Il satellite è una delle tecnologie al centro del processo di modernizzazione dell'agricoltura e giocherà un ruolo sempre più cruciale. Le politiche europee, come le richieste dei consumatori, vanno nella direzione di una agricoltura sempre più sostenibile e l'impiego dei dati forniti dai satelliti è alla base dello sviluppo di molti servizi per rendere il settore primario più green. Non ultimo la stima dei sequestri di carbonio. Ma i satelliti sono usati anche per rendere la burocrazia legata alla Pac meno pesante.
L'imbarazzo della scelta
Quando si parla di satelliti e agricoltura si pensa ai Landsat statunitensi o ai Sentinel europei, ma in orbita intorno al nostro pianeta ce ne sono molti di più. Ogni paese con una economia sviluppata ha il proprio 'occhio nel cielo', proprio perché avere un satellite in orbita è considerato un asset strategico irrinunciabile per la sicurezza alimentare, e non solo, dello Stato.Usa ed Europa sono in testa alla classifica per numero di satelliti, ma anche la Cina ha un proprio programma spaziale e grazie alla costellazione Gaofen sta traghettando l'agricoltura nazionale verso un modello di sviluppo sostenibile. E anche Taiwan, Stato in cattivi rapporti con Pechino, ha il proprio satellite, Formosat. Rimanendo in Asia anche la Corea del Sud ha un proprio occhio nel cielo, Kompsat.
Ovviamente la Russia, pioniera dello spazio, ha una sua famiglia di satelliti. Così come il Canada, grazia a Radarsat. Ma anche India e Brasile hanno propri apparecchi in orbita.
Accanto ai satelliti lanciati da Stati sovrani o da istituzioni pubbliche sovranazionali, ci sono anche molti operatori privati che gestiscono proprie apparecchiature. Se i primi spesso forniscono dati gratuitamente, con l'obiettivo di sviluppare una 'space economy', i secondi invece forniscono servizi dietro compenso.
"Lo spazio sta diventando sempre più affollato. Sono innumerevoli i settori economici che possono trarre vantaggio sfruttando dati provenienti dallo spazio e l'agricoltura è certamente uno di questi", spiega Piero Toscano, ricercatore del Cnr e tra i realizzatori della piattaforma di agricoltura di precisione AgroSat.
"Accanto ai satelliti di grandi dimensioni, come Sentinel o Landsat, stanno facendo la loro comparsa i microsatelliti e arriveremo presto ad avere nanosatelliti. Apparecchiature di dimensioni ridotte, facili da mettere in orbita, che forniranno dati sempre più aggiornati e precisi".
Pro e contro dell'uso dei satelliti
Già, perché il satellite ha il grande pregio di poter monitorare ampie aree della superficie terreste in maniera economica e continuativa. Una volta messo in orbita infatti continua a 'scattare foto' in maniera autonoma per diversi anni, talvolta ben oltre le aspettative di vita dei costruttori.È così possibile avere un monitoraggio costante del terreno, utile per misurare i cambiamenti nel corso degli anni, e per alimentare piattaforme di digital farming, la maggior parte delle quali oggi sfrutta proprio i dati provenienti da satelliti, come ad esempio Landsat e Sentinel.
La pecca del satellite è che non può fare rilevazioni 'on demand', ma occorre aspettare che la sua orbita lo porti sopra il terreno di interesse. Ad esempio per il Landsat 8 il tempo di 'rivisitazione' è di sedici giorni, mentre per altri apparecchi è di appena uno-due giorni. L'altro problema è determinato dagli ostacoli che l'occhio celeste può incontrare. In caso di nuvole, di elevata umidità (come la nebbia) o di forte inquinamento i dati rilevati non sono utilizzabili.
"Ma la tecnologia sta facendo passi avanti enormi e in orbita ci sono sensori sempre più precisi", sottolinea Toscano. Non tutti i satelliti infatti sono uguali. Il Sentinel 2 ad esempio ha una risoluzione di 300-mille metri, davvero poco utile per la maggior parte delle colture. Mentre altri, come ad esempio Geo-Eye, di una società privata statunitense, ha una risoluzione di 40 centimetri, utile per applicazioni di precisione come la viticoltura o l'orticoltura.
E oltre alla risoluzione l'altra grande variabile da tenere in considerazione è la strumentazione. Di solito i satelliti montano sensori multispettrali, che riescono ad esempio a rilevare la luce riflessa dalle foglie, un dato utile a elaborare indici di vigore. Ma è possibile calcolare anche la biomassa in campo e quindi la resa, oppure lo stress termico o idrico.
Una piccola rivoluzione tutta italiana è rappresentata dal satellite Prisma. Lanciato in orbita nel 2019, trasporta un sensore iperspettrale capace di captare onde elettromagnetiche nell'intervallo 400-2.500 nm. Le bande intercettate vanno dal visibile al vicino infrarosso (Vnir, Visible and near infrared), per estendersi fino all'infrarosso a onde corte (Swir, Short wave infrared).
Significa che Prisma sarà in grado di raccogliere informazioni molto più dettagliate e permetterà quindi lo sviluppo di servizi ancora più precisi rispetto a quelli oggi disponibili.
Un spazio sempre più affollato
Degli approssimativamente 6mila satelliti lanciati dall'inizio dell'era spaziale, soltanto 1.300 sono ancora operativi. Significa che nello spazio oggi ruotano un gran numero di corpi estranei che vengono attentamente monitorati da terra per evitare collisioni.Per evitare che la volta celeste si trasformi in una discarica, nel 2017 è stato lanciato il primo satellite in grado di tornare sulla Terra a fine vita. Quando infatti gli strumenti di bordo non sono più utili, il satellite accende i razzi e si dirige vero l'atmosfera del nostro pianeta, dove a causa dell'attrito si incendia disintegrandosi.