Nei giorni scorsi, nel corso dell’assemblea annuale di Assica, l’Associazione dei macellatori di suini, aderente a Confindustria, la presidente Lisa Ferrarini aveva indicato sei priorità per sostenere l’export alimentare, ovvero: eliminare ogni pretesto per le barriere non tariffarie; concludere accordi di libero scambio (eliminare i dazi); creare una cabina di regia per l’export; coordinare le azioni di promozione, dall’Ice alle fiere; strutturare linee di credito adeguate per le imprese che esportano; qualificare la presenza italiana all’estero: dai desk anticontraffazione all’addetto commerciale agroalimentare. "E' su questa linea che dovremmo muoverci – afferma Cervi –, sostenendo l’export con iniziative coese e non frammentate. Bisogna intercettare e impegnare sinergicamente i fondi ministeriali, dell’Ice, delle Camere di commercio e dell’Unione europea". Troppo spesso, secondo il presidente di Asser, "l’imprenditore è lasciato solo, a partire da accuse di carattere sanitario che talvolta rappresentano una barriera commerciale mascherata".
Ma l’export dei salumi italiani, che nel 2012 per il secondo anno consecutivo ha superato la soglia del miliardo di euro, non è l’unico aspetto sul quale concentrarsi. "Dobbiamo impegnarci a risolvere le problematiche interne alle filiera, a partire dall’accesso al credito – chiosa Cervi –. Su questo punto l’aggregazione dell’offerta, e quindi le op, sono fondamentali per ottenere garanzie bancarie e assicurative. Anche Ismea potrebbe essere coinvolta in un sistema creditizio più omogeneo".
Un punto importante, ottenuto nella recente riforma della Pac, "grazie all’impegno di Unapros e all’azione del presidente della commissione Agricoltura al Parlamento europeo, Paolo De Castro, è la programmazione produttiva per i prosciutti e la salumeria Dop – rileva Cervi –. Ora gli sforzi dovranno intensificarsi affinché produttori, macellatori e stagionatori individuino una strategia condivisa per ridurre quanto più possibile la volatilità del mercato". Bene la promozione del "made in", ma ad una condizione, e cioè che "si utilizzino suini italiani, altrimenti si rischia il paradosso di pubblicizzare i marchi Igp come italiani, quando la materia prima ha provenienza estera".
La suinicoltura, secondo Cervi, ha anche bisogno di un piano cerealicolo strategico, per contenere la volatilità dei listini e ridurre le spese in allevamento, visto che i costi della suinicoltura italiana superano alla voce razione alimentare anche i 3-4 euro per maiale, rispetto agli standard medi europei. "Sarebbe poi opportuno incentivare solamente gli impianti bioenergetici che sfruttano i reflui zootecnici come carburante e non i cereali".
Rimane l’incognita del mercato, che sta riprendendo quota dopo la flessione preoccupante di aprile e maggio. "Con 1,495 euro al chilogrammo dell’ultima quotazione della Cun al 4 luglio – analizza Cervi – rimaniamo ancora al di sotto dei costi di produzione, che si aggirano intorno a 1,60 euro. Regna tuttavia una grande incertezza, perché nel giro di un anno il patrimonio suinicolo italiano ha perso il 10 per cento delle scrofe, con una flessione del 5-6 per cento sui grassi da macello. Eppure, i listini sono ancora lontani da una corretta fotografia del mercato".