Le produzioni vegetali sono contese fra diverse criticità quali l'insorgenza di nuove avversità biotiche e la diminuzione di mezzi tecnici per contrastarle. Queste sfide comportano perciò la necessità di raggiungere nuovi obiettivi e quindi applicare nuove soluzioni, per garantire una difesa adeguata dalla sempre più pressante azione dei patogeni.

 

Nell'ambito della difesa fitosanitaria le moderne biotecnologie applicate al miglioramento genetico, conosciute anche come Tecniche di Evoluzione Assistita (Tea), e le tecniche molecolari possono rappresentare una innovativa strada per raggiungere tali obiettivi.

 

In questo contesto si è fatto il punto della situazione in un convegno dedicato dal titolo "Prospettive nell'applicazione di tecniche genetiche e molecolari nell'ambito della futura difesa fitosanitaria". Tenutosi mercoledì 27 novembre all'Auditorium Centro Malaguzzi di Reggio Emilia ed organizzato da Consorzio Fitosanitario Provinciale di Reggio Emilia, Consorzio Fitosanitario Provinciale di Modena, Società Agraria di Reggio Emilia e Settore Fitosanitario e Difesa delle Produzioni Emilia Romagna.

 

Dopo i saluti istituzionali da parte di Paola Rinaldini, presidente del Consorzio Fitosanitario Provinciale di Reggio Emilia, Paolo Nasuelli, professore della Società Agraria di Reggio Emilia e Alessio Mammi, assessore all'Agricoltura e Agroalimentare, Caccia e Pesca dell'Emilia Romagna sono intervenuti sia enti di ricerca che aziende private e pubbliche del territorio, spaziando dalla teoria alla pratica.

 

Ogm e nuove tecnologie: sfide e opportunità

Visto che la genetica, come scritto all'inizio dell'articolo, può rappresentare un'alternativa affrontare la diminuzione dei mezzi tecnici di difesa vediamo quali sono gli strumenti biotecnologici che si possono integrare al tradizionale miglioramento genetico vegetale.

 

Innanzitutto, nel macro gruppo delle biotecnologie rientrano: cisgenesi, transgenesi, intragenesi e poi le nuove tecniche di genome editing e di silenziamento genico. Come la classica mutagenesi anche queste producono organismi geneticamente modificati, perché modificano effettivamente il Dna dell'individuo e che in termini scientifici si chiama "tecnologia del Dna ricombinante".

 

"La normativa 2018 si basa su questo concetto e l'articolo 4 dice 'tutti i prodotti da tecnologie Dna ricombinante sono Ogm'. Ecco perché i prodotti vengono classificati come organismi geneticamente modificati, in quanto le varie tecniche tagliano e cuciono il Dna. Però lo fanno in modo diverso e in modo più o meno preciso" dice Bruno Mezzetti, professore dell'Università Politecnica delle Marche.

 

Vediamo brevemente le differenze fra queste diverse tecniche.

 

Transgene, vuol dire che si selezionano sequenze di Dna provenienti da un organismo che appartiene ad un genere o una specie diverse da quello dell'organismo target da migliorare. È il caso, per esempio, del mais Bt resistente alla piralide, in cui la proteina Bt deriva dal Bacillus thuringiensis.

 

Cisgene, vuol dire che selezioniamo sequenze di Dna proveniente da un organismo che appartiene alla stessa specie dell'organismo target da migliorare. I prodotti vegetali derivanti da questa tecnologia in particolare rientrano nella classificazione degli Ngt 1.

 

Intragene, vuol dire che selezioniamo sequenze di Dna provenienti da un organismo che appartiene allo stesso genere o ad una specie vicina all'organismo target da migliorare.

 

In poche parole, apportiamo una modifica che è simile a quella che si creerebbe con un programma di breeding classico. Solo che invece che incrociare ciclicamente le piante si cerca direttamente il gene di interesse, si clona, si crea il costrutto e si trasferisce nella varietà.

