Al contrario, 3,98 kWh elettrici difficilmente potrebbero produrre più di 0,25 m3 di metano. Qual è dunque la convenienza di produrre gas a partire da elettricità, se poi non è possibile recuperare più del 25% dell’energia iniziale? La risposta dobbiamo cercarla nel rapido sviluppo che la generazione decentralizzata di energia elettrica ha avuto negli ultimi 10 anni. Poiché l’offerta di energia elettrica da fonte rinnovabile si è sviluppata più velocemente delle smart grids e degli smart buildings, ci troviamo oggi di fronte a situazioni paradossali, come quella dell’11 maggio 2014, giorno nel quale il costo dell’energia elettrica è diventato negativo in Germania. Che cosa significa costo negativo? In pratica ciò succede quando la quantità di energia generata da fonti rinnovabili supera la domanda e per questioni di stabilità del sistema non è possibile staccare completamente le centrali convenzionali dalla rete di distribuzione dell’energia elettrica. Si tratta dunque di un’energia in esubero che verrebbe inutilizzata. Il punto è come poter evitare di sprecare tale energia e quindi dove utilizzarla.
Il settore dei trasporti, essendo ancora fortemente dipendente dal petrolio, potrebbe essere un interessante fruitore di tale energia in esubero. In altri termini, diventa economicamente interessante, anche se termodinamicamente inefficiente, il concetto P2G per alimentare il parco macchine esistente con dei carburanti alternativi, più puliti e possibilmente “carbon neutral”, dunque senza ricorrere ai tanto criticati biocarburanti di prima generazione.
Il concetto P2G sembra anche interessare ai politici, proprio perché non scatena il famoso dibattito food vs. energy e perché potrebbe utilizzare anche la CO2 da impianti controversi, quali sono gli inceneritori.
Come si produce l’ossimorico “gas naturale sintetico”
Tre sono le possibili tecnologie per sfruttare gli eccessi di energia elettrica, immagazzinandola sotto forma di combustibile gassoso:
1) Idrolisi dell’acqua.
Questo processo richiede 0,944 kg di acqua per generare 0,098 kg di idrogeno. Solo il 45% dell’energia elettrica utilizzata rimane immagazzinato nell’idrogeno, sotto forma di energia chimica. Attualmente, solo la Germania sembra spingere verso una economia basata sull’idrogeno, con qualche casa automobilistica tedesca che ha presentato alcuni prototipi di autovetture azionate con tale gas. Si tratta però di una tecnologia piuttosto complessa e richiedente la costruzione di infrastrutture nuove, in quanto l’idrogeno non è facile da stoccare e i gasdotti esistenti, costruiti in acciaio, sarebbero chimicamente incompatibili, perché l’idrogeno forma idruri con il ferro, rendendo l’acciaio fragile come il vetro.
2) Sintesi del metano mediante il processo Sabatier.
In questo caso, l’idrolisi dell’acqua è solo il primo stadio di un processo nel quale l’idrogeno, H2, viene fatto reagire chimicamente con CO2, sintetizzando CH4 e H2O.
Il metano è un vettore energetico più stabile, sicuro e per il quale esiste già una infrastruttura di distribuzione commerciale, quindi risulta a priori più appetibile dell’idrogeno per i potenziali investitori. Per contro, il processo Sabatier richiede un’infrastruttura molto complessa, come quella che si riscontra abitualmente nei grandi impianti petrolchimici, quindi la più grande sfida consiste nel poter costruire impianti di piccole dimensioni per la produzione decentralizzata di metano a costi ragionevoli.
L’impianto più grande al mondo attualmente operante con la tecnologia descritta appartiene alla Audi ed è installato nella fabbrica di Wertle (Germania). Con una potenza di elettrolisi pari a 6 MW, lo stesso produce 1.000 t/anno di metano, battezzato e-gas dai responsabili di marketing della marca automobilistica, il quale fornisce combustibile, a emissioni di CO2 neutre, a 1.500 veicoli Audi A3 Sportback g-tron aventi una percorrenza media annua pari 15,000 km.
