Il processo di digestione anaerobica consiste nella demolizione biologica di molecole complesse - carboidrati, proteine e grassi - nei loro minimi costituenti: CH4, CO2, H2, NH3 e H2S. Tale processo è relativamente semplice da implementare, sia a livello artigianale che industriale, grazie alla presenza di batteri nelle deiezioni animali. Il ricorso ad alcuna soluzione biotecnologica Hi Tech non è dunque necessario per produrre biogas. La Foto 1 ne è la prova: basta una sacca di plastica sufficientemente robusta, pochi tubi, biomassa residuale e il calore del sole.

Malgrado molti tentativi di valorizzare tutti i prodotti della digestione anaerobica, finora solo il CH4 ha un valore di mercato, sia per la produzione di energia elettrica e sia come sostituto del gas naturale o della benzina per autotrazione. Il massimo sviluppo raggiunto finora nel campo della digestione anaerobica è la conversione della CO2 in ulteriore CH4, mediante la tecnologia nota come P2G (Power to Gas, si veda questo articolo).

Il più semplice digestore anaerobico tra quelli possibili, copre i fabbisogni energetici e sanitari basilari di un villaggio rurale africano
Foto 1: Il più semplice digestore anaerobico tra quelli possibili, copre i fabbisogni energetici e sanitari basilari di un villaggio rurale africano
(Fonte foto: Biogas processes for sustainable development, Uri Marchaim, Migal Galilee Technological Centre Kiryat Shmona, Israel, edizione della Fao, 1992)

Una caratteristica della società capitalista occidentale è che le cose troppo semplici non piacciono alle grosse aziende. Queste investono ingenti risorse per creare "barriere tecnologiche" allo sviluppo di potenziali concorrenti, con il fine ultimo di mantenersi leader ed espandere la propria posizione nei mercati. Potremmo definire la digestione anaerobica come una tecnologia "democratica", perché potenzialmente alla portata di chiunque. Non è dunque da meravigliarsi che i colossi dell'industria chimica e militare puntino invece sul processo inverso: sintetizzare molecole complesse a partire dal CH4 e, se possibile, anche dagli altri componenti del biogas. Una tecnologia quest'ultima che potremmo definire "oligarchica", in quanto alla portata solo di pochi.

La sintesi di prodotti a partire dal metano viene chiamata nel gergo del marketing Methane to Anything, abbreviato in M2$ in un tentativo di accattivare gli investitori con il doppio senso di $, inteso come carattere jolly nella sintassi informatica, ma anche come dollari.


M2M - Methane to Methanol

Il primo candidato per una chimica di sintesi basata sul metano è il metanolo, prodotto primario per un'infinità di industrie: da quella petrolchimica fino al trattamento biologico delle acque residue.

Dal punto di vista industriale, il metanolo ha innumerevoli vantaggi sul metano: maggiore densità di energia, stoccaggio e movimentazione più economici perché è liquido, punto di esplosività più alto, maggiore reattività chimica, solubilità totale in acqua, agisce da solvente nei confronti di idrocarburi e grassi…

Il concetto di processo Methane to Methanol, abbreviato M2M, non è nuovo, anzi: esistono diverse varianti di processo più o meno consolidate, che consentono di realizzare tale trasformazione.
Il metanolo non è altro che la forma ossidata del metano, secondo la seguente reazione di ossidazione "ideale":
 
CH4+ ½ O2→CO + 3 H2

CO + 2 H2  →CH3OH

Tale reazione è semplice solo in apparenza: viene chiamata "il Santo Graal della chimica" perché a conti fatti produrrebbe un prodotto liquido molto versatile per l'industria chimica, sostituto della benzina, e inoltre, essendo una reazione esotermica, produrrebbe anche calore utile: 128 kJ/mol di metanolo (1,11 kWh termici/kg).
Finora non è stato validato alcun processo capace di portare a termine, in modo efficiente e selettivo, l'ossidazione diretta del CH4 secondo tale reazione.

