Andare a bilancio o non andare a bilancio, questo è il problema.
Più che Shakespeare c’entra il Governo Monti, che con la legge 228/2012 ha abrogato con effetto dal 1° gennaio 2013 i commi 1093 e 1094 dell’articolo unico della legge 296/2006.
Sostanzialmente, questo significa che le società in nome collettivo, in accomandita semplice e a responsabilità limitata, in possesso della qualifica di società agricola non potranno più utilizzare il regime della tassazione catastale.

Semplificando molto e rimandando per gli aspetti fiscali ad un altro articolo pubblicato su AgroNotizie, abbiamo chiesto al professor Angelo Frascarelli, docente di Economia ed estimo rurale all’Università di Perugia, una valutazione sugli aspetti positivi e negativi di un cambio di rotta che di fatto obbliga alcune tipologie di società che operano in agricoltura a stilare un bilancio.

“L’aspetto positivo di una tassazione a bilancio – esordisce Frascarelli - è che si elimina tutto il nero che gira intorno all’agricoltura. Con la tassazione sulla base delle rendite catastali, vorrei chiarire, non è che l’agricoltore fa il nero, ma potrebbe essere incentivato ad operare sottotraccia chi gira intorno all’agricoltore, cioè il mondo dei beni e dei servizi”.
Detto ancora più esplicitamente: “Se l’agricoltore non paga l’Iva, non ha vantaggi ad avere la fattura, mentre con un regime di tassazione a bilancio ci sono vantaggi legati ad una maggiore trasparenza del mondo circostante”.

Non è tutto. Secondo il prof. Frascarelli i vantaggi sarebbero anche di natura culturale e di crescita manageriale. “Costringere gli imprenditori a redigere un bilancio – sostiene il docente di Economia ed estimo rurale - significa dare un flusso di informazioni che oggi l’azienda agricola non ha. Diciamolo chiaramente: molti soggetti sono agricoltori, coltivatori, allevatori, ma non imprenditori. Avere un bilancio costringe loro a mettere insieme i  numeri e ad avere informazioni utili per una effettiva gestione imprenditoriale”.

Il rovescio della medaglia riguarda innanzitutto un aumento dei costi a carico dell’impresa agricola. “Dover redigere un bilancio impone servizi contabili e fiscali più completi, con un maggiore intervento da parte di consulenti, organizzazioni sindacali, commercialisti. Ed espone le società agricole a controlli da parte della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate più approfonditi rispetto ai controlli che possono essere effettuati con una denuncia dei redditi su base catastale”.
Inoltre, a fronte di costi gestionali maggiori, non è assolutamente detto che lo Stato incasserebbe di più. “Anzi, con ogni probabilità incasserebbe di meno – ipotizza Frascarelli -. Perché, se adottiamo il bilancio, la maggior parte delle imprese agricole chiuderebbe in perdita”.

Tutto ciò premesso, la posizione del professor Frascarelli, per quanto tutt’altro che granitica e oltranzista, e quella delle organizzazioni agricole, diverge.
“Tra quanti sono pro e quanti altri contro – sintetizza - sento che la maggior parte delle organizzazioni sindacali sono orientate a mantenere una tassazione su base catastale. Io, al contrario, sono per la tassazione a bilancio, soprattutto per spronare gli agricoltori ad essere più imprenditori e migliorare l’intero sistema agricolo. In ogni caso, non mi nascondo sul fatto che tra pro e contro, la soluzione della tassazione a bilancio sia in assoluto straordinariamente positiva, perché non è così”.

La redazione di un bilancio agricolo, con ogni probabilità, non influirebbe affatto positivamente sull’accesso al credito da parte delle imprese. “Oggi le banche hanno chiuso i rubinetti – chiosa Frascarelli – e non trattano peggio l’agricoltura rispetto ad altri settori. Paradossalmente, con un regime a bilancio, per le imprese agricole potrebbe essere anche peggio, proprio per il fatto che la maggior parte delle imprese chiudono in perdita”.