Oggi è il 5 giugno 2023 e ricorre la Giornata Mondiale dell'Ambiente, iniziativa globale promossa dal Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente per ricordare l'importanza di preservare il Pianeta. Slogan di quest'anno è "Battere l'inquinamento da plastica" - #BeatPlasticPollution - e tutte le attività si concentreranno proprio alla lotta all'inquinamento provocato da questi materiali, che pure trovano un largo impiego in agricoltura. Lo scopo - come sempre in questi casi - è quello di assicurare un futuro amico dell'ambiente che va verso un'economia circolare e nel quale ognuno può fare la sua parte.

 

Si tratta di una giornata che offre l'opportunità di riflettere sulle questioni ambientali e di promuovere azioni concrete, con la consapevolezza che la salvaguardia dell'ambiente è una responsabilità anche e soprattutto verso le generazioni future.

 

Ma è forse anche l'occasione di ripensare all'importanza strategica dell'agricoltura nella transizione ecologica in maniera meno punitiva. Nei prossimi anni la Politica Agricola Comune, con la programmazione che parte da quest'anno e resterà in vigore fino al 2027 - salvo possibili revisioni di medio termine -, vedrà ad un tempo il taglio e il sempre maggiore legame degli aiuti agli agricoltori a pratiche in favore dell'ambiente.

 

Quello che manca nella Pac 2023-2027 è una reale visione multifunzionale dell'agricoltura, che oltretutto avrebbe al tempo stesso il compito di assicurare all'Europa sempre maggiore autonomia negli approvvigionamenti alimentari, visti i disastri provocati dal conflitto in corso tra Ucraina e Russia.  Ciliegina sulla torta: il taglio dei fitofarmaci del 50% nel medio termine, con ricadute negative sulle rese per ettaro difficili da colmare in tempi brevi e pur con forti investimenti in ricerca.

 

Il paradosso dell'agricoltura risiede nell'essere il settore produttivo più vicino alla natura - ne rappresenta di fatto la sua domesticazione - ma l'atteggiamento delle autorità politiche sembra essere quello di chi non vuole rendersi conto che perdere altri agricoltori ed altra superficie agraria utile non è affatto un bene per l'ambiente, oltre che per l'uomo.

 

Bioplastiche, ancora resistenze Ue sulle biocompostabili

Sul caso di specie - quello della lotta all'inquinamento da materie plastiche, per quest'anno al centro delle iniziative della Giornata Mondiale dell'Ambiente - il mondo agricolo è in attesa di risposte sul come muoversi, alla luce del recente documento non vincolante della Commissione Ue sulle bioplastiche e sulla non univoca classificazione di queste come materiali sostenibili ed eticamente riconoscibili come amiche dell'ambiente. In proposito si consiglia una lettura di dettaglio di "Communication - Eu policy framework on biobased, biodegradable and compostable plastics".

 

È noto l'utilizzo in agricoltura di materiali per la pacciamatura completamente biocompostabili e che non vanno smaltiti, ma che possono essere rilavorati nel terreno, che devono essere, come ovvio, ben gestiti per consentire ai batteri presenti nel terreno di demolirne la struttura. Si tratta dei materiali individuati dalla norma Uni En 13432.


Ma in questo caso le riserve maggiori sul loro utilizzo espresse dalla Commissione Ue restano quelle etiche e ambientali sul costo di opportunità: di quanto cibo in meno si dispone per produrre questi materiali da biomasse derivate da piante e quanta biodiversità viene sacrificata?

 

Biocompostabili, serve una politica a difesa dei suoli agricoli

La prima risposta a questa domanda viene però da un'altra domanda, valida sicuramente per l'Italia: quanto i pubblici poteri hanno veramente a cuore la risorsa terra sottesa al costo di opportunità di cui sopra, atteso che questo Paese sta aspettando dall'ormai lontano 2012 una legislazione nazionale che ponga un freno alla diminuzione di suoli arabili, pure all'epoca proposta dal ministro alle politiche agricole Mario Catania?

