Quattro anni di ricerche dedicate all'approfondimento della possibilità di reintrodurre la coltivazione dell'arachide in Italia: all'ultima edizione di Macfrut si è parlato anche del progetto "Filiera dell'arachide nell'Italia centro-meridionale: dalla gestione colturale alla trasformazione industriale".

 

Fra i relatori del convegno, organizzato da Agrisicilia, c'era anche il professore Gianluca Caruso dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. "L'obiettivo principale del progetto è quello di cercare di reintrodurre l'arachide, dopo oltre sessanta anni di assenza, in Italia. Questo perché la domanda da parte dei consumatori, seppur percentualmente minoritaria, di arachidi made in Italy, c'è. C'è spazio per una filiera tutta italiana".

Leggi anche Colture minori, quattro trend da tenere sott'occhio

Secondo dati Ismea, nel 2023 l'Italia ha importato arachidi per un valore di 20 milioni di euro corrispondenti a 57mila quintali, dato in crescita rispetto ai due anni precedenti. In effetti l'arachide, che si consuma in guscio o sgusciata, ha ancora una superficie limitata in Italia. I Paesi da cui importiamo sono Cina, Egitto, Stati Uniti, Brasile e Argentina. "Il mercato - ha detto ancora il professore Caruso - sicuramente già c'è. L'obiettivo è quello di far crescere questo mercato. Al Nord al momento si coltivano circa 150 ettari, al Sud solo una ventina. La differenza fra Nord e Sud è collegata agli interlocutori commerciali, cioè alle aziende che richiedono questo prodotto made in Italy".

 

In effetti la caratteristica del progetto è quella di coinvolgere ricerca e mondo produttivo. Il progetto ha visto la partecipazione dell'Azienda Vincenzo Caputo che confeziona e commercializza frutta secca, assieme ai seguenti enti di ricerca: il Centro Studi Isvam di Palermo, l'Università degli Studi di Napoli Federico II e l'Università rumena di Iasi "Ion Ionescu de la Brad".

 

Il progetto è stato portato avanti in Campania e in Sicilia, in provincia di Caserta, a Marsala e Ragusa. "L'arachide, il cui nome scientifico è Arachis hypogaea, ha la caratteristica che il frutto che è un baccello si sviluppa nel sottosuolo. Per questo si dice ipogea e afferisce alla famiglia delle leguminose. È importante dare enfasi all'appartenenza a questa famiglia, in quanto può rientrare in avvicendamenti con colture tipo pomodoro da industria, rappresentando un beneficio dal punto di vista tecnico e con dei risultati anche lusinghieri dal punto di vista economico. Tendenzialmente preferisce il terreno sciolto, ma noi sappiamo bene che anche le colture ipogee si possono gestire in suoli compatti. Si tratta di una coltura irrigua, in caso ciclo primavera estivo".

 

Arachide: potenziale occasione

 

Fra le criticità evidenziate dalla ricerca e sulle quali si sta lavorando c'è quella di non avere su suoli italiani al momento specie batteriche azotofissatrici che instaurino rapporti di simbiosi con le radici dell'arachide. Lo stesso Isvam sta approfondendo l'opportunità di inoculo di specie azotofissatrici.

 

Le prove sperimentali sono state portate avanti in diversi tipi di terreno, si è andati dalla tessitura di medio impasto a quella sabbiosa. Le semine sono andate dal mese di maggio a inizio giugno, l'irrigazione era a goccia. I ricercatori hanno tenuto sotto controllo i parametri meteoclimatici tramite sensori e centralina meteo.

 

I risultati di quattro anni hanno mostrato i risultati maggiori in termini di baccelli e semi con una densità d'investimento di dieci-dodici piante a metro quadrato e con apporti consistenti di azoto (58 quintali/ettaro) rispetto alla densità di sei-otto piante a metro quadrato (28 e 41 quintali/ettaro). Da sottolineare che passare da un ciclo colturale di cento giorni a uno di centodieci ha comportato una diminuzione nei valori nutrizionali del prodotto: diminuzione del contenuto di proteine del 6,8%, dei polifenoli dell'11,2%, dell'attività antiossidante del 7,6%, di azoto, fosforo e magnesio del 6,8%, del 6,2% e del 6,8%.

 

"In Italia - ha concluso il professore Gianluca Caruso - si può coltivare ovunque. Ciò che differisce sono i cicli colturali. Al Sud si possono anticipare un po' gli impianti rispetto a Nord, ci sono un paio di settimane indicativamente di differenza. Quindi se al Sud si può partire a fine aprile, inizio maggio, al Nord magari si semina a metà maggio. I cicli colturali hanno però una durata simile".

Questo articolo fa parte delle collezioni: