Politiche e strumenti adeguati per poter accudire i campi, e far crescere l'agricoltura in Africa. È questo il cuore del messaggio che agricoltori provenienti da Kenya, Malawi, Nigeria, Sierra Leone e Zimbabwe hanno portato alla prima Tavola rotonda degli agricoltori africani, ospitata l'11 ottobre scorso dalla Pontificia Accademia delle Scienze in Città del Vaticano.

 

Al centro delle richieste degli agricoltori africani - nel corso dell'incontro promosso da Bayer con il patrocinio della Pontificia Accademia per la Vita - la possibilità di riuscire a coltivare con le proprie forze e sulla propria terra: per farlo sono disposti a puntare dritto alle nuove evidenze scientifiche e alla tecnologia.

 

L'agricoltura sostiene oltre il 50% della popolazione africana e rappresenta il 35% del Pil regionale, raggiungendo il 50-60% in alcuni Paesi. Ma l'Africa - viene spiegato - continua "a lottare per garantire la sicurezza alimentare di milioni di persone". E il paradosso è che quella "terra" potrebbe fruttare fino a sette volte di più, come stima la Fao: la superficie coltivabile avrebbe infatti il potenziale per essere ampliata del 150-700% fino a 300 milioni di ettari. Il suo territorio, di cui più della metà arabile (pari al 65% del restante terreno arabile del mondo), viene utilizzato solo per il 10%. Non solo, questo. La dimensione del lavoro ha un impatto sull'agricoltura in Africa. Il valore aggiunto per lavoratore è pari a "circa un quarto della media globale". Il settore è pieno di piccoli agricoltori di sussistenza che operano al di fuori dei principi di efficienza, mentre la dimensione media di un'azienda agricola è di 1,3 ettari. E anche sul fronte dell'autosufficienza il quadro non va meglio: l'importazione sta crescendo più rapidamente dell'esportazione e l'insicurezza alimentare rimane alta.

 

"In Africa la popolazione cresce molto più velocemente della produzione agricola - osserva Matthias Berninger, responsabile Relazioni Pubbliche, Scienza, Sostenibilità della Bayer - di conseguenza, ci troviamo in una situazione in cui l'Africa ha bisogno di importare sempre più cibo. Ma, questo, è diventato molto difficile a causa degli squilibri delle valute, della guerra in Ucraina, ma anche per via della pandemia da covid-19. Per evitare che le comunità africane vengano ancora più destabilizzate, dobbiamo garantire il successo agli agricoltori africani. E, l'unico modo è riuscire a consentire l'accesso a quell'innovazione che noi diamo per scontata in Europa, in Sud America e in Nord America".

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"Lo sviluppo agricolo – rileva monsignor Renzo Pegoraro, cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita - deve essere sostenibile dal punto di vista socioeconomico e ambientale. Deve poi esserci una formazione adeguata per tutti i soggetti interessati del settore agricolo. È necessario sostenere gli agricoltori, i giovani e le donne, con particolare attenzione alle realtà di piccola scala, offrendo opportunità di lavoro, crescita umana e professionale, nel rispetto della dignità delle persone e delle realtà locali".

 

I principali vincoli da sbloccare - raccontano i contadini venuti a Roma - per liberare questo potenziale riguardano l'accesso limitato alla tecnologia, alla finanze, all'educazione agricola, oltre ai problemi di possesso della terra, delle infrastrutture, e naturalmente del clima.

 

Su questo fronte, Eric Danquah, docente di Genetica Vegetale dell'Università del Ghana e vincitore del World Agriculture Prize e dell'Africa Food Prize - disegna la strategia da mettere in campo per aiutare a trasformare il settore agricolo africano, a cominciare dallo sviluppo delle colture di base (ciò potrebbe comportare un aumento da due a cinque volte dei rendimenti attuali, essenziale affinché il continente sia autosufficiente entro il 2030), passando per la formazione e la ricerca (con esperti in biotecnologia da formare presso i centri africani di eccellenza), la rivitalizzazione dell'agricoltura africana (con la proposta di istituire un'accademia africana delle scienze agricole con un fondo iniziale da 150 milioni di dollari), per arrivare alle collaborazioni pubblico-privato con partenariati strategici in grado di concentrarsi sull'innovazione genetica, sul miglioramento delle sementi e sul potenziamento delle materie prime. Tra gli altri elementi messi in rilievo da Danquah, dare le competenze necessarie agli agricoltori africani per massimizzare i loro rendimenti, garantirne i diritti, facilitare l'accesso al credito.