 

Basti pensare che in Italia tra il 2006 ed il 2021 sono stati divorati - prevalentemente da cemento e asfalto - qualcosa come 115.300 ettari di terreno naturale e seminaturale, stando ai dati dell'Ispra. Larga parte di questo terreno era agricolo, in piccola parte si è trasformato in foresta per effetto dell'abbandono dell'agricoltura lungo l'Appennino e le Alpi.

 

È chiaro che in un contesto dove la risorsa terra diminuisce costantemente il problema della concorrenza nell'uso del suolo tra biomasse destinate alla produzione di materie plastiche biocompostabili e derrate alimentari o materie prime agricole per usi dell'industria agroalimentare si pone. Ma al contempo diventa un'appendice di altre e ben più grosse questioni: come la progressiva diminuita capacità dei suoli di assorbire l'acqua, specie in pianura, dove un'urbanizzazione diffusa e associata ad una più intensa impermeabilizzazione dei suoli è riuscita al tempo stesso ad impoverire le falde profonde ed a rendere questi luoghi più vulnerabili ad allagamenti ed inondazioni.

 

Serre, impatto zero se c'è buona gestione

Sull'utilizzo delle materie plastiche per la costruzione di serre, peraltro, sono piovute forti accuse verso il mondo agricolo: non ultima quella di essere compartecipe di opere di impermeabilizzazione dei terreni con conseguenze simili a quelle della urbanizzazione diffusa appena esaminate.

 

Ma come dimostrano le esperienze recenti di alcuni consorzi di bonifica, come il Destra Sele, di per sé gli effetti delle serre possono essere bilanciati inserendo nei regolamenti consortili l'obbligo di associarvi opere di compensazione - quali stradoni assorbenti e canalizzazioni di gronda - che assicurano ad un tempo il necessario rifornimento della falda acquifera ed il rispetto del principio dell'invarianza idraulica, non incrementando la velocità di corrivazione delle acque verso i canali di bonifica e lasciando integra la preesistente capacità di assorbimento dei terreni. Insomma, il problema non sono le serre, ma la gestione di esse in un dato contesto territoriale.

 

Altra questione: lo smaltimento dei teli delle serre, spesso ancora fabbricati in polimeri derivati dal petrolio. In attesa dell'arrivo sul mercato di quelli fabbricati con polimeri derivati da canapa o alghe, quelli esistenti vanno gestiti con il conferimento ad appositi centri di raccolta. Di recente, sta funzionando una convenzione tra Regione Puglia e le organizzazioni agricole per evitare l'abbandono nell'ambiente dei teli da serra. Anche in questo caso serve aumentare i casi di buona gestione e favorire il riuso della materia prima ove possibile.

 

Direttiva Imballaggi, monouso sì o no?

Inoltre, il mondo agricolo è in attesa, sul piano dell'utilizzo delle materie plastiche, anche dalla Direttiva Imballaggi dell'Unione Europea, sulla quale si incrociano per ora pareri discordi, secondo alcuni di convenienza per la quarta gamma a rimanere su materiali monouso, mentre l'Ue punta al riuso di plastiche convenzionali, originate da derivati del petrolio. Non è dato sapere al momento questo dossier quale direzione potrà prendere.

 

Mondo agricolo ha necessità di risposte concrete

Resta il fatto che il mondo agricolo sulla questione materie plastiche ha bisogno di risposte concrete e di indirizzi chiari, che ancora oggi mancano e che probabilmente arriveranno dopo le ormai prossime elezioni dell'Europarlamento, attese per la primavera 2024.

 

Intanto gli agricoltori continuano a difendere l'ambiente proprio lavorando la terra, producendo biomasse che ogni anno assorbono gas serra e mantenendo su suoli sani e permeabili un interesse economico, che consente a tanti che vivono in città di avere a portata di mano cibo sano e un territorio in grado di assorbire acqua.