime conservativo. Dopo questo periodo iniziale la produzione si ristabilizza, il terreno ripaga la perseveranza".

 

Da considerare anche che riducendo l'intensità di lavorazione si riduce, di conseguenza, anche il temporaneo effetto curativo delle lavorazioni del terreno (arieggiare, rompere la crosta). Diventa quindi cruciale monitorare attentamente lo stato fisico del suolo, specialmente per evitarne il compattamento. A tal scopo è importante considerare la distribuzione del carico al suolo scegliendo rimorchi multi-asse, adottando pratiche di gonfiaggio centralizzato dei pneumatici per avere un'impronta ampia e, in generale, monitorando attentamente il peso e la velocità di avanzamento del cantiere di lavoro, onde evitare un carico eccessivo.

 

Campo incolto = erosione

Un ulteriore principio che accomuna tutte le pratiche agricole sostenibili è quello di proteggere il suolo dall'erosione, fenomeno che a seguito di eventi meteorologici intensi può determinare la perdita fino a 10/20 tonnellate di terreno per ettaro. Perdita che assume carattere di particolare rilevanza considerando che riguarda lo strato superficiale più fertile

 

Le colture di copertura, anche chiamate cover crops, sono utili proprio per non lasciare scoperto il terreno. Inoltre, hanno l'effetto di apportare sostanza organica e biodiversità

 

La semina delle cover crops, da effettuarsi precocemente dopo la raccolta della coltura principale, può essere gestita in un singolo passaggio grazie a cantieri di lavoro riuniti che combinano elementi di semina aggiuntivi ad erpici, sarchiatrici e seminatrici, determinando un notevole risparmio di passaggi in campo e relativi consumi. 

 

Sarchiatrice Onyx di Kverneland abbinata ad un elemento di semina aggiuntivo per la semina delle cover crops nello spazio interfilare (intercropping) in un unico passaggio

Sarchiatrice Onyx di Kverneland abbinata ad un elemento di semina aggiuntivo per la semina delle cover crops nello spazio interfilare (intercropping) in un unico passaggio
(Fonte foto: AgroNotizie)

 

La terminazione meccanica delle colture di copertura, sempre secondo i principi dell' agricoltura conservativa, prevede che i residui vengano lasciati in superficie per favorire la loro evoluzione in sostanza organica. Infatti, più si lavora il suolo e si interrano i residui, più è rapida la diffusione di anidride carbonica a causa della mineralizzazione della sostanza organica, il tutto a scapito della formazione di humus.

 

L'interramento dei residui colturali causa una diffusione di anidride carbonica in atmosfera a svantaggio dell'aumento della sostanza organica

L'interramento dei residui colturali causa una diffusione di anidride carbonica in atmosfera a svantaggio dell'aumento della sostanza organica

(Fonte foto: M. Benetti - UniPD)

 

 

Per minimizzare l'intervento al suolo, si utilizzano coltivatori adatti alla minima lavorazione, vertical tiller ed erpici strigliatori. Altrimenti, si pratica l'allettamento delle colture con rullo decespugliatore, o roller crimper, che utilizza lame elicoidali utili a devitalizzare le cover crops svolgendo un'azione di rottura e sradicamento del residuo. Così lavorate, le colture di copertura svolgono anche un'azione pacciamante molto importante riguardo la gestione delle malerbe, un altro aspetto cruciale dei regimi di minima lavorazione. 

 

Malerbe? Diserbo meccanico di precisione

Allineato ai principi dell'agricoltura conservativa per tutte le colture a file, il diserbo meccanico sta ritornando in auge grazie all'applicazione di tecnologie all'avanguardia che permettono l'automazione del processo.

 

La sarchiatrice intelligente Matermacc Unica PVI applica il diserbo meccanico nell'interfila mentre deposita fertilizzante

La sarchiatrice Matermacc Unica PVI applica il diserbo meccanico nell'interfila mentre deposita fertilizzante

(Fonte foto: Matermacc)

 

Le moderne sarchiatrici di "precisione" sono generalmente costituite da un robusto telaio con elementi idraulici che permette il posizionamento in senso orizzontale degli elementi sarchianti. Questi possono essere costituiti da organi strigliatori, ruotini dentellati, piccoli vomeri per la lavorazione superficiale dell'interfila, singoli o in combinazione.

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La novità di tali attrezzature è costituita dall'introduzione di telecamere in grado di operare uno scanning del campo e distinguere la coltura, per agire precisamente dove serve. Seguendo gli input rilevati dalle telecamere, lo spostamento laterale degli elementi sarchianti è gestito in maniera automatica, garantendo l'eliminazione delle infestanti nell'interfila in un solo passaggio. 

 

Rigenerare il suolo? Non c'è un'unica ricetta

A conclusione del rapporto sull'agricoltura rigenerativa del FOLU emerge che, così come non c'è una definizione univoca di agricoltura rigenerativa, non c'è un'unica ricetta per stabilire quale pratica sia meglio adottare. 

 

Gli autori affermano: "Fattori contestuali come il clima, la topografia, il tipo di suolo, le dimensioni del campo, la gestione delle colture, del bestiame e del territorio sono molto influenti nel determinare la direzione e l’entità del cambiamento nei risultati. Ciò sottolinea la necessità che le pratiche siano mirate al loro contesto al fine di massimizzare i risultati positivi.

 

In altre parole, ogni territorio presenta delle specificità che vanno prese in considerazione nel passaggio a regimi di lavorazione ridotta.

 
"Non tutti i terreni agricoli si prestano in egual misura ai regimi conservativi - commenta Domenico Pessina, che continua - l'areale sub-alpino del Mediterraneo è caratterizzato generalmente da un terreno ricco di scheletro, molto diverso dai terreni del nord-Europa e del nord-America, dove la minima lavorazione è già ampiamente diffusa. Anche per questo, in Italia sussiste ancora una robusta corrente di pensiero legata alla lavorazione tradizionale. Con l'avanzamento del progresso tecnico, ad un certo punto i vantaggi della minima lavorazione saranno evidenti e si passerà in maniera generalizzata al regime conservativo, anche per la spinta di finanziamenti pubblici specificamente dedicati.

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