A causa della peste suina africana le autorità sanitarie dell'Unione Europea hanno incluso il comune di Langhirano, una delle "capitali" del prosciutto di Parma Dop, fra quelli soggetti a restrizioni di primo livello.

La conferma è contenuta nel Regolamento di Esecuzione 2024/1171 pubblicato sulla Gazzetta Europea del 17 aprile.

Colpa del recente accertamento della presenza del virus in un cinghiale trovato a pochi chilometri da questo comune.

 

Una marcia di avvicinamento iniziata il 30 gennaio, quando la presenza del virus fu confermata a Tornolo, 53 chilometri in linea d'aria da Langhirano.

Poi un altro caso, il 19 febbraio, a Borgotaro, circa 40 chilometri dal centro della cittadina parmense e infine quest'ultimo, il 6 aprile, a Ramiola, appena 6 chilometri da Langhirano.

Ma Langhirano non è l'unico comune della provincia di Parma interessato dalla malattia. Gli fanno compagnia altri 15 comuni, da Corniglio a Traversetolo.

 

Prosciutti a rischio

La zona di restrizione di primo livello, come descritto da AgroNotizie®, rappresenta il primo fronte di contenimento dell'infezione.

In questa area scattano maggiori misure di biosicurezza negli allevamenti di suini per evitare il contagio e vincoli alla movimentazione degli animali e dei loro prodotti.

Già questo è motivo di preoccupazione e disagio per un territorio, come quello parmense, che annovera fra i migliori allevamenti di suini e che "muove" migliaia di prosciutti ogni giorno.

 

L'ipotesi dell'ingresso del virus in uno di questi allevamenti provocherebbe una catastrofe dalle conseguenze economiche e sociali non quantificabili.

Non solo la chiusura degli allevamenti e l'abbattimento di migliaia di animali, ma il blocco delle attività di macelli, trasformatori e stagionatori. E addio all'export e a un settore che vale circa 10 miliardi di euro e dà occupazione a 60mila persone.

 

Visioni distorte

Basterebbe questo per convincere anche i più riottosi a mettere da parte i timori di scatenare le ire  di quanti ritengono più importante proteggere i cinghiali piuttosto che i suini, ignari delle conseguenze di un'esorbitante popolazione di selvatici.

 

Così la nomina di due commissari, prima Angelo Ferrari, poi Vincenzo Caputo, recentemente affiancato da tre "vice", non ha ancora sortito gli effetti sperati.

Il "depopolamento" dei cinghiali incontra gli ostacoli di una visione ideologica della tutela degli animali, che contesta persino l'abbattimento dei suini infetti.

Misura al contrario indispensabile per fermare l'infezione ed evitare agli stessi animali le inevitabili sofferenze della malattia.

 

Gli "untori"

Intanto il virus continua a camminare sulle zampe dei cinghiali e a volte sulle gambe degli uomini, che con i loro comportamenti non corretti, come l'abbandono di residui alimentari infetti, contribuiscono a diffondere la malattia.

Lo scenario che ne deriva è sconfortante. Il virus si muove liberamente mentre i tempi per sconfiggere la peste suina africana si allungano ogni giorno di più.

Lo stesso commissario Caputo ha confermato che occorrerà tempo, probabilmente anni.

 

Attenti alle "falle"

Impossibile convivere per tanto tempo con questo virus. Non basteranno le misure di biosicurezza messe in atto negli allevamenti che forse potranno proteggere quelli professionali, che si insiste a connotare in modo negativo come intensivi.

Ma nei piccoli allevamenti e in quelli all'aperto la biosicurezza è piena di falle dalle quali il virus può entrare agevolmente.

Se accadrà sarà una catastrofe per tutta la filiera, nessun segmento escluso.

Si chiuderanno gli allevamenti, grandi o piccoli che siano, e saranno messe barriere all'export. Già lo hanno fatto alcuni Paesi, Canada, Giappone e Tailandia fra questi.

 

Rimedio controproducente

Il pericolo è enorme e in parte sottovalutato. Lo si è percepito anche in occasione di un recente dibattito parlamentare durante il quale il ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida, è stato chiamato a rispondere ad una serie di interrogazioni per il cosiddetto "Question Time".

Domande che più correttamente andavano rivolte al ministro per la Salute, ma alle quali Lollobrigida non si è sottratto.

Ma fra le righe si è compreso che ci si prepara al peggio e si spera in Bruxelles per un allentamento delle misure che vincolano i movimenti dei prodotti suinicoli. Un rimedio che potrebbe essere peggiore del male.