E’ quanto afferma la Coldiretti, sulla base del Rapporto 2013 sui crimini agroalimentari in Italia, nel commentare la confisca da parte della Dia di beni per un valore di 60 milioni di euro ad un imprenditore della Piana di Gioia Tauro, in Calabria.
Non a caso – sottolinea Coldiretti – proprio la regione calabrese figura al secondo posto nella graduatoria degli immobili sequestrati, con ben 502 terreni, e occupa la stessa posizione per quanto riguarda le aziende confiscate (25).
Secondo i dati Coldiretti/Eurispes su 12.181 beni immobili confiscati, quasi un quarto è costituito da terreni agricoli. Ma le mani della Mafia Spa - continua l'organizzazione - si allungano lungo tutta la filiera e, su un totale di 1.674 aziende confiscate, ben 89 (5,3%) operano nei settori “Agricoltura, caccia e silvicoltura” e 15 (l’1% circa) nei settori “Pesca, piscicoltura e servizi connessi”, 173 (10%) nella ristorazione ed alloggio e 471 (28%) nel commercio all’ingrosso e al dettaglio, anche nell’agroalimentare.
L’agricoltura e la filiera agroalimentare rappresentano dunque una destinazione privilegiata per gli investimenti della criminalità organizzata perché ritenuti più sicuri in un momento di instabilità finanziaria, ma anche perché consentono di controllare capillarmente il territorio in zone dove lo Stato è meno presente.
La criminalità organizzata che opera nelle campagne incide più a fondo nei beni e nella libertà delle persone, perché, a differenza della criminalità urbana, può contare su un tessuto sociale e su condizioni di isolamento degli operatori e di mancanza di presidi di polizia immediatamente raggiungibili ed attivabili.
Si tratta dunque di lavorare - sottolinea la Coldiretti - per il superamento della situazione di “solitudine” invertendo la tendenza allo smantellamento dei presidi pubblici, dalle scuole agli ospedali, e delle forze di sicurezza presenti sul territorio, ma anche incentivando il ruolo delle associazioni di rappresentanza attraverso il confronto e la concertazione con la pubblica amministrazione, perché la mancanza di dialogo costituisce un indubbio fattore critico nell'azione di repressione della criminalità.
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Fonte: Coldiretti