Il Covid-19 blocca tutto. Ferma anche alcuni settori che venivano ritenuti meno colpiti, anche se carichi di un impegno, oltre che di una responsabilità, maggiore. Gli impatti delle misure restrittive, a cominciare dai lockdown, hanno toccato la filiera agroalimentare per via delle chiusure dei locali. Tanto che il fatturato dei consumi fuori casa, dopo l’incremento del 14% negli ultimi cinque anni, è calati del 23% nel primo trimestre 2020 per bar e ristoranti, che diventa un meno 64% da aprile a giugno. E le stime sull’ultimo trimestre sono già ritenute pessime, dopo il recupero estivo.

Questo il senso dell’analisi condotta da Nomisma e presentata al Forum delle Economie sulla filiera Agrifood promosso da UniCredit, Slow food e la stessa Nomisma, in un incontro online nell’ambito del programma di Terra Madre Salone del Gusto 2020.

Il fatturato delle aziende agroalimentari - spiega Denis Pantini, responsabile Agricoltura e industria alimentare di Nomisma – “ha avuto un calo rilevante nonostante la capacità di resilienza del settore, con segno meno sempre da aprile ad agosto”. Inutile negare che il settore agroalimentare ha accusato i colpi dell’emergenza sanitaria. In particolare la chiusura della ristorazione e quindi la riduzione delle uscite per la classica cena fuori casa’ o del pranzo della domenica, tradizioni tutte italiane che in Italia incidono per circa un terzo sul valore dei consumi alimentari. Naturalmente il mancato ‘peso’ specifico dei turisti dall’estero che nel 2019 per esempio avevano speso nei ristoranti italiani 10 miliardi di euro.
In frenata anche l’export agroalimentare, con un calo del 4,4% per i dolci, del 3,3% per i vini; anche se per la pasta si registra un più 23,4%. “Per quanto resiliente - rileva Pantini - anche il sistema agroalimentare italiano sta soffrendo a causa di uno scenario di mercato dominato dall’incertezza a livello globale”.

Nella classifica delle filiere che hanno risentito di più c’è il vino, una delle nostre eccellenze del made in Italy, che nei primi sette mesi del 2020 ha visto calare l’export di oltre il 3%; al suo interno, i vini a denominazione (Dop) sono quelli che hanno sofferto di più. Mentre alcuni prodotti hanno registrato aumenti nell’export, anche a doppia cifra, come la pasta cresciuta del 23% e la passata di pomodoro del 10%.

Il Green deal - dichiara Remo Taricani, ceo commercial banking Italy di UniCredit - pone sfide non più procrastinabili al nostro settore agroalimentare e se da un lato potremo contare sulle importanti risorse di Next Generation Ue, dall’altro siamo tutti chiamati ad una attenta opera di pianificazione e condivisione degli interventi strategici; ci confronteremo anche con le migliori best practice internazionali per cogliere spunti di miglioramento da condividere con tutti i principali stakeholder del settore e dei nostri territori”.

Quest’anno - mette in evidenza Francesco Sottile di Slow food Italia - ci sta restituendo una visione della produzione agricola estremamente fragile soprattutto nelle filiere locali del cibo. Da qui bisogna partire per capire come rafforzare un sistema di produzione che non può rimanere ai margini dell’interesse politico, ma deve conquistare sempre maggiore spazio e dare valore al proprio contributo a favore di una reale transizione ecologica. Abbiamo bisogno di politiche che volgano lo sguardo al mondo della piccola scala – prosegue - costituita dalle migliaia e migliaia di piccole aziende agricole che insieme rappresentano tessere di un mosaico di valore inestimabile per il ruolo importantissimo che giocano dal punto di vista economico, agronomico, ecologico e culturale. Non si può condividere alcuna politica che dia maggiore forza al mondo agricolo industriale creando un modello di produzione che non riesce a tenere in considerazione il valore della biodiversità, dell’uso delle risorse naturali”.

Secondo lo studio di Nomisma la filiera agroalimentare italiana rappresenta un asset strategico per il nostro Paese anche per la sua elevata rilevanza socio-economica: considerando solo la fase produttiva (agricoltura e industria alimentare) il valore aggiunto prodotto si avvicina ai 59 miliardi di euro, posizionando l’Italia al terzo posto in Europa dopo la Francia (78 miliardi) e la Germania (61 miliardi).