Pubblico business altamente specializzato e qualificato, stand "democratici" uguali per tutti, anche se ampiamente personalizzabili, grande voglia di fare squadra per promuovere il vino italiano sul mercato interno e su quelli esteri. E poi confronti, dibattiti, analisi, approfondimenti e attenzione della politica.
Così Vinitaly Special Edition vince la prova in questa fase che ancora non può dirsi covid-19 free, con numeri che vanno oltre le aspettative - Veronafiere comunica oltre 12mila operatori professionali, più di 2.500 buyer (circa il 22% del totale) e sessanta Nazioni rappresentate -, ma soprattutto un sentiment positivo per il settore, che alla vigilia non era così scontato, date appunto le incognite sanitarie.
Invece tutto fila al meglio (un plauso a chi ha gestito anche la logistica e controllato gli accessi) e Verona è definitivamente incoronata capitale del vino, con riconoscimenti univoci e finali.
Soddisfatti gli organizzatori per quella che è stata un'edizione speciale e straordinaria di Vinitaly, terza ed ultima tappa italiana di collegamento alla 54esima edizione, in programma dal 10 al 13 aprile 2022.
"Si tratta di un risultato al di sopra delle nostre aspettative" dichiara il presidente di Veronafiere, Maurizio Danese. "Aziende, consorzi, associazioni agricole e di filiera e operatori hanno premiato il progetto di questa iniziativa business che ha registrato un elevato tasso di contatti e di vendite, oltre a un indice di soddisfazione unanime. Il terzo evento in presenza targato Vinitaly - conclude Danese - si inserisce in uno scenario di grande accelerazione dell'export made in Italy e del vino tricolore su tutti i principali mercati target, compreso quello nazionale grazie alle collaborazioni attivate con Fipe e Vinarius. Viviamo una congiuntura di forte ripresa che trova in Veronafiere un driver fondamentale per l'internazionalizzazione delle Pmi e del vino italiano, impegnato ad accrescere il valore delle vendite".
I mercati del vino hanno risposto positivamente all'appeal del made in Italy, che in base ai dati elaborati da Nomisma per UniCredit e confluiti in un super indice Agri4index collocano la filiera del vino in cima all'agroalimentare per strategicità, valore della produzione, proiezione sui mercati, sintetizzati in queste variabili: struttura, produzione, mercato e performance economico finanziarie.
In una comparazione europea, la filiera vitivinicola italiana detiene un peso in ambito nazionale superiore a quella francese e spagnola in merito al valore espresso sia nella fase della produzione agricola (17% contro il 15% della Francia) che in quella industriale (8% contro 7%), mentre sul fronte dell'export l'incidenza del vino sulle vendite oltre frontiera di prodotti alimentari (trasformati) si ferma al 18% contro il 21% della Francia.
Con la Francia, l'Italia del vino vince il duello sui quantitativi, ma resta al palo rispetto a un parametro ben più strategico: il valore delle bottiglie, con i francesi che si sanno piazzare meglio sui mercati internazionali e sanno farsi pagare di più il vino.
Uno studio del neonato Osservatorio di Unione Italiana Vini (Uiv) realizzato in collaborazione con Vinitaly, è molto chiaro sui limiti del vino italiano, che pure ha dei punti di forza notevoli e ha saputo incrementare le vendite all'estero del 60% dal 2000 al 2020.
Solo il 5% delle bottiglie di vino fermo italiano destinate all'export esce dalle cantine a più di 9 euro al litro - recita il report dell'Osservatorio di Uiv realizzato in collaborazione con Vinitaly -, mentre il 75% non supera la soglia dei 6 euro. Un posizionamento più basso non solo rispetto a competitor come Nuova Zelanda, Francia e Australia, ma anche sulla media mondiale degli scambi.
Complessivamente, secondo l'analisi, è il segmento popular (3-6 euro/litro) a essere il più presidiato dal vino tricolore nel mondo con quasi la metà dei volumi, seguito dal basic (fino a 3 euro) con il 28%, dal premium (6-9 euro) con il 20% e dal super premium (oltre i 9 euro).
Gli sforzi per agevolare il percorso di internazionalizzazione non mancano. Al Vinitaly Special Edition erano presenti buyer e delegazioni provenienti da Europa (con i Paesi del Nord, Germania e Franca in testa), Russia, Stati Uniti e Canada, Paesi che guidano la domanda di vino italiano in fiera, seguiti da Est Europa (Romania, Ucraina, Polonia, Bielorussia, Bulgaria e Repubblica Ceca), Regno Unito e Cina, che ha fatto il suo ritorno proprio a Verona. "Una geografia - commenta Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere - perfettamente allineata con i dati di crescita registrati sui mercati internazionali che, nei primi sette mesi di quest'anno, hanno rilevato complessivamente un rimbalzo del 15% sullo stesso periodo dell'anno scorso".
Dopo il rallentamento causato dal covid-19, l'export del vino italiano ha superato in molti mercati i valori del 2019. In base ai dati elaborati dall'Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor (Fonte: Agenzia delle Dogane) sui primi otto mesi del 2021 registrano una crescita in cinque dei principali mercati di destinazione (Cina +49,2%, Regno Unito +4,3%, Canada +13%, Giappone +1,5%, Russia +13%) su otto presi in esame.
Inoltre, fra gennaio e agosto gli acquisti cumulati di vino italiano negli Usa hanno raggiunto 1,3 miliardi di euro contro 1,1 miliardi di due anni fa; in Svizzera i valori hanno toccato i 267 milioni contro i 225 milioni del 2019; in Corea del Sud la crescita è addirittura del +123%.
Se Vinitaly e Verona restano un punto di riferimento per il vino italiano e per il business, dal palco della Special Edition l'invito del ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, è quello di "utilizzare i fondi del Pnrr, della Pac e del Governo per far sì che questo rimbalzo diventi crescita strutturale. Avremo a disposizione, fino al 2027, 323 milioni di euro per fare promozione sui mercati esteri attraverso l'Ocm Vino, che è stato confermato dalla Politica agricola comune".
Tiene banco anche la questione Prošek con l'annuncio del governatore del Veneto, Luca Zaia. "Abbiamo nuove carte e spiegheremo la situazione a Bruxelles". Con 700 milioni di bottiglie, la Dop del Prosecco non dovrebbe essere insidiata da una menzione generica che i croati chiedono per un vino dolce prodotto in 15-20mila bottiglie.
Lo spiega dettagliatamente Paolo De Castro, coordinatore Socialists & Democratics Commissione Agricoltura del Parlamento Ue. "Io credo che vinceremo, perché all'opposizione italiana all'utilizzo di questa menzione generica che i croati vogliono aggiungere alla loro Dop Dalmazia, ma che appunto è una menzione e non una denominazione Prošek, la quale sarebbe stata impossibile, si aggiunge il fatto che è comunque un pericoloso precedente che dobbiamo evitare".
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