Le ultime quotazioni del latte spot in Italia – evidenziate dal portale di riferimento mondiale per il settore, Clal.it - hanno registrato segnali di ripresa. Con un prezzo di 36 euro per 100 chilogrammi, la piazza di Verona lo scorso 20 luglio ha segnato un +4,35% rispetto al listino precedente, andando in scia a Lodi, altro mercato di riferimento per il latte crudo in cisterna (35 euro/100 kg il 13 luglio).
Non sono certo cifre esaltanti, soprattutto se paragonate con le quotazioni dei 12 mesi precedenti, superiori di oltre 11 punti percentuali. È positiva, comunque, l’inversione di rotta di un trend negativo che si è abbattuto a livello mondiale sul settore lattiero caseario, che comunque mostra gravi segnali di sofferenza. I prezzi mondiali del latte – riporta il Washington Post – dal febbraio 2014 sono crollati del 39% e sono i più bassi degli ultimi cinque anni, come evidenziato dal report delle Nazioni Unite.
Nel breve periodo - secondo le stime della Bank of New Zealand - per la debolezza del petrolio e un’inversione di prezzi dei cereali dovuti a una produzione molto positiva, non si intravedono segnali di ripresa nel settore lattiero caseario. E pesano, nel bilancio mondiale, la chiusura della Russia e la frenata della Cina sulla polvere di latte intero e sul burro, rispettivamente a -71,57% e -28,61 per cento (dati Clal).
Intanto, il cda di Granlatte, la cooperativa che controlla Granarolo, ha deciso per il trimestre luglio-settembre l’aumento di 1 centesimo al litro del prezzo di riferimento del latte, arrivando così a 37 centesimi al litro, oltre ai premi e al riconoscimento della qualità.
Lo scenario europeo
I prezzi all’origine, in tutta Europa, con eccezione della regione francese Rhones-Alpes (che a maggio ha segnato un timido +0,57% e un valore di 29 euro/100 kg), mostrano segnali ribassisti. Al punto che gli allevatori sono scesi in piazza, scatenando proteste vibranti, ben diverse dalle manifestazioni educate alle quali i sindacati agricoli italiani (rigorosamente divisi fra Coldiretti e Agrinsieme) ci hanno abituato.
In Francia le proteste sono state piuttosto accese e hanno portato a una reazione congiunta del sistema allevatoriale, con i produttori di latte, di carne bovina e di suini fianco a fianco per chiedere un intervento della politica, che poi è arrivato. Fortemente caldeggiato, come è abitudine Oltralpe, dal presidente della Repubblica François Hollande, che ha invitato i consumatori a comprare prodotti francesi.
Chi sta facendo i conti con una inaspettata – almeno fino all’anno scorso – chiusura di stalle è il sistema lattiero caseario olandese, che proprio 15 mesi fa parlava della fine del regime delle quote latte come di un “Liberation Day”, una festa della liberazione che avrebbe dovuto arricchire allevatori e filiera lattiero casearia.
Invece, secondo il Dutch Dairymen Board, l’organizzazione dei produttori Dairy dei Paesi Bassi, ha calcolato su tutto il 2014 un costo medio di produzione del latte pari a 42,24 centesimi al chilogrammo, al netto di sussidi per 3,03 centesimi al chilo. Una pressione che si fa sentire con maggiore insistenza quest’anno, dal momento che i prezzi del latte crudo alla stalla oscillano tra i 25 e i 28 centesimi al litro.
Nell’Europa degli allevatori che alza la voce per denunciare lo squilibrio fra costi e ricavi, i primi a farsi sentire sono stati i produttori lattieri galiziani, nel Nord Ovest della Spagna. Il latte viene pagato in media 27 euro/100 kg, la cifra più bassa dal 2009. E questo quando va bene, dal momento che sembra che almeno un terzo degli allevatori riceva compensi addirittura inferiori.
In 15mila hanno sfilato a Santiago de Compostela, fra produttori, organizzazioni di categorie, cooperative e sindaci della regione della Galizia, con l’obiettivo di sensibilizzare il governo periferico e centrale su tre aspetti non più ulteriormente differibili: analizzare i contratti di conferimento del latte da parte dei produttori e i prezzi così bassi; contrastare i prezzi di vendita al consumo sugli scaffali della grande distribuzione organizzata e quantificare le eccedenze di latte, in modo da conoscere il reale impatto sulla flessione delle quotazioni.