 

"La scienza, l'innovazione e le tecnologie possono offrire un grande potenziale - afferma Qu Dongyu, direttore generale della Fao - dobbiamo garantire che siano accessibili a tutti. Purtroppo l'Africa non è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi globali sulla sicurezza alimentare e la nutrizione stabiliti dall'Agenda 2030 delle Nazioni Unite".

 

In particolare per gli agricoltori - Michael Waciira Gatiba del Kenya, Ruramiso Mashumba dello Zimbabwe, Jorge Rafael Lopez Menendez della Sierra Leone, Collina Geneveive Msongole del Malawi, Onyaole Patience Koku della Nigeria - la questione è riuscire "a realizzare un'agricoltura sostenibile dal punto di vista sociale, economico e ambientale, contribuendo al miglioramento della sicurezza alimentare e dello sviluppo dell'intera regione".

 

Tre i capisaldi delle "politiche necessarie" per l'Africa, portati all'attenzione dei diplomatici e delle istituzioni presenti all'incontro (tra cui rappresentanti della Fao e dell'International Fund for Agricultural Development (Ifad), istituti di ricerca, organizzazioni della società civile e del settore privato): risultati, tecnologie, scienza.

 

Per quanto riguarda il capitolo risultati, c'è l'aumento della produttività delle aziende agricole, il miglioramento dei mezzi di sussistenza, la preservazione e il ripristino della salute del suolo, degli habitat naturali, della biodiversità e delle risorse idriche, nonché la riduzione delle emissioni, oltre a una maggiore resilienza ai cambiamenti climatici; resta fermo che dal punto di vista dei consumatori è fondamentale l'igiene alimentare e il miglioramento della nutrizione.

 

Per la tecnologia, si pensa a una neutralità, nel senso che non dovrebbero esser favorite alcune a scapito di altre: quello che servirebbe è "un ecosistema tecnologico diversificato, adattabile e resiliente, con accesso a tutti gli strumenti a disposizione (biologici, biotecnologici, chimici, biochimici, meccanici, digitali)". Le politiche dovrebbero consentire "la rapida approvazione legale e la registrazione, lo sviluppo, la disponibilità, l'uso e l'espansione di tutte quelle tecnologie che, sulla base delle prove scientifiche in diversi contesti agroecologici e socioeconomici, hanno dimostrato di funzionare con successo".

 

"Gli agricoltori, con le loro storie - afferma l'ambasciatrice Nosipho Jezile, rappresentante permanente del Sud Africa presso Fao, Ifad, World Food Programme (Wfp), e presidente del Gruppo dei Paesi Africani a Roma - ci hanno fornito gli elementi di pratiche agricole sostenibili basate sulla giustizia sociale e sulla sostenibilità ambientale. Abbiamo bisogno gli uni degli altri: abbiamo bisogno degli agricoltori, abbiamo bisogno dei nostri governi, abbiamo bisogno del settore privato, e abbiamo bisogno di istituzioni come la Pontificia Accademia. Questo, per tenerci per mano e affrontare le sfide del nostro tempo".

 

"Tra le cose fondamentali per Bayer - fa presente Berninger - c'è la volontà di assicurarsi che gli agricoltori africani abbiano voce in capitolo. In Africa ci sono molti Paesi diversi con sfide e opportunità a loro volta diverse. Consideriamo importante il nostro ruolo: dar voce agli agricoltori significa che possono riuscire ad andare avanti da soli. Uno dei compiti più importanti, credo sia garantire che la tecnologia che funziona venga adottata in tutti i Paesi africani. Il nostro contributo - conclude, ricordando che le iniziative di Bayer in Africa sono incentrate sull'agricoltura sostenibile, la riduzione della povertà e la conservazione dell'ambiente - punta quindi ad aumentare la produttività della terra già disponibile, con sementi migliori, e con una migliore protezione delle colture, oltre che con l'introduzione dell'innovazione e del digitale".