Il metodo più antico per sintetizzare metanolo a partire da metano risale alla II Guerra mondiale ed è noto come processo Fischer-Tropsch. Esso consiste nel decomporre il CH4 assieme a del vapore d'acqua ad alta pressione e temperatura, ottenendo syngas, una miscela di CO e H2. Questi ultimi vengono fatti reagire in presenza di un catalizzatore metallico (combinazioni di cobalto, ferro, rame, rutenio, nichel e supporti ceramici di silice) ottenendo il metanolo, secondo una reazione in due stadi:
 
CH4+ H2O →CO + 3 H2

CO + 2 H2  →CH3OH

Il metanolo si trova fra i diciotto prodotti più consumati dall'industria chimica, ma il processo Fischer-Tropsch originale è molto energivoro (Foto 2).

Il consumo mondiale di energia per la produzione dei diciotto prodotti più richiesti dall'industria chimica nel 2010
Foto 2: Il consumo mondiale di energia per la produzione dei diciotto prodotti più richiesti dall'industria chimica nel 2010
(Fonte foto: The changing landscape of hydrocarbon feedstocks for chemical production: implications for catalysis -2016)
(Clicca sull'immagine per ingrandirla)

Al contrario della reazione "ideale" di ossidazione parziale del metano, il primo stadio della reazione Fischer-Tropsch - fra metano e acqua - è fortemente endotermico. La reazione complessiva richiede l'apporto netto di 116 kJ/mol (1,01 kWh termici/kg di metanolo prodotto). Negli anni sono state sviluppate infinite varianti del processo, basate su combinazioni diverse di catalizzatori, con lo scopo di ridurre la temperatura e la pressione necessarie per la reazione, e quindi il costo impiantistico e operativo. L'Eroie (Energy return on invested energy) o efficienza complessiva del processo Fischer-Tropsch difficilmente supera il 50%. Sebbene il potere calorifico inferiore del metanolo sia pari a 22,7 MJ/kg (6,31 kWh/kg), l'energia necessaria per produrre un kg non è solo limitata all'apporto di calore di reazione: si deve considerare l'intero ciclo produttivo, includendo l'estrazione e trasporto della materia prima (carbone fossile, in minor misura anche biomasse).
Sono stati sviluppati processi elettrolitici, al plasma, fotocatalitici (sintesi di metanolo a partire da acqua e CO2, utilizzando energia solare), elettrocatalitici, ossidazione in acqua supercritica…
Nessuno sinora è riuscito a raggiungere la maturità industriale del vecchio sistema Fischer-Tropsch.

Ciò che l'uomo non è ancora riuscito a realizzare in modo efficiente, lo fa la natura da circa 4 miliardi di anni. Le Archaea e i batteri, i primi organismi ad evolversi sulla terra, sono capaci di portare a termine una reazione chimica "quasi ideale" (produce CO2 e H2O, con un piccolo guadagno energetico) a temperatura e pressione ambienti. L'ipotetico sistema biotecnologico per convertire il metano in metanolo sarebbe dunque l'immagine speculare del digestore anaerobico: il "sintetizzatore aerobico".

In parole povere, esso sarebbe un impianto del tutto analogo al digestore, ovvero un recipiente ermetico, dotato di agitatori, nel quale una coltura di batteri metanotrofi viene alimentata con opportune dosi di metano, aria e nutrienti, e in qualche caso anche luce. I batteri metanotrofi possiedono un particolare enzima chiamato Mmo (Metano-mono-ossigenasi) che sintetizza in un unico passaggio il metanolo a partire da CH4 e O2. I batteri metanotrofi sono ubiqui: si trovano nei fanghi dei fondali di laghi, paludi e mari, nelle risaie e fossati, nel terreno e negli scarichi civili ed industriali. Detto così, sembrerebbe facile poter costruire un "sintetizzatore aerobico": sarebbe simile ad un digestore, ma al posto di letame e liquami bisognerebbe inocularlo con fanghi prelevati dal fondale di un lago, o terriccio organico.

