Il tema del benessere animale è da tempo al centro delle attenzioni del legislatore europeo.
Risale infatti al 1974 una delle prime normative relative a questo argomento, che ha trovato nel 2007 uno dei suoi momenti più importanti con la definizione degli animali come “esseri senzienti”.

Prima e dopo questa data le normative europee si sono occupate a più riprese del benessere animale, intervenendo sulla densità dei capi allevati, sui comportamenti anomali, sulle sofferenze in allevamento o durante il trasporto, solo per citare alcuni degli argomenti presi in esame.

In particolare è con la riforma Fischler, introdotta nella Politica di sviluppo rurale, che il benessere animale è entrato a pieno titolo nella Politica agricola comunitaria (Pac), divenendo parte del primo pilastro attraverso la condizionalità obbligatoria.
Ancora oggi, nella Pac 2014-2020, il benessere animale ha un ruolo rilevante, almeno sulla carta.
 

Le verifiche

Ma come stanno realmente le cose? La Corte dei Conti europea ha ritenuto opportuno verificare in quale misura gli Stati membri abbiano seguito le indicazioni previste dalla Pac in tema di benessere animale.
I risultati di questo lavoro, recentemente diffuso dalla Rete Rurale Nazionale, evidenziano molte criticità. Disparità tra gli Stati membri e sottoutilizzo delle risorse sono gli elementi che più spiccano in questa analisi.

Il documento si conclude ponendo l'accento sull'eccessiva dispersione degli interventi attuati dai singoli Stati membri, specie considerando la scarsa entità delle somme da impiegare.
A disposizione della misura 14 delle Politiche per lo sviluppo rurale, quella appunto relativa al benessere animale, sono stati erogati circa 2,5 miliardi di euro, per due terzi a carico delle casse dell'Unione, e per il rimanente terzo a carico del singolo Stato membro.
A quanto pare, l'impiego di queste risorse non ha privilegiato il miglioramento del benessere animale, ma è andato al sostegno di sistemi zootecnici legati all'identità locale o a contesti in difficoltà.
 

Cosa si è fatto

Entrando nel merito degli interventi attuati, i più numerosi sono andati al miglioramento delle condizioni di stabulazione e in particolare all'aumento delle superfici a disposizione di ogni animale.

Frequenti poi gli interventi per il passaggio alla stabulazione libera o semi libera e l'accesso all'aperto da parte degli animali.
Per contro nei suini è segnalato come siano scarse le risorse utilizzate per il miglioramento delle gabbie parto o l’arricchimento dei box.
Una mancanza che la Corte ha evidenziato riguarda l’assenza di progetti, meglio se obbligatori, per la formazione degli operatori, finalizzata alla gestione dell’azienda in funzione del benessere animale.
 

La situazione in Italia

Questi gli aspetti generali guardando l’insieme dei Paesi membri. Per quanto riguarda l’Italia, il tema del benessere animale è presente in più Psr (Piani di sviluppo regionali) e le specie animali coinvolte sono numerose, con la presenza costante dei bovini e solo nel caso del Friuli Venezia Giulia anche dei conigli.

Tema ovunque ricordato è quello delle condizioni di stabulazione e dello spazio a disposizione degli animali. Interessante notare che la Liguria, regione a bassa vocazione zootecnica, abbia fissato gli standard più elevati per i bovini da carne.
Calabria, Lazio, Marche e Umbria si segnalano per aver messo al centro dei loro obiettivi il passaggio alla stabulazione libera.
Friuli, Sardegna e Liguria figurano poi fra le regioni che hanno finanziato interventi per l’accesso all’aperto nel caso degli allevamenti di suini, mentre la Calabria ha deciso un aumento importante della superficie destinata all’allevamento delle galline ovaiole.

Va segnalato l’impegno della Sardegna, che pone questa Regione al vertice della spesa pubblica programmata, con oltre 225 milioni di euro, poco meno delle risorse totali impiegate in Austria.


Occorre realismo

Tornando all’attuazione dei programmi europei per il benessere animale, la Corte dei conti segnala che in troppi casi le misure a sostegno del benessere animale abbiano semplicemente ricalcato pratiche già applicate in azienda.

Un aspetto che richiama alla necessità di cambiare l’approccio al benessere animale, che finisce con l’essere accomunato a temi più generali, come la tutela dell’ambiente o la biodiversità.
Il lungo lavoro di stesura delle norme, risultato di un difficile compromesso, sembra confondere il benessere animale con le attese del consumatore, che avendo scarsa o nulla conoscenza del tema, stenta ad avere sua volta una visione obiettiva. Dunque si può fare di meglio se si accetta più realismo.