“Quando parliamo di innovazione dobbiamo parlare in senso molto ampio”, spiega Luigi Radaelli, amministratore delegato di Syngenta Italia, che insieme all'European landowners' organization (Elo) ha dato vita nel 2008 al Forum for the future of agriculture. “Naturalmente c'è la genetica, ma anche le nuove tecnologie possono dare il loro contributo nelle pratiche agronomiche, dalla difesa delle colture fino al miglior utilizzo di fertilizzanti e agrofarmaci. Oggi abbiamo solo piccoli esempi, come il precision farming. Ma ancora non riusciamo a cogliere cosa sarà l'agricoltura 3.0”.
Dal palcoscenico di Expo, che quest'anno ha ospitato il Forum la cui consueta location è Bruxelles, politici, imprenditori e agricoltori hanno lanciato diverse sfide per il futuro, tra cui riuscire a rivoluzionare la filiera agroalimentare. Il caso del grano Armando è forse quello più esemplare. Il pastificio De Matteis ha infatti stretto un accordo con mille agricoltori che ora producono grano duro per la sua azienda, costretta in passato ad importare la metà della semola dall'estero. Gli agricoltori devono seguire un protocollo di coltivazione molto rigido, ma in cambio Syngenta fa assistenza in campo e la De Matteis garantisce un prezzo minimo al quintale, incrementato poi se le quotazioni di mercato crescono.
La filiera è uno dei punti deboli del settore anche se c'è chi, come Ezio Veggia, vicepresidente di Confagricoltura, chiede che non venga demonizzata, visto che ha un margine del 3%. Gli sprechi nascosti vanno semmai ricercati nel più alto costo dell'energia rispetto agli altri Paesi europei, ma anche nel trasporto su gomma (+30% rispetto alla Spagna). Senza contare la frammentazione delle imprese, la cui estensione media è di 7,5 ettari. L'obiettivo, sempre secondo Veggia, è unirle per affrontare la sfide dell'innovazione.
Ma l'agricoltura del futuro non potrà non fare i conti con la scarsità dell'acqua dovuta a cambiamenti climatici sempre più marcati. L'azienda agricola dei fratelli Vigo, insieme a Syngenta e a Netafim, ha sviluppato un sistema di microirrigazione che permette la coltivazione del mais con un risparmio di acqua del 50% e del 30% di azoto. Ma non solo, per tutelare la biodiversità l'azienda agricola ha lasciato delle zone incolte, colonizzate da conigli e altre specie animali.
La vera sfida, dicono gli agricoltori, è però premiare chi fa buona agricoltura. Chi ad esempio coltiva in zone diseconomiche, come quelle montane, o chi si impegna per la tutela del territorio contro il dissesto idrogeologico. Chi coltiva nel rispetto dell'ambiente, adottando le migliori pratiche agronomiche e tutelando la biodiversità, spesso non viene premiato né dal mercato, che riconosce prezzi irrisori per il lavoro degli agricoltori, né dal pubblico, che non ha politiche adeguate. D'altronde, spiega Michael Prinz zu Salm-Salm, della European Landowners' Organization, “non è possibile pensare di continuare a coltivare come abbiamo fatto fino ad oggi. Serve una rivoluzione nell'approccio alla terra”.
Dall'Europa, grazie al programma Europa2020 e alla nuova Politica agricola comune, arrivano segnali positivi in questo senso, spiega Martin Scheel, della Commissione europea. Anche se, come ha ricordato Mauro Tonello, vicepresidente della Coldiretti, l'Europa impone una mastodontica macchina burocratica che schiaccia le piccole aziende.
“Servirebbe una cooperazione tra pubblico e privato per promuovere le buone pratiche agricole”, ammette Andrea Olivero, viceministro del Mipaaf. “Oggi fare agricoltura e richiamare la tradizione agricola italiana significa andare costantemente ad innovare. Ritrovare nella nostra storia le migliori tecniche agrarie, ma contestualmente rivederle con le nuove scoperte. Se vogliamo conservare la nostra biodiversità dobbiamo costantemente innovare ed essere determinati a fare squadra, a lavorare insieme tra pubblico e privato”.