 

Poi ci sono le nuove tecnologie come il silenziamento genico con l'Rna interferente (Rnai), di cui parleremo più avanti. In questo caso si sfruttano piccoli frammenti di Rna che si esprimono all'interno della pianta; quindi, si applicano in maniera endogena (ma si possono applicare anche in maniera esogena), e che ne modificano il metabolismo. Il vantaggio? "Non solo possiamo usare l'approccio del formulato, ma possiamo arrivare a dire che abbiamo l'espressione stabile in pianta di queste piccole molecole che forniscono la resistenza"

 

E poi vi è quella del genome editing, che utilizza il sistema Crispr che è in grado di tagliare e cucire in modo specifico pezzetti di Dna. In pratica, se una varietà possiede una caratteristica negativa l'ingegnere genetico può modificare o eliminare il gene associato a tale carattere negativo.

 

"Se applichiamo la mutagenesi e troviamo un carattere mutato la genomica oggi ci permette di capire qual è il gene mutato. Mentre, con il genome editing possiamo trasferire questa conoscenza e modificare altre varietà in modo preciso senza dover più fare mutagenesi tradizionale. Quindi c'è davvero una grossa potenzialità dietro questo" continua Mezzetti.

 

Che differenza c'è tra il genome editing e la mutagenesi? La differenza la fa la proteina Cas, che fa il lavoro di tagliare e cucire il gene target e che va inserita con un costrutto. Questo sistema fa perciò rientrare il prodotto vegetale negli Ngt 2, perché con il costrutto vengono inseriti due pezzi di Dna, compresa la sequenza della proteina Cas.

 

In conclusione, è disponibile un'ampia disponibilità di biotecnologie diversificate che potrebbero sviluppare alternative più precise e performanti, e per risolvere l'opposizione contro queste tecniche è necessario fare una corretta informazione ma anche adottare un approccio regolamentato.

 

Rnai, la tecnologia naturale che silenzia geni

Fra le tecnologie genetiche si sta espandendo l'uso dell'Rna interferente (Rnai). Una biotecnologia che sfrutta un meccanismo biologico cellulare che regola in maniera negativa, in particolare silenzia, l'espressione di specifici geni.

 

Elena Baraldi, professoressa dell'Università di Bologna, ha spiegato durante il convegno l'applicazione esogena di Rna, e la possibilità di sviluppare molecole basate su questo meccanismo di silenziamento genico per applicare sulle piante trattamenti fitosanitari molti simili a quelli tradizionali.

 

Le cellule hanno evoluto un sistema di "spegnimento" di alcune funzioni geniche come sistema di difesa. Per esempio, molto spesso hanno bisogno di silenziare geni derivanti da virus.

 

Ma esattamente come funziona in piccolo questo meccanismo di difesa? 

"Nelle cellule i geni che sono contenuti nel genoma vengono trascritti al momento del bisogno in Rna. Questo Rna poi esce dal nucleo della cellula e viene tradotto in una proteina che svolge una determinata funzione" - spiega Baraldi – L'Rna interferente agisce silenziando questo meccanismo, bloccando la traduzione del gene e quindi la trasformazione di Rna in proteina".

 

Per fare in modo che questo avvenga entra in gioco un doppio filamento di Rna, chiamato double stranded Rna (dsRna), che deve possedere la sequenza specifica per poter riconoscere l'Rna da bloccare e privare la cellula di una determinata funzione.

 

Da qui l'idea di applicare questo meccanismo naturale per la protezione delle colture, producendo appunto agrofarmaci spray a base di Rna interferente. Questo perché l'esito è lo stesso, cioè bloccare la malattia, ma il meccanismo di azione è differente da quello delle molecole convenzionali.

 

Difatti, invece che inibire l'azione della proteina target, responsabile di un carattere negativo, i nuovi agrofarmaci bloccano direttamente l'Rna che deriva dal gene che codifica per la proteina stessa.
In poche parole, si riesce ad agire direttamente sulla produzione e non sulla struttura proteica come invece fanno gli agrofarmaci tradizionali.

