Ortofrutta a due velocità
Sono in aumento le vendite di ortofrutta nei canali della grande distribuzione organizzata. Lo scorso anno le vendite sono infatti aumentate del 9,1% in volume rispetto al 2019 segnando un + 8% in valore, superando i 4,5 miliardi di euro.Anche il segmento del biologico ha seguito lo stesso trend, raggiungendo quota 208 milioni di euro di vendite lungo il canale della distribuzione moderna.
Sono questi alcuni dati che emergono dalle analisi di Nomisma sul settore ortofrutticolo, sintetizzate nell'articolo a firma di Lorenzo Frassoldati pubblicato su "Il Resto del Carlino" del 22 marzo.
L'articolo prosegue ricordando il consuntivo dei consumi nel 2020.
Secondo i dati dell'osservatorio di Cso Italy, la frutta e la verdura consumata nel 2020 ha superato i 6 milioni di tonnellate, con una modesta flessione (-1%) rispetto all'anno precedente.
Più sensibile il calo registrato nel solo segmento della frutta, che lo scorso anno ha segnato un meno 3,5% dei volumi.
Le flessioni più significative, si legge ancora nell'articolo, si sono registrate per le angurie (-8%), le clementine (-7%) e i meloni (-5%).
Positivo invece il risultato raggiunto da mele (+4%), arance (+3%), uva da tavola (+14%) e piccoli frutti (+1%).
La passione per le "fabbriche verdi"
C'è un posto dove un metro quadrato di superficie riesce a produrre da 10 a 500 volte di più dello stesso metro quadrato di terreno all'aperto.Il tutto risparmiando acqua, utilizzando meno nutrienti, con scarsi o nulli interventi fitosanitari.
Si tratta delle fattorie verticali (vertical farm per dirla con un termine alla moda), alle quali il mensile "Focus" in edicola il 23 marzo dedica un ampio servizio.
Al momento non sono ancora numerose, ma gli esempi non mancano, come quello di AeroFarms a Newark (Usa) o Plenty, vertical farm robotizzata di San Francisco.
Analoghe tipologie sono sorte in Italia e fra queste l'articolo ricorda Agricola Moderna, definita come la più grande fattoria verticale commerciale d'Italia.
C'è chi sostiene, come Dickson Despommier, professore emerito di microbiologia alla Columbia University, che sia questo delle fattorie idroponiche e aeroponiche un sistema per assicurare al pianeta un futuro più sostenibile.
Le prime idee sulle fattorie verticali risalgono agli anni '80, ma è solo con l'avvento delle luci led, capaci di stimolare la fotosintesi, che si è potuti passare alla applicazione pratica.
Ma la strada ancora da percorrere è lunga e ancora ricca di ostacoli, tenendo conto degli importanti costi di investimento ai quali si aggiungono i non meno rilevanti costi di gestione.
Ad essere particolarmente salato il costo energetico.
Stando alle elaborazioni del Politecnico federale di Zurigo, riportate da Focus, per far crescere un chilo di lattuga in una fattoria idroponica occorrono 4.166 kWh d'energia, mentre all'aperto ne occorrono solo 305.
Il futuro di queste fattorie sembra dunque circoscritto alle aree dove c'è "fame" di terreno o dove il clima rende impraticabile una coltivazione tradizionale.
Previdenza, c'è lo "sconto"
Chi ha meno di 40 anni e si iscrive nel corso del 2021 alla previdenza agricola potrà essere esonerato dal versamento dei contributi previdenziali.Lo stabilisce la legge di Bilancio a favore dei nuovi giovani agricoltori.
Come precisa Leonardo Comegna nell'articolo pubblicato su "Italia Oggi" del 23 marzo, di questo vantaggio si potrà usufruirne per un periodo massimo di 24 mesi.
Poiché l'esonero rientra nel novero degli "aiuti de minimis", il cui tetto è fissato a 15mila euro nell'arco tre esercizi finanziari, l'esonero contributivo dovrà restare entro tali limiti.
Nelle istruzioni diffuse dall'ente previdenziale viene evidenziato che questo esonero non è cumulabile con altre esenzioni e riduzioni delle aliquote.
L'iter per usufruire di questa agevolazione prevede che la domanda sia fatta esclusivamente in via telematica.
A questo proposito, conclude l'articolo, è stato predisposto un modello telematico specifico intitolato "esonero contributivo nuovi Cd e Iap anno 2021." Inutile ricordare che le domande su carta non saranno prese in considerazione.
Vino e carne nel mirino
A Bruxelles stanno prendendo in esame alcune proposte che si collocano nell'ambito del "Piano per la salute e per la lotta al cancro".Fra i progetti in esame quello di tagliare le attività di promozione per carne, salumi e alcolici, da abbinare all'imposizione di etichette allarmistiche sulle bottiglie di vino.
L'esempio è quello dei messaggi che campeggiano sui pacchetti di sigarette. Al momento, spiega "Il Sole 24 Ore" del 25 marzo, c'è solo il testo di una comunicazione che la Commissione europea ha approvato lo scorso febbraio. Questa non ha alcun valore legislativo, ma è tesa a orientare le proposte legislative di domani.
