In principio ci fu la Gran Bretagna, che nel 2013 adottò la prima versione dell'etichetta a semaforo. Se un cibo contiene molto sale, grassi o zuccheri il bollino è rosso, verde invece se questi ingredienti sono poco presenti.

Sulla scia del Regno Unito altri paesi, come la Francia, hanno adottato versioni nazionali dell'etichetta a semaforo, Oltralpe denominato Nutriscore. Un approccio alquanto basilare alla nutrizione, che divide i cibi in buoni e cattivi (se contengono tanto sale, zucchero o grassi).
 
Il paradosso è che i cibi della tradizione italiana, come il Parmigiano Reggiano, l'olio d'oliva o il Prosciutto crudo di Parma, in questo sistema si vedono affibbiato il pallino rosso. Messi fuori campo perché "poco salutari". Un danno enorme per il made in Italy le cui eccellenze in questo modo verrebbero declassate da prelibatezze a junk food. E il paradosso è che cibi dallo scarso valore nutrizionale, ma con bassi contenuti di zucchero, grassi e sale, avrebbero il bollino verde.

"Soprattutto non si tengono in considerazione le quantità di un singolo cibo che un consumatore assume durante il giorno", spiega Paolo De Castro, coordinatore del Gruppo S&D (di cui fa parte il Pd) in Commissione Agricoltura al Parlamento europeo che da anni si batte a Bruxelles per non far passare il principio del Nutriscore.

E infatti l'olio d'oliva, ricco di composti salutari, deve essere usato nelle giuste dosi. Come il grana o il prosciutto non devono essere assunti ad ogni pasto. E infatti il Governo italiano, con alle spalle tutte le filiere compatte, ha ribattuto alla proposta di etichetta a semaforo con quella "a pila", dove per ogni ingrediente "critico" contenuto nella confezione è riportato quanto se ne può assumere nel resto della giornata (secondo le linee guida stilate a livello internazionale).

Ipotizziamo che una porzione di formaggio contenga 10 grammi di grassi e le linee guida indichino una soglia di 15 grammi al giorno come tetto massimo, il consumatore saprà di poterne assumere al massimo altri 5 per mantenere una dieta equilibrata.

Insomma, si tratta di due approcci differenti. Quello a semaforo è estremamente facile da capire, ma perché compie una semplificazione estrema, dividendo la tavola tra cibi buoni e cattivi. Quello a pila invece è più aderente alla realtà, ma richiede da parte del consumatore un maggiore impegno.


La decisione spetta all'Unione europea

Dato che il commercio di beni all'interno dell'Unione è regolato dall'Ue, che definisce regole e standard, ora la palla è nel campo della politica comunitaria. Tra circa un anno la Commissione europea, nella persona di Stella Kyriakides (commissaria cipriota alla Sicurezza alimentare), dovrebbe avanzare una proposta legislativa, accompagnata da un dossier sull'impatto previsto dalle diverse proposte, che dovrà prendere in considerazione tutte le esperienze, come ad esempio l'etichetta keyhole scandinava.

La proposta dovrà poi essere discussa dal Consiglio dell'Ue e dal Parlamento europeo, che potranno proporre emendamenti, bocciarla o approvarla. Insomma, la strada è ancora lunga anche se i fronti sono già definiti. Da una parte infatti troviamo a favore del Nutriscore la Francia, la Spagna, il Belgio, la Germania, il Lussemburgo, l'Olanda e la Svizzera che nonostante non sia membro dell'Ue ha un peso rilevante visto che la multinazionale (svizzera) Nestlè si è schierata a favore dell'etichetta a semaforo, adottandola volontariamente. Azienda che ora guida un fronte di diverse multinazionali (Coca-Cola Company, Mars, Mondelez International, PepsiCo e Unilever).

Sul fronte dell'etichetta a pila invece troviamo l'Italia, Cipro, la Repubblica Ceca, la Grecia, l'Ungheria, la Lettonia e la Romania. Alleati numerosi ma non "di peso" ai tavoli bruxellesi. Anche se Roma può contare sugli agricoltori del Copa-Cogeca, che potrebbero far sentire la propria voce.