 

In questo modo si possono reprimere in maniera molto specifica determinate funzioni patogene.

 

"Abbiamo iniziato anche noi a lavorare con questa tecnologia, cercando di occuparci dei problemi fitosanitari del nostro territorio e con lo sviluppo in laboratorio di protocolli che ci permettono di produrre le molecole e poi saggiarle" conclude Baraldi.

 

Per esempio, il gruppo di ricerca della professoressa ha svolto delle prove su Plasmopara viticola ottenendo un buon livello di controllo nelle foglie trattate con il loro Rnai. Su oidio utilizzando diverse molecole e ottenendo risultati promettenti che andranno approfonditi. E sta lavorando su Stemphylium vesicarium in pero in cui sono in corso studi su geni specifici per costruire nuovi target di Rna che in futuro andranno valutati.

 

È bene sottolineare che, affinché questi innovativi agrofarmaci siano funzionanti, vanno rispettate delle prerogative minime:

  • il patogeno deve possedere tutti i componenti Rnai funzionanti;
  • il patogeno deve possedere la capacità di assorbire le molecole dell'agrofarmaco;
  • capire a monte quale tipo di sequenza utilizzare e quali sono i nucleotidi più efficaci.

Perciò quando si studiano questi meccanismi è importante avere a mente il ciclo di vita del patogeno. Informazioni queste che sono facilmente reperibili per malattie "mondiali" come, per esempio, la muffa grigia ma non sono altrettanto disponibili per malattie presenti in territori più circoscritti.

 

Altri aspetti poi da tenere in considerazione sono le tempistiche di produzione di questi prodotti, le tempistiche di sviluppo di eventuali resistenze da parte del patogeno, eventuali rischi off target nei confronti di macro e microrganismi e gli impatti economici.

 

Sono intervenuti anche Stefano Boncompagni, dirigente Settore Fitosanitario Regione Emilia Romagna con "La strategia fitosanitaria regionale e la normativa relativa alle biotecnologie applicate al settore" e Stefano Poni, professore delll'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, sugli "Aspetti agronomici del nuovo materiale genetico in viticoltura".

 

Dalla teoria alla pratica: alcuni casi

Durante il convegno alcune aziende del territorio hanno mostrato come già in parte utilizzano nei loro programmi di miglioramento genetico le tecniche genetiche citate in precedenza.

 

L'azienda Newplant (Bo) per esempio lavora su diversi programmi di miglioramento genetico su differenti specie frutticole e orticole di interesse, utilizzando tecniche genetiche consolidate a supporto di questi programmi. 

Per esempio, la selezione assistita da marcatori molecolari (Mas) per la determinazione del sesso in actinidia, l'auto fertilità e la resistenza a Sharka in albicocco. Oppure, l'induzione di doppi aploidi in asparago per ottenere dei cloni "super maschi" altamente performanti ed altamente vantaggiosi per l'agricoltore. O ancora la creazione di specifici protocolli per indurre la ploidia in Actinidia per consentire l'ampliamento del pool genetico e consentendo l'avanzamento del miglioramento varietale.

 

"Tutte queste seppur innovative, si possono definire tecniche tradizionali. Negli ultimi anni si è affacciata l'opportunità delle nuove tecnologie e come struttura vediamo possibilità molto interessanti. - dice Mirco Montefiori, di Newplant - Ci siamo approcciati quindi con qualche prova e collaborazione con diverse università, e abbiamo visto che possiamo ottenere dei vantaggi significativi nei nostri programmi di miglioramento genetico".

 

Per la difesa fitosanitaria Newplant, in collaborazione con l'Università Politecnica delle Marche, sta lavorando su un progetto di miglioramento su drupacee per trovare resistenze contro Sharka che limita fortemente la coltivazione soprattutto in pesco (ceppo M).

