Produrre non serve?
Merita qualche riflessione l'articolo pubblicato su QN del 24 gennaio, dove Davide Gaeta racconta in poche righe come si è modificata nel tempo la politica agricola dell'Unione Europea per arrivare alla riforma che prenderà il via dal prossimo anno.
Fino al 2003 il lavoro degli agricoltori veniva sostenuto in base a quanto producevano, cosa che appare di buon senso.
Peccato che in questo modo si generassero spinte produttive che portavano a produzioni che il mercato non riusciva ad assorbire, costringendo alla loro distruzione.
A partire dal 2003 i sostegni della comunità europea sono stati "disaccoppiati" dalla produzione.
Ogni stato membro ha adottato misure diverse, ma per tutti il meccanismo è legato al mantenimento del territorio in buone condizioni.
Se questa condizione (principio di condizionalità) non è soddisfatta addio agli aiuti.
Prende le mosse da questa concezione di "agricoltore-giardiniere" l'evolvere degli indirizzi che Bruxelles imprime all'agricoltura.
Insomma, l'importante è sfalciare i prati, non produrre buon fieno.
Questo indirizzo si è andato sempre più accentuando di riforma in riforma, aumentando ogni volta gli obblighi previsti dalle diverse "condizionalità".
Sperando che per rimediare agli errori del passato con le sovrapproduzioni, non si finisca con il creare il problema opposto. Dimenticando cosa ha insegnato l'emergenza sanitaria a proposito dell'importanza strategica dell'agricoltura.
Alleanze tra fiere
Prima forti concorrenti sul piano delle manifestazioni dedicate all'agroalimentare, domani possibili alleate.
Sono la Fiera di Milano, con Tuttofood, e la Fiera di Parma con le sue versioni di Cibus, entrambe pronte a siglare un accordo per mettere insieme le energie e superare le difficoltà che l'emergenza sanitaria ha scatenato.
La notizia arriva dall'articolo firmato da Giovanna Mancini, pubblicato su Il Sole 24 Ore del 25 gennaio.
Il progetto, ora ancora in fase di studio, andrebbe oltre una semplice collaborazione e conterrebbe una vera e propria operazione societaria fra i due eventi fieristici.
L'obiettivo, si legge nell'articolo, è quello di realizzare manifestazioni a vocazione internazionale, capaci di diventare un punto di riferimento per le filiere industriali in cui l'Italia è leader.
L'altro obiettivo è quello di attrarre operatori dall'estero e competere con le maggiori fiere globali del segmento alimentare.
Ma non sono escluse alleanze anche su altri settori in cui entrambi questi due poli fieristici rappresentano un punto di riferimento.
I progetti di Bonifiche Ferraresi
È una lunga intervista con Federico Vecchioni, ai vertici del gruppo Bonifiche Ferraresi, quella raccolta da Luigi Chiarello per le pagine di Italia Oggi in edicola il 26 gennaio.
Si parte dal valore strategico della terra, fattore indispensabile per ogni progetto alimentare, sul quale si concentrano le continue dinamiche di acquisizioni nelle aree fertili del pianeta, come pure gli investimenti sul capitale fondiario condotti da Cina e dai paesi del Golfo.
A questo proposito si ricorda che Bonifiche Ferraresi oggi detiene direttamente 11mila ettari e vanta una rete capace di gestire diverse filiere industriali, grazie all'integrazione con il suo partner Consorzi Agrari d'Italia.
Tra i progetti allo studio rientra il recupero di aree agricole marginali per attività non food, come ad esempio la produzione di biocarburanti per autotrazione.
Oggi, ricorda Vecchioni rispondendo a una domanda del suo interlocutore, potremmo definire Bonifiche Ferraresi la Mediobanca dell'agricoltura anche in termini di relazioni tra diversi mondi, quello del capitale italiano, dell'agricoltura, dell'industria e della finanza, che fino a ieri non volevano stare assieme.
Fra i settori sui quali si punta per il futuro c'è il consolidamento della zootecnia, poi il settore cerealicolo e quello ortofrutticolo e delle aromatiche da destinare a integratori.
L'intervista si conclude ricordando che Bonifiche Ferraresi sta mettendo a punto un progetto che consente la riconversione di professionalità dal manifatturiero classico all'agricoltura food e non food.
L'agribusiness potrà rivelarsi in questo modo una risposta alle tensioni sociali, cosa della quale la politica dovrebbe tenere conto.
Una proroga per la Puglia
Agli agricoltori pugliesi occorre un'ulteriore proroga alla presentazione dei piani di sviluppo rurale per l'utilizzo dei fondi agricoli erogati dall'Unione Europea.
Lo si apprende dal Corriere del Mezzogiorno del 27 gennaio, che riporta l'appello che i deputati europei Raffaele Fitto e Paolo De Castro hanno presentato a Bruxelles, nell'incontro con il Commissario europeo all'agricoltura, il polacco Janusz Wojciechowski.
In ballo ci sono circa 28 milioni di euro che la Puglia non è riuscita ad utilizzare entro la fine dello scorso anno.
La Regione chiederà così alla Commissione Ue di poter spendere questi soldi entro il prossimo 31 marzo.
