Roberto Volpi

Colui che fa impresa, sia essa agricola che industriale e dei servizi, sente spesso l'esortazione di politici ed esperti ad essere più competitivi. Che significato ha questa affermazione?

Il termine implica necessariamente un confronto che in questo caso riguarda sia i concorrrenti più vicini, quelli europei, con i quali da decenni vigono le stesse regole, norme e lo stesse condizioni e quelli di altri continenti, oggi presenti sul nostro mercato sia per la caduta dei dazi e la fine delle politiche protezionistiche, che per il grande sviluppo dei trasporti, delle comunicazioni e delle Ict, che hanno reso possibile la globalizzazione della economia.

L'imprenditore gareggia con tre gruppi di "colleghi": quelli del suo distretto, gli europei e tutti gli altri sparsi nel mondo.

Un qualsiasi consumatore, anche il più distratto, non può non notare come i negozi dispongano oggi di prodotti che provengono da tutti i continenti. Frutta, verdura, un tempo prodotti per ovvi motivi solo localmente, sono presenti nella grande distribuzione tutto l'anno.

Quando un imprenditore è più competitivo di altri? La risposta, anche se può sembrare troppo semplice, quindi banale, è quando produce a costi più bassi, mantenendo il rapporto prezzo/qualità su livelli richiesti dal consumatore, oppure produce un bene migliore agli stessi costi di quelli dei concorrenti.

Per realizzare uno dei due obiettivi occorre fare nuovi investimenti per innovare i processi e/o i prodotti e migliorare la sapienza produttiva della forza lavoro.

Per poter essere competitivi occorre quindi che l'impresa:

  1. con la contabilità a partita doppia sia in grado di valutare i costi unitari di produzione e di distribuzione dei prodotti che immette sul mercato,
  2. conosca l'andamento delle imprese concorrenti ed i valori medi standard o bench-mark all'interno della filiera,
  3. conosca l'andamento dei prezzi, dei consumi e delle propensioni del consumatore,
  4. sia informata sulle innovazioni che possono abbattere i costi e migliorare la qualità e che provengono dalla imprese a monte e dai centri i ricerca pubblica e privata.

Con queste informazioni, parte endogene, ossia generate dall'interno della azienda, parte esogene ossia esterne, l'imprenditore si rende conto in quale posizione si trova la sua azienda, se è nella media oppure al vertice od in coda, e prendere le decisioni che ritiene utili per sopravvivere e servire il mercato. Inoltre conoscendo lo stato della tecnica può stabilire casa innovare per trarne maggiori vantaggi.

Se invece è privo di tutte queste notizie non gli è possibile decidere, è obbligato a navigare a vista, osservare quello che fanno i più prossimi concorrenti e solo sperare che i prezzi dei prodotti alla produzione migliorino, quelli delle materie prime che utilizza scendano, ed infine che lo stato riduca le tasse e tributi.

In altri termini senza informazioni egli non può essere il protagonista del suo futuro ma solo attendere e fare affidamento ai soccorsi esterni, sia che provengano dal mercato, sotto forma di quotazioni, che dallo stato.

La crescita della economia di un territorio e di un paese è in mano esclusivamente alle imprese, le sole che generano ricchezza attraverso l'innovazione, investendo ed aumentando lo stock di capitali, migliorando la qualità del lavoro. 

Colui che ripete per anni ciò che ha fatto in passato senza cambiamenti non dà alcun contributo allo sviluppo della economia e non può essere considerato un imprenditore che nel suo DNA ha impresso l'esigenza di costruire, di progredire, di creare ricchezza, benessere per sé e nuova occupazione. Solo il talento e la fortuna decideranno sul suo successo, senza comunque le regalie dello stato.

Associazione Economisti d'Impresa

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