Vox populi, vox dei, solevano dire i Romani. Ovvero, la voce del popolo è la voce di Dio e in quanto tale dovrebbe avere pregnanza e valore di Legge. Peccato che spesso il popolo non abbia la benché minima idea di ciò che gli viene proposto come nodo del contendere e quindi esprima giudizi che escono più dalle pance che dai cervelli.
In tale contesto mediatico, foriero anche di ruspe elette a improbabili carri armati, può quindi capitare di tirare in ballo il popolo anche per fare arrivare “forte e chiara” la sua voce a quei decisori politici che siano chiamati a legiferare sugli ogm. Ed è già un vero peccato che a prendere decisioni sul si o sul no al biotech debbano essere solo giudici e politici, perché questi sono accompagnati per lo più dai cori da stadio degli anti-ogm, i quali soffocano con spregiudicata prepotenza le opinioni di un Mondo scientifico che in materia di ogm ha invece competenze ben più profonde e robuste.

Fra le varie iniziative atte a persuadere i decisori sull’opportunità del no agli ogm spicca un referendum indetto il 5 aprile da Legambiente. Luogo della consultazione popolare? Piazza Roma ad Ancona, nel bel mezzo delle bancarelle allestite dai produttori aderenti ad Aiab, ovvero l’associazione italiana per l’agricoltura biologica. Il quesito posto ai frequentatori dell’evento era fra “Italia ogm” e ”Italia No-Ogm”.
Il risultato, come prevedibile, è stato un vero cappotto: i voti per l’Italia no-ogm hanno sfiorato il plebiscito. Sarebbe inoltre profonda convinzione degli organizzatori che per rilanciare l’agricoltura italiana, anche da un punto di vista economico, l’unica via da seguire sia quella di eleggere il biologico quale “struttura trainante della nostra economia”.
Ovvio quindi che in un contesto come quello organizzato da Aiab ad Ancona, il referendum di Legambiente non potesse che portare a questi risultati.

Al di là però del palese conflitto di interessi che grava su chi osteggi una tipologia di prodotti per favorire i propri, lascia in special modo basiti il ricorso spregiudicato a un termine nobile come “referendum”, usato sovente per tirare l’acqua a mulini personali e interessi associativi.
Chiedere un parere sugli ogm ai visitatori di un mercatino Bio ha infatti più o meno lo stesso senso di consultare i Talebani afgani sulla possibilità di far entrare il Cristianesimo quale religione ufficiale dello Stato al fianco di quella musulmana, oppure di chiedere un parere sull’obbligo di portare le dimostrazioni scientifiche dell’astrologia durante una convention di professionisti dell’oroscopo. Nemmeno risulterebbe di facile recepimento un quesito sull’alimentazione onnivora durante una fiera vegana, né avrebbe miglior sorte un “referendum” sulla conversione globale alle energie rinnovabili nei consigli di amministrazione delle Sette Sorelle del petrolio.
Il risultato sarebbe più o meno quello registrato ad Ancona: un plebiscito per il No.
 
Purtroppo, l’Italia sta sempre più andando incontro a una deriva culturale che non è solo scientifica, bensì è anche e soprattutto comunicativa. Una deriva grazie alla quale fanno molto più fede dei referendum autoreferenziali rispetto alle valutazioni sostanziali dei fatti. Ciò per esempio accade ogni qual volta si dica che l’Italia non ha bisogno degli ogm, oppure che gli agricoltori italiani non sono interessati ad essi. A tal proposito, in effetti, non stupisce questo disinteresse: se si chiede un parere sul biotech a un viticoltore veneto o pugliese, oppure a un agrumicoltore siciliano, a loro è abbastanza intuitivo capire perché del Mon810 interessi dal poco al nulla. Diverso il discorso per un maiscoltore friulano, veneto o lombardo, per il quale la resistenza alla piralide rappresenta invece un plus tecnologico di alto valore e utilità. Che il “popolo” dica a quest’ultimo che il mais gm non gli serve ha quindi più o meno lo stesso senso (e arroganza) di un elettricista e di un tappezziere che dicano all’idraulico che non ha bisogno del pappagallo.
 
Intanto, 175 milioni di ettari sono coltivati a ogm in ben 27 Paesi. In pratica, viene coltivata a ogm una superficie pari a 13,5 volte la Sau italiana. Detta in altri termini, ci vogliono 13,5 “italie agricole” per rappresentare il peso delle colture biotech a livello mondiale. Sono inoltre 18 i milioni di agricoltori che nel 2013 hanno scelto di coltivare ogm, 700 mila in più di quelli del 2012.
Forse, qualche referendum andrebbe organizzato anche fra loro. Così, tanto per avere un quadro un po’ più obiettivo dell’argomento.
 
Sarebbe quindi giunta l’ora di smetterla con i sondaggi farlocchi e strumentali, atti solo a pilotare ulteriormente un’opinione pubblica già di per sé abbastanza fuorviata e atterrita(*). Come pure sarebbe giunta l’ora di abbandonare l’approccio ipocritamente populista del vox populi, vox dei, utile solo agli interessi di alcune minoranze di scaltri manipolatori di opinioni.
E a chi non è d’accordo su quest’ultimo punto, si suggerisce di salire su un aereo dove a decidere rotta, quota o modalità di decollo e atterraggio non sia il capitano, bensì i passeggeri, “democraticamente”, per alzata di mano...

(*) Leggi anche l'articolo a firma Elena Cattaneo e Gilberto Corbelllini contro le mistificazioni sugli ogm