Purtroppo, ricorda l'articolo, è la terza volta consecutiva che la regione Puglia registra questo primato negativo nell'utilizzazione delle risorse comunitarie ed è costretta a chiedere rinvii.
"La sinergia di azione fra me e il collega Raffaele Fitto - afferma De Castro a conclusione dell'articolo - dimostra che in un tema come quello dell'agricoltura, specie in Puglia, non si possono fare speculazioni politiche e remare contro le istituzioni".
I disastri del Farm to Fork
La produzione di pomodori e quella di mele calerà del 20%, quella di uva da vino addirittura del 24%, mentre per l'olio d'oliva si potrebbe profilare un catastrofico crollo del 40%.
E' quanto si legge nell'articolo a firma di Micaela Cappellini su Il Sole 24 Ore del 28 gennaio, dove si prendono in esame le conseguenze per l'agricoltura italiana delle politiche previste dal progetto europeo Farm to Fork.
Questo prevede che entro il 2030 si abbia una riduzione del 50% nell'uso degli agrofarmaci, un calo del 20% nell'impiego dei fertilizzanti, mentre almeno il 25% dei terreni agricoli dovranno essere destinati a coltivazioni biologiche.
Queste previsioni prendono le mosse da uno studio dell'Università di Wageningen, che giunge dopo analoghi risultati ottenuti dagli studi dell'americana Usda, poi dall'Università tedesca di Kiel e dallo stesso Centro di ricerche della Commissione europea.
Fra i settori che più subiranno le conseguenze di questo progetto c'è la produzione di mele e il direttore di Assomela, Alessandro Daliaz, auspica che la politica si fermi e faccia un supplemento di riflessione per mitigare gli effetti negativi di questo progetto.
E' necessario anche tenere conto delle conseguenze sugli acquisti e da questo punto di vista, spiega Davide Vernocchi di Alleanza Cooperative, si teme la risposta del consumatore.
Di fronte a un prodotto più costoso e imperfetto potrebbe premiare l'aspetto ottimale di un prodotto di importazione meno costoso.
Una possibile soluzione può arrivare dal contributo del miglioramento genetico, ma occorre tempo e soprattutto che le normative europee non blocchino le ricerche in questa direzione.
Grano e venti di guerra
Numerose le notizie di interesse per il settore agroalimentare pubblicate su Il Sole 24 Ore del 29 gennaio.
Si parla del successo del vino, il cui export ha superato i 7 miliardi, merito anche dei buoni risultati del Prosecco, che ha raggiunto quota 750 milioni di bottiglie vendute.
Numeri importanti anche per qualità pregiate, come il Brunello di Montalcino o l'Amarone e il Barolo, tutti aumentati con percentuali abbondantemente sopra il 20%.
Bene anche il radicchio, riconosciuto come un'eccellenza del made in Italy a livello mondiale, tanto che il 20% della produzione italiana, circa 270mila tonnellate annue, è destinato ai mercati stranieri.
Quasi come un paradosso, finisce che il radicchio sia più conosciuto a Berlino che non a Roma.
Ma a fianco di queste notizie positive, ce n'è una che desta molte preoccupazioni e che ha come protagonista il grano.
L'attenzione di Sissi Bellomo, che firma l'articolo, si è fermata sulle tensioni fra Russia e Ucraina, che sono tra i maggiori esportatori di cereali al mondo.
A questo proposito si ricorda che l'Ucraina è seconda solo agli Stati Uniti per le esportazioni di cereali.
Quanto basta per dare un'ulteriore spinta alle quotazioni del grano, che in questa settimana sul mercato di Chicago hanno raggiunto nuovi record.
L'Ucraina, insieme alla Russia, controlla quasi un terzo del mercato mondiale del grano e l'Italia figura tra i maggiori acquirenti.
Il grano non è l'unico cereale sotto tensione, conclude l'articolo, ricordando che dall'Ucraina esce il 16% dell'export mondiale di mais (oltre 30 milioni di tonnellate), di cui oltre la metà è diretto in Europa.
La carne in tavola (con l'etichetta)
Questa volta i francesi ci hanno battuto sul tempo.
Per i prossimi due anni nei ristoranti d'Oltralpe scatterà l'obbligo di indicare sui menu l'origine delle carni.
Nei ristoranti italiani l'origine della carne resta anonima.
Questo nuovo obbligo dovrà essere rispettato dai ristoranti francesi per le carni di suino, di ovino e di pollame. Quelle di bovino non sono contemplate dalla nuova normativa in quanto già dal 2004, dopo l'epidemia di vacca pazza, era obbligatorio indicare la provenienza di queste carni.
Come precisa Attilio Barbieri sulle pagine di Libero in edicola il 30 gennaio, dovrà essere indicato il paese di allevamento e quello di macellazione di ogni capo dal quale provengono i tagli serviti a tavola.
Un'analoga proposta era stata presentata in Italia cinque anni fa dal consorzio Italia Zootecnica, purtroppo senza avere seguito.
Ora i produttori zootecnici sperano che l'esperienza francese possa fare da apripista per analoghe scelte in Italia.
La necessità di regolamentare questo settore nasce dalla constatazione che tuttora in Italia una bistecca su due arriva dall'estero.
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