3) Biosintesi del metano per via idrogenotrofica
Le Archaea idrogenotrofe sono particolari tipi di microorganismi, forse gli antenati dei batteri, che si nutrono di CO2 e H2, generando CH4 e H2O come risultato della loro respirazione. Negli impianti di biogas convenzionali, quelli cioè alimentati con sottoprodotti agroalimentari oppure con rifiuti municipali , fino al 30% della produzione di CH4 proviene dalla via idrogenotrofa, e la formazione di CO2 è inevitabile. L’idea di sfruttare i momenti in cui l’energia elettrica, dalla rete, cosa poco è dunque molto attraente per produrre biometano. In tal modo si produrrebbe H2 tramite elettrolisi dell’acqua durante la fascia oraria di energia elettrica più economica. L’H2 così estratto, deve essere successivamente iniettato in particolari bioreattori, nei quali le Archaea idrogenotrofe utilizzeranno anche la CO2 proveniente dai digestori convenzionali per produrre biometano. Si otterrà così un biogas con oltre l’80% di CH4, più facile da purificare rispetto al biogas convenzionale, che solo ne contiene 50 – 60%. Il biometano verrà poi stoccato in bombole alla pressione di 200 bar, utilizzando sempre l’elettricità a basso prezzo durante le ore vuote per azionare i compressori. Questa tecnologia è quella che più si addice agli impianti di biometano di tipo agricolo, in quanto ne aumenterebbe notevolmente la flessibilità operativa e ne migliorerebbe l’integrazione ambientale, giacché sarebbe possibile ridurre in modo consistente i gas di scarico del motore cogeneratore.
Figura 2: Methanocaldococcus jannaschii, una Archaea idrogenotrofa.
Foto tratta dal progetto Adopt-a-Microbe
Le realizzazioni
Alla data del presente l’unico impianto commerciale realizzato in Europa con la tecnologia P2G idrogenotrofica è in fase di collaudo ad Avedøre, a sud di Copenaghen, nell’omonimo impianto di trattamento delle acque fognarie della capitale danese. Il progetto è stato nominato BioCat, e sebbene si tratti di un impianto di trattamento di fanghi fognari, la tecnologia dello stesso sarebbe perfettamente applicabile ad una larga fetta degli impianti di biogas agricoli italiani, in quanto prevede una potenza di idrolisi pari a 1 MW, e l’utilizzo della CO2 proveniente dal biogas dei digestori dei fanghi come substrato principale per il processo di upgrading idrogenotrofico. L’idrolizzatore verrebbe controllato dal gestore della rete elettrica danese, in modo da uniformare i carichi nelle ore vuote, o di eccesso di energia eolica, frequente nel bacino del Baltico.
Una volta prodotto il biometano verrebbe iniettato alla pressione di 4 bar nel gasdotto locale, di proprietà della Gashandel A/S. L’impianto di Avedøre sarà il più grande al mondo utilizzante la tecnologia di bioupgrading una volta entrerà in funzione, probabilmente entro i primi del 2016. Il progetto prevede un budget pari a 6,7 milioni di euro, finanziati al 55% dal ForskEL, l’ente pubblico danese per le energie rinnovabili. Un aspetto interessante del progetto è il recupero dell’O2 prodotto dall’elettrolizzatore assieme all’H2: verrà utilizzato per il trattamento delle acque fognarie nelle vasche di ossigenazione esistenti. Il calore residuo dell’elettrolizzatore verrà utilizzato per il preriscaldamento dei fanghi. Di conseguenza, il progetto BioCat non solo produrrà carburanti puliti dagli eccessi di energia rinnovabile a dalla CO2, bensì contribuirà ad aumentare l’efficienza del processo di trattamento delle acque fognarie di Copenaghen.
Figura 3: L’impianto di Avedøre. Foto tratta dal sito ufficiale del progetto BioCat