L'agricoltura si trova ad un crocevia: da un lato, è chiamata a soddisfare la crescente domanda di cibo per sfamare una popolazione mondiale in aumento; dall'altro, deve rispondere a pressanti sfide ambientali, come il cambiamento climatico e l'uso sostenibile delle risorse naturali. A questo si aggiunge la necessità di garantire la sopravvivenza economica delle imprese agricole, un compito sempre più complesso in un contesto globale competitivo e soggetto a rapidi cambiamenti.
Per affrontare queste sfide interconnesse è fondamentale investire in innovazione tecnologica. Progetti come Agritech, sostenuto dal programma Next Generation EU (quindi dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, Pnrr), come anche i Gruppi Operativi del Pei-Agri, rappresentano un passo importante in questa direzione, coinvolgendo ricercatori, università e aziende per sviluppare soluzioni avanzate.
Tuttavia, il vero banco di prova è il trasferimento di queste tecnologie dal mondo della ricerca al campo agricolo. Un processo che richiede un ponte solido tra i due mondi, in grado di valorizzare i fondi stanziati per l'innovazione.
"Il problema principale della scarsa condivisione di conoscenze è la mancanza di un collegamento efficace tra il mondo della ricerca e le aziende agricole. Gli agricoltori non ricevono sempre informazioni concrete e applicabili", ci racconta Anna Vagnozzi, dirigente del Crea che da anni si occupa di condivisione della conoscenza nel settore agricolo. "Non basta leggere un manuale o partecipare a un seminario per diventare innovativi: servono figure che accompagnino gli imprenditori nell'adozione delle tecnologie, adattandole al contesto specifico delle loro aziende. È un'esigenza che conosciamo da tempo, ma che ancora fatichiamo a soddisfare".
Come si possono colmare queste lacune?
"Bisogna coinvolgere tutti gli attori che gravitano intorno al mondo agricolo: associazioni di categoria, consulenti, tecnici, produttori di mezzi tecnici e anche istituzioni pubbliche. Questi corpi intermedi possono agire come ponti tra scienza e agricoltura. Tuttavia, è essenziale una governance chiara per coordinare il loro lavoro e garantire che le innovazioni siano realmente fruibili".
La ricerca produce già risultati sufficientemente applicabili?
"Non sempre. C'è un errore frequente nel considerare i risultati della ricerca come innovazioni pronte all'uso. In realtà, un'innovazione deve essere adattata e resa operativa. Molti progetti si fermano allo sviluppo di prototipi o algoritmi, ma senza una fase di sviluppo del prodotto queste soluzioni rimangono inaccessibili agli agricoltori".
Questo sarebbe il compito dell'industria, no?
"Dell'industria, come di altri stakeholder, che tuttavia non venendo coinvolti fin dal principio nei progetti di ricerca difficilmente intervengono in fasi successive".
Le politiche pubbliche possono facilitare questo processo?
"Certamente. I programmi europei, come i Gruppi Operativi, stanno cercando di favorire l'interazione tra i vari soggetti del mondo agricolo. Tuttavia, è importante che i bandi includano requisiti per garantire la presenza di partner capaci di trasformare la ricerca in strumenti concreti per il mercato. Questo passaggio spesso manca e molte innovazioni rimangono bloccate a metà strada".
Qual è il ruolo degli agricoltori in tutto questo?
"Gli agricoltori non sono semplici destinatari delle innovazioni, ma possono contribuire attivamente al processo. Devono essere coinvolti fin dalle fasi iniziali, per segnalare i problemi che affrontano e indirizzare la ricerca verso soluzioni concrete. Troppo spesso i ricercatori lavorano su problemi che non sono reali o non sentiti dagli agricoltori, oppure su tematiche utili solo al fine di ottenere una pubblicazione. Per questo io non amo il termine trasferimento tecnologico".
Dà l'idea di un processo dall'alto verso il basso?
"È un termine che evito di usare, perché suggerisce un processo unidirezionale: dalla ricerca al campo. In realtà, l'innovazione è un processo interattivo. Non si tratta di trasferire un pacco, ma di creare un dialogo continuo tra ricerca, consulenza e agricoltura".
Come si può migliorare il sistema di trasferimento tecnologico?
"Servono più team multidisciplinari che includano ricercatori, consulenti tecnici e aziende private. È fondamentale partire dai fabbisogni reali delle aziende agricole e sviluppare strumenti concreti. Inoltre, i ricercatori devono essere valutati anche sull'impatto delle loro scoperte, non solo sul numero di pubblicazioni scientifiche. Questo potrebbe incentivare una maggiore attenzione alla praticità dei risultati".
Riassumendo, quali sono i punti su cui occorre lavorare per migliorare l'adozione di innovazioni in agricoltura?
"Primo, partire dai reali bisogni degli agricoltori. Questo si può fare solo coinvolgendoli in maniera attiva e ascoltando le loro proposte. Secondo, occorre coinvolgere anche le aziende e i consulenti che poi dovranno vendere o proporre le soluzioni agli agricoltori. Terzo, nei team è necessario avere sempre qualcuno che trasformi la ricerca in un prodotto o un servizio. O almeno in qualcosa che sia molto vicino. Quarto, i ricercatori vanno valutati anche sull'impatto socioeconomico che la loro ricerca produce, direzione questa su cui effettivamente il Ministero dell'Università e della Ricerca e l'Agenzia della Valutazione della Ricerca si stanno muovendo".
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