 

Attualmente nel germoplasma del pesco non sono stati individuati geni di resistenza rilevanti da usare nei programmi di miglioramento genetico. È necessario quindi indurre questo tipo di caratteristica nella pianta: "L'impiego dell'Rnai è molto efficace nell'indurre resistenza ai virus. L'idea di questo progetto, quindi, era di poter introdurre questi Rna su dei portainnesti che possano trasferire la resistenza alle cultivar tradizionali innestate, che di conseguenza non vengono modificate". Altri lavori svolti dal professore Bruno Mezzetti, dell'Università Politecnica delle Marche, hanno dimostrato infatti che questi Rnai possono trasferirsi dal portainnesto al nesto.

 

Le iniziali prove in serra hanno sottolineato i primi risultati positivi, anche su pesco, dove alcune linee sembrano essere resistenti all'infezione dovuta da Sharka.

 

L'uso di portainnesti transgenici come questi consentirebbe una implementazione rapida di questa tecnologia, anche sotto il profilo produttivo perché si andrebbero a modificare solo pochi ipobionti e non le varietà che sono per le frutticole in numero più elevato.

 

L'azienda Vitroplant (FC), specializzata in vivaismo e micropropagazione, ha parlato della possibilità di produrre e innestare in vitro o in ambiente protetto portainnesti modificati.

 

"I portainnesti modificati possono essere innestati in vitro o nella fase immediatamente successiva, quindi senza andare in pieno campo e senza la necessità delle piante madri. - spiega Oriano Navacchi, di Vitroplant - È interessante perché i portainnesti sono in numero limitato rispetto alla varietà. Nel caso della vite sono pochi gli ipobionti che sono alla base del vigneto Italia, con 3-4 portainnesti si innestano mediamente 500 diverse varietà fra uva da tavola e da vino. In questo modo se avessi portainnesti modificati salvaguarderei il patrimonio genetico delle varietà esistenti senza la necessità di modificarle".

 

La micropropagazione consente di propagare in maniera sicura il materiale vegetale e di diffonderlo rapidamente a livello globale. Nel caso dei portainnesti l'incidenza di malattie si abbassa di molto, l'incidenza di diffusione di polline praticamente si azzera e le radici non rischiano di entrare a contatto con i patogeni del terreno, perché l'ambiente di crescita è protetto e fuori suolo. Un altro vantaggio poi è quello di non avere bisogno di piante madri coltivate in pieno campo, perché con la tecnica in vitro solo poche piante madri coltivate in screenhouse sono sufficienti per dare il via al processo di moltiplicazione.

 

Anche l'innesto precoce, con materiali erbacei, può essere svolto in fase di vitro. Vitroplant si è focalizzata sui vantaggi sul sistema Isv Conegliano usata per kiwi e vite. Questa prevede la propagazione in vitro sia del nesto (la varietà) che del portainnesto e nella fase di ambientamento poi vengono innestati. Un metodo questo già abbastanza sperimentato dall'azienda stessa: "Questi innesti vengono normalmente effettuati su piante di piccole dimensioni, si innestano calibri che vanno da 1 a 2 millimetri. Le piante ottenute con la tecnica Isv Conegliano e opportunatamente gestite hanno uno sviluppo molto importante nei primi anni ed entrano in produzione senza problemi" conclude Navacchi.

 

Ma in che direzione potrebbe andare in futuro il moderno vivaismo? Alcune futuristiche tecniche potrebbero essere le colture cellulari, l'embriogenesi somatica e i semi artificiali.

 

Sono intervenuti anche Stefano Saderi, dell'Associazione Miva, che ha affrontato il ruolo del vivaismo nella conservazione, valorizzazione e diffusione del patrimonio genetico viticolo. Poi Luca Casoli, dei Consorzi fitosanitari di Modena e Reggio Emilia, che ha fatto il punto sulla situazione fitosanitaria e i progetti biotech in corso ed infine Enrico Battiston, capo Unità Viticoltura Oiv che ha parlato delle nuove biotecnologie in viticoltura per una definizione internazionale armonizzata.