Il commercio si evolve e l'agroalimentare è uno dei comparti trainanti nella transizione da un sistema misto di online e offline. L'e-commerce ha visto che il consumatore apprezza soluzioni magari integrate: consultazione online di prodotti, informazione su internet e acquisto con formula variabile: a domicilio, proseguendo dunque il percorso digitale, ma anche in luoghi fisici.

Amazon e Google sembrano aver colto al volo questa opportunità, come le operazioni condotte da Jeff Bezos con l'acquisizione di Whole Foods, catena di supermercati specializzati nel biologico e nell'alta qualità dell'agroalimentare, o l'alleanza fra il colosso di Mountain View e la catena della distribuzione Walmart dimostrano.

AgroNotizie ha intervistato Silvio Menghini, ordinario di Economia ed estimo rurale all'Università di Firenze.

Professor Menghini, dopo l'accordo fra Amazon e Whole Foods e quello fra Google e Walmart, che cosa cambia per il sistema delle vendite nell'agroalimentare?
"Provocatoriamente mi verrebbe da dire nulla. Credo che l'intenzione di Amazon sia quella di colonizzare non certo per distruggere, ma per ampliare il proprio business. E' già accaduto per il mercato del libro che, a differenza dell'alimentare, ha trovato nei modelli distributivi non store retail addirittura una dematerializzazione del prodotto. Oggi a cosa assistiamo? A una riscoperta del libro e delle librerie, con Amazon che vuole essere della partita".

Inevitabilmente ci saranno dei cambiamenti, par di capire.
"E' chiaro. Amazon qualche novità potrà introdurla, soprattutto sulla logistica. E questo sia pensando ai rifornimenti dei punti vendita sia al potenziamento delle forme di consegna a domicilio: il tutto con una possibile maggiore relazione con la rete, dove il consumatore può sempre più spesso raccogliere informazioni sui prodotti che desidera acquistare, attingendo da chi esercita l'offerta, ma anche sentendo il parere degli altri consumatori e, al tempo stesso procedere con l'acquisto.

Capire quanto gli acquisti si sposteranno in questa direzione non è ora facile, ma è a titolo di curiosità interessante osservare come la domotica si sia già allertata con frigoriferi intelligenti, che, dotati di telecamere sono in grado di vedere cosa c'è e cosa manca, suggerire direttamente e procedere all'acquisto, se desiderato. Non parlo di prototipi visti all'ultimo Expo di Milano, ma di prodotti che sono già in commercio. Sicuramente si tratta di nuovi approcci che vengono incontro soprattutto alle forme comportamentali delle generazioni più giovani.
Operazioni sullo stile Amazon - Whole Foods favoriranno oltremodo le potenzialità e i concreti spazi operativi della distribuzione organizzata, spostando oltremodo il valore del prodotto finale sui servizi aggiunti, che si creano a livello di reperibilità nello spazio e nel tempo, di acquisto e ri-recapito dei prodotti dell'agroalimentare e questo anche per le categorie con bassa shelf-life"
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Come immagina il settore delle vendite dei prodotti agroalimentari fra dieci anni?
"Prevedere cosa accadrà tra dieci anni è molto difficile. Sicuramente potremmo assistere ad un ulteriore sviluppo egemonico dei sistemi distributivi e di rapporto con il mercato finale, a scapito delle imprese del primario. Guai, però, pensare che possa esistere il modo per evitare tutto ciò. Di fronte a tali tendenze si può ragionevolmente pensare che nel futuro si intensifichino i contrappesi possibili, a partire dalle possibili azioni di contenimento delle asimmetrie informative che rendono difficoltose le scelte del consumatore. Certo, il discorso deve essere fatto distinguendo le commodities, che sono beni con scarse possibilità di differenziazione, dai prodotti invece di qualità superiore, con brand aziendali e/o territoriali affermati. Ma stiamo attenti: la partita delle asimmetrie informative non si gioca dicendo cosa debbono fare i produttori e tutti coloro che a vario titolo controllano l'offerta; il problema va affrontato anche a livello di consumatori, per quella che è la loro educazione alimentare, ossia la loro capacità di giudizio fondata su di una adeguata cultura".

