Non so se è per via dell’originale omonimia con un’antica divinità mediorientale e romana, ma Amit Mitra non smette mai di sorridere. E ne ha ben donde: nella sua presentazione l’unico grafico che mostra un decremento è quello del deficit pubblico rispetto al PIL: dal 2002 al 2008 è infatti calato dal 6,2 al 2,5%. In qualità di rappresentante della ‘Federazione delle Camere di Commercio & Industria Indiane’, Mitra sciorina orgoglioso numeri da fare invidia. L’India mostra infatti una crescita poderosa: nel 2007 il PIL è aumentato del 9,6% e ci si aspetta per il 2008 un sonoro 8,7%. Il lieve ribasso nella crescita sarebbe dovuto alla ben nota crisi finanziaria dei mutui. Anche la bilancia commerciale indiana se la passa più che bene, visto che dalla porta spalancata verso l’estero passano sempre più merci: l’export è passato da 42 a 392 MMM $ dal 1991 al 2007. Anche le riserve sono passate da 2,2 a 313 MMM $, stabilizzando così l’economia nazionale. L’agricoltura contribuisce per il 18,5% al PIL e dà lavoro a circa il 50% della popolazione: numeri che in Italia avevamo forse agli inizi del secolo scorso, quando ancora non vi era sentore di abbandono delle campagne e la ricchezza si cercava per lo più tra le zolle di terra invece che nei futures e nei derivati. L’India, bontà  sua, è la seconda nazione per superficie arabile e con il più alto rapporto tra superficie arabile e superficie totale: una potenzialità produttiva di cui è difficile stimare il tetto. L’irrigazione è capillare, anche se deve ancora raggiungere ampie aree del Paese: le piogge torrenziali fornisco infatti un mare di acqua al Paese, ma lo fanno in modo violento e discontinuo, creando la necessità di accumulare prima e ridistribuire poi. Marcia forte anche la zootecnica (l’India è la più grande produttrice di latte al mondo), soprattutto in materia di capre e pecore. Volano pure le altre attività primarie, come per esempio la pesca. Non solo riso (95 MM Tons) e grano (77 MM Tons), quindi, ma anche oleaginose (28 MM Tons), cotone (23 MM Tons) e canna da zucchero (344 MM Tons). Mitra non approfondisce molto il tema bioenergie, ma lascia serenamente trasparire la confidenza di essere in grado di produrre sia cibo che biocombustibili. Anche socialmente l’India si sta modificando: lentamente, la popolazione si sta spostando verso le grandi città, diminuendo la forza lavoro. Questo sta contribuendo a cambiare anche l’approccio alla meccanizzazione. Per questa ragione i kW/ha sono aumentati da 0,35 a 1,45 dal 1971 al 2006, con previsioni di salire a 2 kW/ha per il 2020. Nel 2003 erano solo 15 i trattori su1000 ettari coltivati, contro i 450 del Giappone: i margini di crescita del comparto nel medio periodo è quindi di almeno un ordine di grandezza. Dalle banche sono inoltre previsti importanti aiuti finanziari per la meccanizzazione, il cui mercato è arrivato nel 2007 ai 190 MM $. Si organizzerà infine un’exibition agrimeccanica, a New Dehli, per l’anno venturo. La fiera servirà ad aprire ancor più le porte alle aziende internazionali di meccanizzazione. Chiave per il successo, secondo Mitra, la customizzazione dell’offerta da parte delle aziende fornitrici. Tradotto: “dateci quello che serve a noi, e non quello che serve vendere a voi”.

 

A causa delle recenti disavventure cinesi, il delegato del colosso orientale non può purtroppo partecipare al summit, ma fornisce comunque i dati necessari ad un’analisi dei suoi potenziali produttivi.
Negli ultimi 5 anni il PIL cinese è sempre cresciuto a doppia cifra: dal 10% del 2003 all’11,4% del 2007. Il cambio di marcia è dovuto essenzialmente al nuovo approccio imprenditoriale del governo cinese, che ha liberalizzato e incentivato la creazione di aziende private. Grazie a ciò, quasi l’80% delle imprese agricole è oggi di privati, mentre poco sopra il 10% è ormai il numero delle aziende agricole di proprietà statale. Il resto, sono di società sia cinesi che straniere.
Con la crescita del reddito degli agricoltori (+58% in 5 anni) è anche cresciuta la predisposizione all’acquisto di macchinari e strumenti produttivi, che stanno spingendo verso l’alto il mercato al ritmo di circa il 20% l’anno. L’importazione di macchine è così ormai giunta a 4,2 MMM di $, ma anche l’export non scherza con i suoi 1,1 MMM $. Per il 2020 si vuole raggiungere il 70% delle aree coltivabili soggette all’uso di macchinari agricoli. Tradotto: finora se la sono cavata per lo più con la trazione animale e la manodopera, tanto numerosa quanto a basso costo. Se quindi pensavamo che la Cina fosse già oggi un temibile competitore, parrebbe che non abbiamo ancora visto niente. Anche sul fronte delle relazioni esterne i nipoti degli imperatori Ming sembrano aver poco da imparare: al fine di promuovere ulteriormente se stessa, la Cina ha infatti organizzato nel 2007 l’AGMA, fiera delle macchine agricole, che ha raccolto circa 50.000 visitatori (un’inezia, se si rapporta il numero con la popolazione complessiva). Con grande determinazione, si intende ripetere l’evento anche nel settembre 2008, ampliando l’area espositiva a oltre 60 ha. Insieme a quella indiana, quindi, la fiera cinese si prefigge di divenire in capo a pochi anni un nuovo punto di riferimento per il global business della meccanizzazione: SIMA, Agritechnica ed EIMA sono avvertite.

 

Per ulteriori approfondimenti leggi gli articoli collegati.