Già si sta pensando a una revisione delle politiche di promozione in programma per il prossimo anno e in questo ambito la carne rossa, quella trasformata e le bevande alcoliche rischiano di essere escluse dall'accesso ai fondi promozionali.
Poi c'è la partita delle etichette nutrizionali (Nutriscore) sulle quali la Commissione è chiamata ad esprimersi entro il prossimo anno.
E per le bottiglie di vino si apre la possibilità di essere bollate con una etichetta nella quale campeggia un'allarmante scritta: "nuoce gravemente alla salute".
La Commissione è dunque chiamata a prendere decisioni che potrebbero arrecare gravi danni a settori portanti dell'economia agricola comunitaria.
Il solo vino vale in Italia oltre 11 miliardi di fatturato e dà lavoro a più di un milione di persone, come ricorda in conclusione l'articolo.
Numeri ai quali si aggiungono quelli non meno importanti del settore delle carni.
I paradossi del Farm to Fork
Restiamo a Bruxelles con le preoccupazioni che la strategia Farm to Fork sta destando nel mondo della carne e dei salumi.In questi giorni allevatori e operatori del settore hanno presentato alle autorità comunitarie un articolato dossier, nel quale si evidenziano i paradossi celati nel progetto della Commissione.
Sono nove punti che Attilio Barbieri ricorda sulle pagine di "Libero" in edicola il 26 marzo per confutare le premesse sulle quali si fonda il progetto europeo.
Si parte dalla lotta all'obesità per ricordare che le proteine animali sono il rimedio, non la causa. Poi l'ambiente, per ribadire il basso impatto della zootecnia professionale.
Per gli antibiotici si sottolinea che negli ultimi dieci anni è stato tagliato l'uso di quasi il 35%. Chissà se si può dire la stessa cosa in campo umano.
Azzerando gli allevamenti la fertilità dei suoli potrebbe essere compressa e affidata alla sola chimica. Senza contare l'aumento delle importazioni e le ripercussioni sull'ambiente per l'aumento dei trasporti.
A proposito di ambiente si ricorda che gli allevamenti non hanno responsabilità nel consumo di suolo, al contrario lo proteggono. Poi il lavoro: ogni allevamento assicura occupazione per almeno sette persone.
Tagliare gli aiuti potrebbe essere un boomerang capace di innescare un rincaro degli alimenti. Infine la globalizzazione favorita dai trattati, a vantaggio dei grandi produttori e delle multinazionali.
Il balsamico conteso
Il falso alimentare che si ispira ai prodotti agroalimentari made in Italy sfiora in valore i 100 miliardi di euro.Ora anche l'aceto balsamico è finito nella lista dei prodotti da imitare e a fine giugno la Commissione europea si dovrà esprimere sulla proposta della Slovenia che vorrebbe utilizzare il termine aceto balsamico anche sulle etichette generiche.
Se ne discute sulle pagine di "Milano Finanza" in edicola il 27 marzo, dove Angela Zoppo, che firma l'articolo, ricorda che poche settimane fa la Corte suprema tedesca ha confermato la linea a tutela all'Igp proveniente da Modena.
Si entra nel vivo di questa contesa nell'intervista raccolta con Giacomo Ponti, vicepresidente del Consorzio di tutela di questo prodotto e che si dice convinto di una decisione favorevole all'Italia.
Il valore della produzione, si legge nell'intervista, è di 400 milioni di euro, che sale a circa mille al consumo e per volumi di vendita si colloca al quarto posto dopo Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Prosciutto di Parma.
Di tutto rispetto i volumi di export, che riguarda circa il 90 % della produzione, in particolare verso Usa e Germania.
Non toccate il bergamotto
Olio, profumi, shampoo, creme e molti altri sono i prodotti che si possono ottenere dal bergamotto. I prezzi sono alle stelle, si legge su "Avvenire" del 28 marzo, anche grazie ai benefici che il bergamotto promette sul fronte della salute.La produzione è presente in molte regioni, dal Piemonte alla Toscana e anche in Austria si contano alcuni impianti. Ma Domenico Marino, che firma l'articolo, ricorda che solo il bergamotto prodotto in provincia di Reggio Calabria può vantare peculiari qualità e ricchezze organolettiche.
Merito a quanto pare del microclima dello stretto, ma questa qualità è minacciata dalla concorrenza sempre più forte.
Dal presidente della accademia del bergamotto, Vittorio Caminiti, arriva così l'appello a tutelare queste produzioni con l'introduzione del marchio Igp, da abbinare al marchio Dop che al momento è limitato all'olio di bergamotto.
Che sia necessario fare in fretta, sostiene l'articolo, lo si evidenzia dalla recente decisione di cambiare il nome a una nota caramella francese: che da Bergamotes de Nancy diverrebbe "Bergamote de Nancy".
La perdita della "s" finale è vista come un pericolo, in quanto aumenta la possibilità di confusione con il bergamotto originale.
Nulla contro la caramella francese, dichiara in conclusione Caminiti, ma solo la volontà di difendere una ricchezza e una peculiarità nostrana.
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