Sale il prezzo del petrolio, complice la difficile situazione nel Magreb, e cresce il prezzo del latte. E' sempre così, oro nero e oro bianco viaggiano a braccetto sui mercati. Non ci sono connessioni dirette fra questi due prodotti, ma è pur vero che il costo dell'energia si riflette su gran parte delle attività produttive, latte incluso. Così il prezzo del latte spot, quello venduto fuori dai contratti fra allevatori e industrie, è tornato a salire e sulla piazza di Lodi (che fa da riferimento per questo prodotto) si torna a parlare di oltre 43 centesimi al litro. In fermento anche il mercato dei formaggi. Il prezzo del Grana Padano, valido termometro del settore, è cresciuto rispetto ad un anno fa di quasi il 30%. Cresce il prezzo del latte, ma crescono anche i costi per produrlo. Un'occhiata al mercato del mais e della soia, componenti indispensabili dell'alimentazione della vacca, è sufficiente per capire cosa accade. Rispetto ad un anno fa il mais costa oltre il 70% in più (circa 230 euro tonnellata) e la soia ha fatto un balzo in avanti di quasi il 40% (circa 550 euro tonnellata). Il risultato è che dare da mangiare alle vacche costa di più visto che il prezzo dei mangimi, stando ai calcoli della Coldiretti, è cresciuto del 17%.

 

Il prezzo nel Lazio, in Toscana e in Campania

Costi in salita e mercato dei formaggi in ripresa dovrebbero essere gli ingredienti giusti per nuovi accordi fra allevatori e industrie del settore all'insegna di prezzi del latte più alti. Ma non è così. Poche settimane fa, in Lombardia, si è faticosamente raggiunto un accordo fra Coldiretti e Italatte (dunque un accordo parziale, che riguarda solo alcuni dei protagonisti della filiera, per quanto importanti) che ha fissato a 39 centesimi di euro il prezzo del litro di latte alla stalla. Aumenti modesti e non condivisi da altre rappresentanze agricole. Ora le difficoltà a raggiungere un accordo fra allevatori e industrie si ripresenta nel Lazio, con protagonista la Centrale del latte, che per gli allevatori di questa Regione è uno dei principali interlocutori. Le posizioni sono distanti, con gli allevatori che chiedono di allineare il prezzo alla nuova realtà di mercato, richieste che però non trovano ascolto. In segno di protesta gli allevatori hanno persino minacciato di gettare il latte nel Tevere. Minaccia che responsabilmente non è stata portata a termine, ma il problema prezzo è tutt'altro che risolto. Il Lazio rappresenta poco più del 3% della produzione di latte italiano e viene al sesto posto nella graduatoria delle regioni a vocazione lattiera della Penisola. Dal prezzo del latte dipende il futuro di oltre 1700 aziende e le decisioni che saranno prese nel Lazio condizioneranno gli analoghi accordi in scadenza in Toscana e in Campania. In queste due Regioni andranno in scadenza a fine aprile gli accordi sul prezzo del latte fissato a 39 centesimi al litro per la Toscana e a 40 centesimi per la Campania. E già si annuncia difficile trovare un punto di incontro nella nuova trattativa.

 

Ci vuole un “indice”

Ma perché, viene da chiedersi, tanta resistenza da parte delle industrie nell'accordare gli aumenti richiesti dagli allevatori? La forbice fra prezzo del latte e mercato dei formaggi si è allargato e sembra offrire spazi di manovra sufficienti ad aumenti che non assottigliano i margini, legittimi, delle industrie. Industrie che hanno tutto l'interesse a favorire una produzione nazionale di qualità, indispensabile per la produzione di formaggi Dop. Una qualità che va sostenuta concedendo agli allevatori un prezzo equo. A spaventare le industrie è la volatilità del mercato del latte, sempre più globale ed esposto ad ogni “refolo di vento” capace di agitare prezzi e tendenze. E spaventano i dati sulla produzione mondiale, tutti di segno più. Un ingrediente che potrebbe far scendere i prezzi se non ci sarà un aumento della domanda altrettanto consistente.

Fissare un prezzo, per un anno o anche solo per alcuni mesi, è dunque difficile come dimostra l'assenza di accordi regionali e la difficoltà a raggiungere intese anche solo aziendali. Se il mercato è volatile, e tale resterà a detta di esperti ed economisti, non resta che allinearsi a queste mutate condizioni. Lo strumento c'è e si chiama indicizzazione del prezzo, se ne parla da anni ma senza giungere ad un risultato concreto. Un esempio, pur limitato ad una funzione di orientamento, lo si può consultare su Clal, dove è stato messo a punto uno strumento di simulazione per calcolare il prezzo del latte. L'importante è fissare i parametri giusti che riconoscano ad ognuno, allevatori e industrie, un margine soddisfacente e il gioco è fatto. E' una nuova sfida e come tale può nascondere qualche insidia. Sempre meglio dell'incertezza del presente e delle vecchie, superate, regole del gioco.