A tutti gli amici naturalisti dico da anni (e i miei venticinque lettori lo sanno) che l'Italia è un paese sempre più selvaggio.

Il bosco avanza a una velocità straordinaria e oggi circa il 37% dell'intero territorio nazionale è coperto da boschi.

Secondo l'Inventario Nazionale delle Foreste e Ispra, 11 milioni di ettari sono oggi a bosco in Italia con un incremento del 20% rispetto a dieci anni fa.

 

Paradossalmente, e nonostante l'impetuosa avanzata dei boschi, l'Italia rimane un nettissimo importatore di materie prime legnose. Importiamo legno da mobilia e per costruzioni, polpa di legno, derivati come carta e cartone, perfino legna da ardere e pellet. L'importazione copre circa l'80% del legname e derivati che ci necessitano e per questo spendiamo la bellezza di 3 miliardi di euro.

 

Notevole è osservare che l'export di prodotti finiti (come ad esempio i mobili) è invece pari a 10 milioni di euro. Rimane incredibile il fatto che dai dati che abbiamo potuto raccogliere (scarsa la statistica) l'Italia su di un consumo di 5 milioni di metri cubi di materiali legnosi per uso energetico ne importa ben 3.

In poche parole: siamo il primo importatore di legna da ardere (e pellet) del mondo.

 

Da quanto sopra si desume facilmente che uno degli obiettivi strategici del nostro Paese deve essere la selvicoltura, ovvero lo sviluppo e l'ammodernamento della stessa.

Per ragioni evidentemente economiche ma anche per dare linfa vitale alle aree interne collinari e montane che hanno assoluto bisogno di essere rivitalizzate dal punto di vista economico e tutelate da quello idrogeologico. E vediamo opportunità anche nelle zone di pianura dove il riscaldamento delle principali aree metropolitane italiane (stiamo parlando in alcuni casi di oltre 2 gradi in dieci anni) imporrebbe la piantumazione di milioni di alberi; un'azione ambientale che pare oramai improrogabile