Influenza aviare, quasi l'avevamo dimenticata. Non che ci siano nuovi focolai, per fortuna. Stiamo parlando degli aiuti che l'Italia ha chiesto e che l'Unione Europea ci ha negato. Ma che ha concesso ad altri paesi, come Belgio e Paesi Bassi. Una discriminazione che aveva convinto l'Italia a ricorrere alla Corte di giustizia Ue per vedere riconosciute le proprie ragioni. Ed oggi, a distanza di tempo, è arrivata la risposta. Che dà ragione all'Italia. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di ricostruire la vicenda, ormai vecchia e per alcuni versi anche complessa.

 

I fatti

Eravamo a cavallo fra vecchio e nuovo millennio (dicembre 1999, aprile 2000) quando in Italia alcune regioni del Nord si trovarono alle prese con i primi casi di influenza aviare (quella che riguardava solo i polli e non l'uomo). Un episodio destinato a ripetersi nell'agosto dello stesso anno, sino al marzo del 2001. E poi ancora nell'ottobre del 2002 e nel settembre del 2003. In tutti questi casi scattarono le consuete misure di lotta alla malattia, abbattimento degli animali, divieti di commercializzazione e di movimentazione. I danni per il settore furono enormi e l'Italia, come prevedono le norme comunitarie, corse a bussare alla porta di Bruxelles per chiedere aiuto. E ottenne una partecipazione alle spese sostenute per poco più di 31,7 milioni di euro. Ma le richieste italiane di ottenere misure eccezionali di sostegno al mercato delle carni avicole caddero nel vuoto e di fatto ci furono negate. A inizio 2004, quando l'influenza aviare si presentò negli allevamenti di Belgio e Paesi Bassi la Commissione decise invece di concedere aiuti a questi due Paesi per compensare le perdite economiche conseguenti alla decisione di eliminare le uova da cova utilizzandole, quando possibile, per la produzione di ovoprodotti.

 

Aiuti concessi e poi negati

A fine 2004 in piena crisi dei mercati dopo l'avanzare dei sospetti di una trasmissione all'uomo di questa malattia dei polli (tutti ricordano il virus H5N1, che riempì pagine di giornali, ma non gli ospedali, per fortuna), la Commissione acconsentì ad adottare per l'Italia misure di sostegno (regolamento 2102/2004) che coprissero anche i periodi precedenti, a iniziare dai primi focolai di influenza del 1999. Gli aiuti in quel caso erano finalizzati a compensare le perdite economiche della distruzione delle uova da cova. In pratica gli stessi criteri già adottati per altri Paesi. Poi la doccia fredda. A inizio 2007 la Commissione giudica insufficienti le misure adottate dai produttori italiani per contenere la produzione e decide di annullare questi aiuti. Ce n'è quanto basta per convincere l'Italia ad impugnare questa decisione e ricorrere al Tribunale Ue.

 

La sentenza

Ed è di questi giorni la sentenza del Tribunale che dà ragione all'Italia e torto alla Commissione che nella sua decisione aveva fra l'altro indicato che le perdite dei produttori di pulcini di un giorno erano il risultato delle scelte commerciali degli operatori interessati. Come pure erronea a parere del Tribunale è la valutazione della Commissione di distinguere fra perdite dovute alla soppressione dei pulcini di un giorno e quelle dovute alla distruzione delle uova già avviate all'incubazione. Ed ecco la sentenza, che in sintesi recita: “la decisione della Commissione, del 7 febbraio 2007, che ha respinto la richiesta della Repubblica di misure eccezionali di sostegno al mercato della carne di polllame … è annullata.” “Una buona notizia per l’agroalimentare italiano” ha commentato il ministro dell’Agricoltura, Mario Catania. “Una dimostrazione - gli ha fatto eco il presidente della commissione Agricoltura del Parlamento europeo, Paolo De Castro - che gli aiuti chiesti dall’Italia erano legittimi”. Bene, giustizia è fatta, non resta che passare all'incasso. Sempre che sia ancora possibile.