Eppure, la freccia punta verso il basso. La coltura del melo ha perso dal 2006 ad oggi 930 ettari (-13%), addirittura 1.500 sono gli ettari persi dal pesco (-30 per cento).
Logico pensare che la parola crisi non sia affatto sconosciuta al settore, come ha sottolineato Gabriele Tibaldo, direttore del Consorzio ortofrutticolo padano, che ha organizzato l’evento dal titolo “Ortofrutta del Veneto, rilancio o lento declino?”.
Secondo il ministro delle Politiche agricole, Mario Catania, la lettura deve volgere in chiave positiva. “Il primo punto da rilanciare è l’aggregazione, accorciando la filiera, nei casi in cui ciò è possibile”, afferma Catania, che è candidato in Veneto nelle file dell’Udc.
Poi si dovrà rovesciare il quadro della concorrenza, che vede Paesi come Spagna, Nord Africa e Olanda le aree che esprimono i principali competitor. “Non sul piano della qualità, beninteso, ma dei prezzi”, osserva Catania. Allo stesso tempo, dice il ministro,”bisogna lavorare su origine e tracciabilità. Abbiamo già regole comunitarie che impongono di indicare l’origine del prodotto, ma questo purtroppo non sempre avviene”.
L’impressione è che lo scenario per i produttori di ortofrutta sia tutt’altro che confrontante, aggravato dai costi di produzioni aumentati sensibilmente, dalla difficoltà di fare massa critica nei passaggi (troppo lunghi) dalla terra alla tavola, ma penalizzato anche da un crollo dei consumi.
“Negli ultimi dieci anni – afferma Paolo Bruni, presidente del Centro servizi ortofrutticoli (Cso) – i consumi annuali di ortofrutta sono calati pesantemente, passando da 450 a 350 chilogrammi a famiglia. Cento chili in meno, nonostante siano ormai noti i benefici derivati dal consumo di frutta e verdura”.
Cifre confermate anche dal presidente del Consorzio ortofrutticolo padano, Fausto Bertaiola, che parla di declino “costante dei consumi fra l’1,5 e il 2% ormai da 15 anni”.
Questo è uno dei lati affilati della lama, che in parallelo descrive uno scarso appeal da parte delle nuove leve verso il settore.
“Ci sono sempre meno giovani – prosegue Bertaiola di fronte ad una nutrita platea di imprenditori – dal 2000 ad oggi abbiamo perso il 30% delle aziende agricole”.
Numeri che danno grattacapi non solo al Consorzio ortofrutticolo padano, realtà scaligera che associa 1.500 aziende e 15 cooperative, ma all’intero comparto, chiamato a studiare vie di rilancio piuttosto urgenti.
Non basta, a sentire gli addetti ai lavori, il tessuto dell’ortofrutta veneta, per il 35% aggregata in Op, al di sopra di circa 10 punti percentuali rispetto alla media nazionale, ma forse ancora lontana dall’azionare leve di mercato in grado di garantire l’apertura del paracadute sulla redditività.
Quali soluzioni, dunque, sono possibili? Veronica Bertoldo, responsabile Ufficio associazionismo agricolo e Pp alla Regione Veneto, raccomanda “maggiore sinergia tra privati e Pubblica amministrazione, visto che il Veneto, con 19 op ortofrutticole riconosciute e una Dop, quella sul radicchio, che ne associa ben sette, è fra le realtà di maggiore spessore economico nel panorama nazionale”. Allo stesso tempo, secondo la dirigente del Veneto, “è opportuno incentivare l’interazione col mondo ricerca, e coordinare le attività di ricerca, didattica e informazione nel settore dei prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati”.
Secondo Paolo Bruni, “bisogna fare di più per l’aggregazione. Esportiamo i due terzi di quello che produciamo e per conquistare nuovi mercati bisogna organizzarsi per arrivare ai Paesi emergenti: India Cina, Sud Africa, Russia, Brasile”. Sostenere l’export, secondo l’ex presidente del Cogeca, significa anche “lavorare per l’abbattimento delle barriere fitosanitarie, che molto spesso servono ad erigere un confine che invalicabile. L’Italia è fuori da un mercato come gli Stati Uniti e non può esportare, ad esempio, le mele e le pere”.
Rafforzare le Op è una delle soluzioni indicate dal presidente di Unaproa, Ambrogio De Ponti. “Vogliamo competere ad armi pari con Spagna e Francia – puntualizza – e per questo dovremo unire le forze. In Sicilia il 51% della plv agricola viene dall’ortofrutta, eppure le op rappresentano appena il 15 per cento”.
Al convegno c’è spazio anche per il sociale. Ne parla Adele Biondani, presidente del Banco alimentare del Veneto, una rete con 115 volontari.
“Nel 2012 abbiamo distribuito a persone in difficoltà giacenze alimentari non più commerciabili, ma commestibili per oltre 4.472 tonnellate – rivela Biondani -. Di queste, circa 260 tonnellate erano prodotti ortofrutticoli, donati dalle op venete. Purtroppo, secondo le nostre previsioni, quest’anno dovremmo superare il tetto delle 100.000 persone in difficoltà nella nostra regione”.