La globalizzazione è inarrestabile. Come la considera?
"Credo che la globalizzazione sia un'opportunità e non un problema, ma ha bisogno di alcune regole che ne limitino le derive distorsive: la prima regola appunto è che alla maggiore libertà di movimento di merci, corrispondano maggiori garanzie, controlli, ma anche una maggiore competenza e responsabilità nei consumi. Tutte regole che però nei periodi di recessione vengono maggiormente messe in crisi, perché chi produce ha più stringenti esigenze di rimanere competitivo a fronte di un consumatore che ha sempre meno soldi da spendere".

Vede un futuro nel negozio di prossimità?
"Certamente, la popolazione che invecchia è categoria di consumatori che va sempre più considerata. Il negozio di prossimità garantisce il chilometro zero, inteso nella logica del percorso rapido dal produttore al consumatore. Inoltre, esprime valore di natura sociale, perché utile a quelle categorie che avranno meno possibilità di ordinare su internet e di fare grandi spese al supermercato. Tuttavia, con le economie di scala ridotte, un piccolo negozio non si potrà dedicare a beni tipo commodity, ma si dovrà concentrare su prodotti di gamma media e medio-alta".

Piccolo, ma di qualità, insomma.
"Sì, ma non solo. Perché avrà forza anche quell'elemento di utilità sociale come indirizzo del piccolo negozio di prossimità. Che dovrà necessariamente essere sostenuto dalle istituzioni locali affinché possa vivere e compensare le minori economie di scala".

Quali opportunità ci possono essere per l'agroalimentare made in Italy?
"Il made in Italy è vincente. E lo è stato anche in questi anni di recessione. Il made in Italy è un brand territoriale che, salvo frodi, non può con la globalizzazione essere delocalizzato nei termini del processo produttivo, ma solo per quanto riguarda il prodotto finale. Avere quindi una leadership qualitativa che ci giochiamo sull'esclusività che i nostri alimenti vantano per la tipicità del prodotto locale, ci offre una incredibile opportunità che già sfruttiamo e che dobbiamo oltremodo difendere ed esaltare.

L'unico pericolo è quello di evitare modelli distribuitivi che tendano a forme di monopolio e che, in qualche modo, portino il nostro agroalimentare a dipendere esclusivamente da certi canali. Su quello che è l'approccio, non posso che dire che le capacità dei nostri imprenditori hanno fatto scuola: già da tempo gli imprenditori italiani del settore hanno capito chiaramente che la competitività non si esaurisce nell'avere realizzato un prodotto di eccellenza assoluta, ma si realizza in modo compiuto solo se poi si è capaci di posizionare adeguatamente quel prodotto sul mercato.

Però, per il futuro è importante sempre di più declinare il nostro made in Italy nei termini di Italian style, avendo un approccio più vicino alle aspettative di consumatori che hanno una crescente sensibilità emozionale anche verso i prodotti con i quali si alimentano. E questo approccio deve essere considerato non solo per questo motivo, ma anche perché dobbiamo ricordarci che un prodotto di eccellenza italiana, ogni volta che giunge sulla tavola di un consumatore straniero, accende l'interesse per un territorio intero, per tutti i valori immateriali, come storia e cultura, e materiali, come il paesaggio, che esso è in grado di offrire. Insomma, è importante che, qualunque sia il modello futuro, il sistema agroalimentare italiano possa trovare gli spazi per essere promosso con questo approccio, continuando così ad essere motore anche di una industria del turismo che rappresenta per il nostro paese un immenso giacimento"
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Silvio Menghini, ordinario di Economia ed estimo rurale all'Università di Firenze