Allo stesso tempo, la domanda si sta riprendendo e la Cina ha ricominciato a incamerare grandi quantità di prodotti lattiero caseari finiti, preferiti rispetto alle polveri. Sud Est asiatico, Medio Oriente e le altre principali aree importatrici di questi prodotti aumentano la domanda, che però non può essere soddisfatta. Il motivo è la minor disponibilità di latte.
Meno latte e più export significano listini vivaci. Un sillogismo che non è sfuggito di certo agli analisti di Clal.it, portale di riferimento mondiale per il settore lattiero caseario.
L'Unione europea ha prodotto il 2,21% in meno nel periodo gennaio-marzo 2017 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La maggior parte dei paesi ha registrato una flessione, ad eccezione di Irlanda (+1,07% su base tendenziale), Italia (+0,38%), Polonia (+3,47%), oltre a paesi ininfluenti per quantità prodotte sul bilancio complessivo delle produzioni, come Cipro e Bulgaria.
Forse alla fine bisogna riconoscere che per alcune realtà gli incentivi comunitari assegnati per non produrre hanno funzionato. Due esempi su tutti? Germania e Francia hanno ridotto le consegne alle latterie nel primo trimestre 2017 rispettivamente del 4,42% e del 4,17% e il Regno Unito, altro player di rilievo della corazzata Ue, ha decelerato nelle produzioni per il 3,22%.
La crisi tremenda durata per circa un anno e mezzo, fino al giugno-luglio 2016, ha portato gli allevatori a scelte più razionali, con la conseguenza che ai primi segnali di ripresa dei listini non si sono lasciati irretire dalle sirene dei prezzi, ma hanno capito che anche la prudenza è una virtù.
Bene le esportazioni
A dare man forte a uno scenario positivo sono le esportazioni dell'Unione europea, che nel primo trimestre dell'anno hanno incrementato i volumi in equivalente latte del 7,17%, rispetto allo stesso periodo del 2016.Fra gli allevatori è ritornata l'euforia. Sempre attenta alla comunicazione, ieri, 30 maggio 2017, Coldiretti segnalava appunto il boom delle quotazioni, con il latte spot quotato alla Borsa di Lodi oltre i 41 centesimi al litro contro i 37 centesimi di appena tre mesi fa.
Discorso analogo per il burro, che nel mese di maggio ha raggiunto i 4,63 euro al chilo con un aumento di quasi il 90% rispetto allo stesso periodo del 2016. Quotazioni che non si vedevano da oltre cinque anni.
"Da quello che rileviamo noi - ha spiegato Ettore Prandini, presidente di Coldiretti Lombardia - siamo di fronte a un riposizionamento del mercato legato a una maggiore richiesta di latte italiano da quando è entrata in vigore, il 19 aprile 2017, dopo una lunga battaglia di Coldiretti, l'etichetta d'origine per il latte a lunga conservazione e per i formaggi.
Inoltre, sui mercati europei e internazionali è calata la produzione di latte e questo ha sostenuto le quotazioni del vero prodotto italiano".
Burro ai massimi
Accanto al latte, anche il burro - prodotto che, insieme alle polveri, beneficia di un pagamento più rapido rispetto ad esempio ai formaggi, per i differenti canali distributivi - sta vivendo un exploit in piena regola. La crescita del burro è avvenuta diffusamente a livello mondiale e con un trend in aumento.Il prezzo del burro in Germania nel mese di maggio ha registrato un'impennata del 91,87% su base tendenziale, toccando quota 4.838 euro per tonnellata. Nei primi cinque mesi del 2017 la crescita è stata del 70% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
In Nuova Zelanda il prezzo del burro sta salendo da ormai dodici mesi. Dal mese di maggio 2016 è infatti passato, secondo i dati di Clal.it, da 2.649 dollari per tonnellata a 5.470 dollari. Elevate le quotazioni anche negli Stati Uniti, che hanno raggiunto i 4.640 euro/tonnellata, mentre in Italia si è fatto ancora meglio: 5.100 euro a tonnellata.
Sud Est asiatico, Medio Oriente e le altre principali aree importatrici di burro, latte e panne aumentano la domanda, che però non può essere soddisfatta, proprio per la minore disponibilità di latte. Fattore che dovrebbe portare a un incremento dei prezzi - anche se forse con minore vigore - fino al prossimo ottobre.
Olio di palma? No grazie, meglio il burro
A influire sulla risalita del prezzo del burro non è soltanto la diminuzione delle produzioni di latte, ma anche la crociata lanciata contro l'olio di palma, ormai sostituito da altri grassi, quali appunto margarina e soprattutto burro.La variabile cinese
Riveste sempre un ruolo di primo piano la Cina, quale principale importatore di latte a livello internazionale. Nei primi quattro mesi del 2017 sono cresciute dell'1,04% su base tendenziale le importazioni lattiero casearie cinesi in equivalente latte (ME), a conferma di uno stato di salute del mercato in chiave di volumi e di valore.I migliori risultati per export verso la Cina li mettono a segno l'Ue-28 e gli Usa, mentre frena l'Oceania.
Nel contesto comunitario, la Francia brilla per export di polvere di latte intero (+682%), polvere di latte scremato (+21%), polvere di siero (+18%), mentre calano le esportazioni formaggi (-27%). In quest'ultimo segmento è l'Italia a trarne maggiore vantaggio, mettendo a segno un +35%.
La vigilia del World milk day, indetta dalla Fao per il 1° giugno, quest'anno ha un sapore nettamente diverso rispetto a un anno fa. Se non fosse per il calo dei consumi alimentari dell'oro bianco, che colpiscono le economie più evolute.
Un segnale che dove il reddito pro capite è più elevato, maggiore è la propensione all'acquisto di prodotti finiti. Polveri e latte confezionato, infatti, sono appannaggio dei paesi in via di sviluppo e dei paesi meno abbienti, dal Nord Africa all'Africa equatoriale, fino al Sud Est Asiatico.