In realtà, il problema è più complesso: i batteri metanotrofi devono trasformare ulteriormente il metanolo per trarne nutrimento. I prodotti metabolici successivi sono dunque formaldeide, formiato (radicale dell'acido formico) che mediante ulteriore ossidazione produce infine l'inevitabile CO2, propria di ogni processo aerobico.

Le alternative biotecnologiche per bloccare il processo metanotrofo naturale, in modo che solo produca metanolo, sono:
  • coltivare i batteri metanotrofi, estrarne l'enzima e poi utilizzare quest'ultimo come biocatalizzatore in un processo puramente chimico. Questo approccio ha costi elevati ed impianti complessi, ma è "chimica ordinaria". Finora non ha raggiunto grandi successi: quando si ottengono volumi elevati di produzione, la selettività del processo è scarsa e si formano altri prodotti assieme al metanolo, che si rende necessario separare in qualche modo; invece quando la selettività è alta, i volumi di produzione diventano bassi: dell'ordine di qualche millilitro di metanolo prodotto per ogni litro di reattore utilizzato.
  • Coltivare grandi quantità di biomassa di batteri metanotrofi, inibendo in parte i passaggi metabolici successivi e "distillando" in qualche modo il metanolo, man mano che viene prodotto. Concettualmente è un processo fermentativo, analogo alla produzione del bioetanolo, benché più complesso e meno efficiente di quest'ultimo. Esistono tre gruppi diversi di batteri metanotrofi: Gammaproteobatteri, Alfaproteobatteri, e Verrucomicrobia. Questi ultimi sembrano i più promettenti dal punto di vista industriale perché necessitano contemporaneamente di CH4 e CO2, quindi sono i candidati perfetti per utilizzare biogas come nutriente.
  • Coltivare batteri ammonio-ossidanti (Nitrosomonas europaea e Nitrosococcus oceani) i quali producono metanolo come residuo della loro attività biologica, ma non lo digeriscono oltre, perché traggono il loro nutrimento dall'ammonio. Questo rende il processo potenzialmente più produttivo ed interessante per un suo abbinamento ad un impianto di digestione anaerobica di pollina o liquami suini, dove si hanno contemporaneamente CH4 ed NH4-.
  • Ingegneria genetica. L'idea consiste nel prelevare da un batterio metanotrofo i geni che esprimono l'attività del Mmo e introdurli in un batterio non metanotrofo. I batteri geneticamente modificati sono quindi in grado di convertire il CH4 in metanolo, ma non riescono a utilizzarlo. In un certo senso, tale approccio è concettualmente uguale all'utilizzo di batteri ammonio-ossidanti, ma più difficile da implementare perché richiede ingenti investimenti in ricerca di base e attrezzature molto specifiche. Non è quindi strano che il governo statunitense, attraverso l'Arpa-E (Advanced research projects agency-Energy, collegata all'agenzia militare Darpa) e i venture capital biotecnologici si siano decantati maggiormente per foraggiare progetti di questo tipo a suon di milioni (visita questo sito per maggiori informazioni).


Conclusione

La barriera tecnologica risultante in caso di successo - dei tanti progetti M2M in corso negli Stati Uniti (know- how specifico, brevetti, segreti industriali) - sarebbe quasi insuperabile per qualsiasi Stato o azienda concorrente, almeno nel breve-medio termine. Le probabilità di successo però sono incerte. Ad esempio, un progetto finanziato dall'Arpa-E con oltre due milioni di dollari il cui scopo era la produzione di biobutanolo (biobenzina) mediante metanotrofi e cianobatteri geneticamente modificati, non sembra aver prodotto risultati tangibili: due anni dalla fine delle ricerche (2017) la pagina web dell'azienda beneficiaria non menziona nemmeno tale tecnologia fra i prodotti e servizi offerti.