Questi i dati risultati dall’Osservatorio del vino sui Paesi terzi di Business Strategies, frutto dell’elaborazione realizzata in collaborazione con Wine Monitor Nomisma sui dati import delle dogane aggiornate agli ultimi dodici mesi 2017 relativamente agli otto principali partner commerciali che, aggregati, rappresentano il 90% della domanda di vino extraeuropea. Due le possibili letture di questa situazione: da una parte la crescita dell’export del nostro vino, dall’altra però alcuni elementi di debolezza come la stagnazione del prezzo medio, l’inefficacia su alcuni mercati in forte sviluppo, la fase di riflessione sul mercato Usa.
“Al netto del sorpasso ai nostri danni negli Usa, dove la Francia ha recuperato solo nel 2017 173 milioni di euro all’Italia - sottolinea Silvana Ballotta, ceo di Business Strategies - il nostro gap commerciale sta tutto nei principali paesi dell’Estremo Oriente, in particolare in Cina e Giappone, dove i francesi hanno registrato un valore di vendite di oltre 1,4 miliardi di euro superiore al nostro, più o meno la stessa cifra che ci separa dal principale nostro competitor nelle esportazioni complessive extra-Ue. Serve, come auspicato in più tavoli, una concertazione centralizzata della promozione verso quei partner commerciali, per evitare che restino perennemente mercati di prospettiva per noi e di sblocco per loro”.
Fra gli importatori top, torna a crescere la Russia (+41%), oltre a un forte import del Brasile (+48,6%). Più lievi gli aumenti di domanda di vino italiano dalla Svizzera (+5,4%), Giappone (+3,6%) e Usa (+1,3%). La Cina merita un discorso a sé: +18,6% per l’import di vino made in Italy, ma molto minore rispetto agli altri esportatori. Rimane poi basso il prezzo medio, con 2,77 euro/litro per il vino italiano, contro i 6,07 euro/litro per il prodotto francese.