Malumori anche fra le grandi cooperative del settore, dalla danese Arla all’olandese Friesland Campina, che scontano forse un’eccessiva spinta agli investimenti sia in chiave internazionale che nelle stalle dei propri associati. Che siano il lato oscuro della globalizzazione, che ha spinto in questi anni sempre di più verso mercati mondiali costantemente interconnessi e prodotti standardizzati, come anche Leo Bertozzi si è domandato su Clal News?
Gli Stati Uniti
A proposito di sovrapproduzione, dall’altra parte dell’Atlantico si vive una soluzione analoga, denunciata nei giorni scorsi dal Washington Post. I produttori americani stanno gettando il latte, a causa di volumi produttivi mai registrati fino ad ora e soprattutto perché le scorte di latte eccedono la capacità massima degli impianti di trasformazione in alcune zone degli Usa.
Nei primi mesi dell’anno sarebbero stati buttati già 14 milioni di chilogrammi di latte. Scenario che stride con l’incremento delle popolazioni a livello mondiale e con il claim di Expo “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.
Secondo il dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (Usda) la produzione lattiera nazionale ha toccato 8,34 milioni di tonnellate e le previsioni per il 2015 potrebbero raggiungere il record di 94,66 milioni di tonnellate.
Guardando i dati Clal dei principali Paesi produttori di latte (Usa, Australia, Nuova Zelanda, Argentina, Ue-28, Ucraina, Bielorussia, Turchia, Cile, Uruguay), in effetti, la crescita tendenziale nel primo semestre dell’anno è stata dello 0,6 per cento.
L’Oceania
Dall’altro capo del mondo siamo entrati nella fase di stop produttivo, ma il bilancio della prima parte dell’anno ha visto una crescita dei volumi. In Australia, secondo le stime, la produzione è stata superiore alla stagione precedente del 2-3 per cento e la produzione a maggio è stata superiore dell’1,15% rispetto allo stesso mese del 2014.
In Nuova Zelanda la maggior parte delle vacche da latte sono in asciutta e la stagione si è conclusa con una produzione superiore del 2,84% rispetto alla stagione precedente, con un incremento addirittura del 10,7% rispetto allo stesso periodo del 2014.
La politica
Fatta eccezione per l’iper attività dell’assessore lombardo Gianni Fava, che ha convocato il Tavolo latte a più riprese, arrivando a proporre un sistema di valutazione del prezzo indicizzato anche sull’andamento delle grandi Dop casearie del territorio, e i provvedimenti recentemente annunciati in Francia dal Primo ministro Manuel Valls e dal ministro dell’Agricoltura Stephan Le Foll per la zootecnia, sembra quasi che vi sia un certo imbarazzo ad affrontare il problema.
In Galizia, commentando le proteste dei produttori, l’assessore alla partita Rosa Quintana ha tagliato corto: “La situazione attuale del settore lattiero caseario non è così grave come dicono alcuni”.
E da più parti in Europa contestano l’atteggiamento del commissario all’Agricoltura Phil Hogan, chiedendo un’impostazione più interventista.
Il Mipaaf
Incalzato con veemenza dal lombardo Fava, il ministero delle Politiche agricole ha convocato per giovedì 30 luglio in via XX Settembre a Roma il tavolo di lavoro per il settore lattiero caseario, per condividere con tutta la filiera la preparazione del prossimo Consiglio europeo straordinario previsto a Bruxelles il 7 settembre prossimo.
L’appuntamento di giovedì – si legge in una nota - servirà anche per fare il punto sull’avanzamento operativo delle misure a sostegno del settore già impostate con gli ultimi provvedimenti del governo e verificare nuove iniziative da intraprendere per tutta la filiera.
Una questione etica?
In uno scenario che vede la domanda mondiale, secondo le stime dello Usda, proiettata a crescere per i prossimi sei anni consecutivi, fino a toccare il livello record di 582,7 milioni di tonnellate e una situazione ribassista per tutto il 2015 e forse anche per i primi mesi del 2016, è lecito chiedersi se non si sia perso un pizzico di etica, che dovrebbe stare sempre alla base della libera impresa.
Celebrare a Expo i temi dell’alimentazione e dell’agricoltura, declinandoli in chiave di food security e food safety e poi, allo stesso tempo, gettare il latte per una sovrapproduzione che in alcuni Stati americani diventa inaffrontabile industrialmente dovrebbe far pensare.
Gli stessi allevatori, che sulla scorta o della fine delle quote latte o dei prezzi lusinghieri di 15-18 mesi fa hanno proseguito ad investire per proiettarsi in una corsa a produrre senza “leggere” il mercato, impone una riflessione.
Che sia giunto il momento che i report dei centri studi, accanto ai meri dati, rivolgano anche qualche domanda e si trasformino in un think tank?