Alcuni decenni fa un noto economista agrario, Enzo di Cocco, osservò con preoccupazione che l'urbanizzazione in Italia sottraeva all'agricoltura una consistente percentuale di superficie agraria, per altro quella più fertile e vocata alle culture di pregio.

Carlo Petrini su Republica fa il punto della situazione al 2005, e rileva che dagli anni 50 il consumo di suolo è stato di circa 12 milioni di ettari, ossia 221.745 ettari l'anno. Negli ultimi quindici anni la sottrazione annua è addirittura aumentata a 244.202 ettari.
L'urbanizzazione, che in Italia è meglio definire cementificazione, per la sistematica noncuranza e rispetto dei vincoli della pianificazione territoriale, ha raggiunto, sempre secondo l'editorialista del quotidiano, la punta più alta in Liguria con il 45% della superficie, la Basilicata è la regione dove solo il 5% è stato sottratto al settore primario.
In Italia motivi psicologici e storici hanno sempre indotto il risparmiatore ad investire nel "mattone" anziché in azioni o titoli di stato, per una serie di motivi che sarebbe troppo lungo elencare.
Il fenomeno anche in futuro non subirà rallentamenti anche se la popolazione totale cresce assai meno che in passato e l'economia ed i redditi non aumentano.
Il peso economico e politico dell'industria delle costruzioni, la situazione del debito pubblico che vieta i grandi investimenti infrastrutturali, non consente di ritenere che vi possa essere una inversione di tendenza.
L'Italia è un paese prevalentemente montuoso, le pianure costituiscono solo poco più del 23%. la colline il 42%, le montagne il 35%. I 772 parchi nazionali, regionali, riserve naturali, zone umide, aree protette, coprono l'11% della superficie totale, ossia poco più di 3,3 milioni di ettari. La superficie oggi coltivata, secondo l'ultima stima Inea, è stata nel 2009 di ha 7.251.480, un quarto di quella totale. Nel censimento la SAU era stimata nel 2000 pari a 13.208.846 ettari, ossia quasi il doppio, mentre i boschi erano 4.578.546 ettari. Molte aree collinari e montane, oliveti e pascoli in particolare, sono abbandonate perché lo sfruttamento non è economico; l'attività primaria è oggi concentrata nelle pianure e, nella grande maggioranza, nelle zone più declivi ed accessibili della collina e della montagna, ove prevalgono, in particolare, i vigneti e gli oliveti.
L'agricoltura, afflitta da molti mali di cui si è già fatto menzione, è insidiata da tre parti. Il cemento la priva dei migliori terreni pianeggianti; nelle aree collinari e montane aumentano i vincoli alla coltivazione ed all'allevamento; i mutamenti climatici e gli scarsi investimenti pubblici nella difesa idrogeologica accrescono i rischi delle inondazioni e fanno salire le perdite di fertilità dei terreni agrari.
L'agricoltura italiana sarà in futuro meno intensiva e questa circostanza fa sì che l'assoggettamento a norme ambientali non ostacola eccessivamente, nelle aree protette, l'attività primaria.
La prima e la terza minaccia appaiono assai più serie. Solo lo stato, sempre che sia intenzionato, potrebbe modificare questa situazione, ma le probabilità che ciò accada sono assai modesta.
Poiché il settore non offre oggi ai giovani prospettive di redditi soddisfacenti, il ricambio generazionale è quasi assente. Inoltre quasi nessuno in Italia entra ex novo in questo settore.  Quando l'età e le malattie, costringono imprenditori ad alzare la bandiera bianca ed a passare ad un altro status, molte aziende debbono chiudere l'attività, molti terreni rimangono così incolti.
L'inadeguatezza della legislazione sull'affitto, il miraggio che spesso diventa realtà, di trasformare terreni ad uso agricolo in aree edificabili induce i proprietari ad attendere. 
Le quotazioni fondiarie salgono sistematicamente, quindi il valore del patrimonio immobiliare aumenta di anno in anno e senza alcuno sforzo, il regime fiscale, assai benevolo con chi possieda la terra, non pesa economicamente.
Di anno in anno quindi la superficie coltivata va diminuendo sia in pianura che nelle aree collinari e montane, calano di conseguenza gli addetti, si riducono le produzioni, declinano i redditi. Nel passato l'abbandono di aree marginali era compensato dalla crescite delle rese unitarie oggi non più possibile.
Una fonte di ricchezza e di occupazione viene a ridursi; la salvaguardia del paesaggio agrario e la cura dei terreni che, specie nella aree collinari e montane, sono funzioni importanti che solo gli agricoltori svolgono, perde consistenza. La società civile ed il paese vedono gradatamente, lentamente dissolversi un bene prezioso, costruito negli ultimi due millenni.

 

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